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lunedì 26 settembre 2011

Il Concilio che cambiò il mondo



Il Concilio che cambiò il mondo

(Francesco Perfetti su “Il Tempo” del 22/09/2011) Il Concilio Vaticano II fu solennemente aperto a Roma nella Basilica di San Pietro l’11 ottobre 1962 da Giovanni XXIII e chiuso, dopo quattro sessioni, nello stesso luogo l’8 dicembre 1965 da Paolo VI. Sarebbe dovuto durare tre mesi e durò tre anni. Era il ventunesimo concilio ecumenico o generale nella storia della Chiesa.
Fu circondato da attese e speranze ma anche da equivoci interpretativi.
Osservatori e studiosi, tanto fra i progressisti quanto fra i tradizionalisti, videro in esso un evento di eccezionale rilevanza che segnava una frattura radicale, una discontinuità con il passato, In effetti il Concilio non si concluse con la solenne cerimonia che ne suggellò la sessione finale ma proiettò i suoi effetti nel tempo. L’idea della sua convocazione giunse a sorpresa il 25 gennaio 1959 quando nell’aula capitolare dell’abbazia di San Paolo Fuori le Mura, il Papa la comunicò a un gruppo di cardinali presenti e al mondo intero. Il cardinale Angelo Giuseppe Roncalli era salito al soglio pontificale da pochi mesi e aveva assunto il nome di Giovanni XXIII. La sua elezione aveva avuto il sapore di un vero e proprio “compromesso” tra il gruppo di cardinali progressisti e quello conservatore della Curia che si ispirava alla linea di Pio XII. Il patriarca di Venezia non apparteneva a nessuno dei due schieramenti e l’età avanzata sembrava predestinarlo a un ruolo di “transizione”.
Lo aveva pure favorito la pressione fatta fare da De Gaulle che aveva mobilitato l’ambasciatore francese presso la Santa Sede al fine di ostacolare l’elezione di cardinali, come Ottaviani o Ruffini, che erano considerati “reazionari” e troppo legati a quel Pio XII che aveva beatificato Innocenzo XI campione della resistenza della Santa Sede a Luigi XIV. Il lavoro preparatorio per l’organizzazione del Concilio fu lungo e cominciò presto, già nel maggio del 1959, e apparve subito innovativo. Ad esso giustamente attribuisce grande rilievo il bel volume di Roberto de Mattei dal titolo Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta (Lindau Editore): un volume corposo e ben documentato, che è giunto tra i finalisti del Premio Acqui Storia, il più autorevole riconoscimento per la saggistica storica.
Furono interpellati l’intera gerarchia cattolica chiamata di diritto a far parte del Concilio, i superiori di ordini e Congregazioni, i dicasteri della Curia e le facoltà teologiche e fu chiesto loro di far pervenire “pareri, consigli e voti” sulle materie e sui temi da discutere nel prossimo Concilio. Si trattò di una procedura insolita rispetto a quella adottata dal precedente Concilio secondo la quale le questioni da discutere erano fissate dal Papa. Le risposte giunsero a migliaia. Esprimevano, alla vigilia del Concilio, i “desiderata” dell’episcopato mondiale. La loro analisi di dettaglio mostra che la maggioranza di queste risposte auspicava una condanna dei mali moderni, interni ed esterni alla Chiesa, soprattutto del comunismo e nuove definizioni dottrinarie. Non c’era, insomma, in esse nessuna istanza di riforme radicali. In proposito de Mattei suggerisce una curiosa, ma non troppo arbitraria, analogia tra i “vota”, cioè queste risposte, e i famosi “Cahiers de doléance” redatti in Francia in vista degli Stati Generali del 1789: in entrambi i casi non risultava nessuna velleità sovvertitrice.
Eppure, alla fin fine, il Concilio innovò moltissimo e, soprattutto, mise da parte la questione della condanna del comunismo. In proposito de Mattei rivela i particolari di un incontro segreto svoltosi a Metz nell’agosto 1962 fra il cardinale Eugenio Tisserant e l’arcivescovo ortodosso di Yaroslav, Nikodim, in base al quale il patriarcato di Mosca, controllato dal Cremlino, accolse l’invito a una “presenza ecumenica” nel Concilio in cambio della garanzia che durante i lavori non si toccasse la questione della condanna del comunismo. Su questo accordo, per molto tempo ignorato e persino messo in dubbio da alcuni studiosi ma rivelato dal Jean Madiran nel saggio L’accordo di Metz tra Cremlino e Vaticano (I Libri del Borghese), de Mattei fornisce elementi inediti e inconfutabili.
La “storia mai scritta” del Concilio, raccontata de Mattei, è la storia non dello scontro fra una “maggioranza progressista” e una “minoranza conservatrice” sconfitta (così come accreditato dalla vulgata storiografica) ma di una lotta serrata, combattuta anche col ricorso a sottigliezze procedurali, fra due minoranze che esprimevano tendenze opposte della teologia del XX secolo. È una storia suggestiva e appassionante per la conquista, da parte delle due minoranze, per la conquista della leadership. Ed è, soprattutto, una storia originale che capovolge l’approccio interpretativo della scuola storiografica bolognese.
Quest’ultima, secondo de Mattei, avrebbe invertito il metodo di interpretazione del Magistero della Chiesa assumendo come punto di riferimento il Concilio stesso e non la Tradizione, avrebbe interpretato cioè la Tradizione alla luce del Concilio, che, a differenza dei concilii che lo avevano preceduto, non aveva deliberato in modo definitivo su questioni di fede e di morale, né espresso definizioni dogmatiche precise. (Francesco Perfetti su “Il Tempo” del 22/09/2011)

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