ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 24 settembre 2011

Uomini di Dio


di Benny Lai
Fu nei mesi successivi alla morte di Giovanni XXIII che il cardinale Siri mi parlò per la prima volta di padre Pio. Avvenne nel corso di uno di quei colloqui che si svolgevano in un salottino dell'appartamento privato del cardinale, come ogni qual volta tornavo a Genova la domenica mattina per tornare a Roma la sera stessa. Due notti in treno e una giornata a Genova, che essendo festiva mi consentiva di passare pressoché inosservato nel palazzo arcivescovile, dove tutti gli uffici erano chiusi. Una precauzione dettata dalla riservatezza utile ad ambedue: al cardinale che non doveva soppesare i pensieri e contare le parole per timore di venire citato, e a me per non essere professionalmente assimilato ad un determinato ambiente prelatizio.

A fornire lo spunto per le confidenze del cardinale sul frate del Gargano non fu la scomparsa di Roncalli e l'avvenuta successione di Paolo VI, ma quanto era accaduto nell'Azione Cattolica, dove l'assistente ecclesiastico monsignor Carlo Maccari era divenuto – “promoveatur ut admoveatur” - vescovo di Mondovì . E giacché monsignor Maccari doveva la sua alta carica nell'Azione Cattolica anche all'ispezione da lui compiuta un paio d' anni prima, nell'estate-autunno del 1960, a San Giovanni Rotondo, inevitabile che si parlasse di questa attività da lui svolta, di una “visita apostolica “ che aveva suscitato vasta eco e contrastanti interpretazioni.

“Vede - disse Siri - quando seppi che il Sant'Offizio aveva mandato un visitatore apostolico nel convento di San Giovanni Rotondo rimasi di sale. Intanto per la persona prescelta che mi sembrava poco attrezzata dal punto di vista culturale per condurre una indagine relativa ad un personaggio come padre Pio, già fatto segno di altre inchieste e circondato della devozione popolare. Allora conoscevo poco l'inviato del Sant'Offizio sul Gargano, il quale fino ad allora s'era occupato quasi esclusivamente del Vicariato di Roma, ignoravo soprattutto se avesse o meno il garbo e l'avvedutezza necessaria ad un compito da condurre con la massima discrezione. E quel che poi è accaduto, come hanno parlato della vicenda i giornali di destra, di centro, di sinistra, gli schieramenti creatisi pro e contro padre Pio, mi hanno dato ragione. Lo dissi pure a Papa Giovanni”.

Il cardinale non conobbe mai di persona padre Pio, né mai si recò nel convento di Santa Maria delle Grazie finché visse il frate. “Una volta trovandomi a Bari - raccontò in un'altra occasione – pensai di arrivare a quel costone carsico del Gargano in cui si trovava il padre. Mi sarebbe piaciuto trattenermi con lui, ma capii che non potevo farlo senza farmi notare e ciò avrebbe potuto arrecare danno. La mia presenza, la presenza di un cardinale avrebbe suscitato scalpore o, per lo meno, avrebbe dato luogo a chissà quali supposizioni. Ed è escluso che vi potessi andare in incognito. Lo sa cosa è accaduto ad un altro cardinale, il quale, senza preavvisarlo e senza avere indosso alcuna insegna della sua dignità, bussò al convento di San Giovanni Rotondo? Ancora prima l'arrivo dell'ospite, padre Pio aveva chiamato il padre guardiano per informarlo stava per giungere un cardinale, sarebbe stato vestito come un semplice prete, e bisognava accoglierlo con i dovuti riguardi. E il cardinale, il quale credeva d'essere trattato al pari di un comune ecclesiastico, fu accolto con grandi onori. A padre Pio non si poteva nascondere nulla”.

Seppure da lontano Siri aveva sempre seguito le vicende del cappuccino. Era ancora seminarista quando s'era sparsa la notizia delle stimmate del frate e, in seguito, de rifiuto da lui opposto a padre Agostino Gemelli di fargli esaminare le piaghe senza l'autorizzazione dei superiori. Un rifiuto dettato in parte dall'aver gia accettato per ubbidienza di sottoporsi alle visite mediche e, in parte, dalla ritrosia del suo temperamento, che gli aveva suscitato l'ostilità di Gemelli, il quale poi non aveva fatto mistero di non attribuire alle ferite alcunché di soprannaturale. Diagnosi che, data la fama goduta da Gemelli, concorrerà dopo l'elezione di Pio XI ad una messa in guardia del Sant'Offizio sia nei confronti delle stimmate considerate tutt'altro che evento trascendente, che dei pretesi miracoli di padre Pio.

Siri, che aveva conosciuto padre Gemelli quando per seguire i corsi universitari della Gregoriana, s'era trasferito da Genova al Seminario Lombardo di Roma, non ne condivise l'opinione. Dirà di padre Gemelli: “Ho avuto grande stima del fondatore dell' Università Cattolica, che era uno studioso di grande prestigio e mio amico ma, purtroppo, in quell'occasione sbagliò. Emise un verdetto superficiale, tanto è vero che alle sue affermazioni secondo le quali tutte le stimmate, ad eccezione di quelle di San Francesco d'Assisi e di Caterina da Siena, dovevano considerarsi frutto di isterismo e di autolesionismo, la stessa “Civiltà Cattolica” dichiarò di non essere d'accordo”. Tuttavia la dichiarazione del Sant'Offizio, cui seguirono altri decreti, portarono ad una sorta di segregazione di padre Pio. Un isolamento durato fino al 1933, allorché Pio XI reintegrò il cappuccino nei suoi diritti, permettendo ai fedeli di visitarlo e di scrivergli senza temere i rigori del dicastero vaticano.

Proprio quel che s'era verificato in passato indusse Siri ad intervenire con Giovanni XXIII dopo l'inquisizione di monsignor Maccari. “Capitava spesso - dirà il cardinale - che mi trovavo in udienza con il Papa dati i miei impegni di presidente della CEI e delle Settimane Sociali ed ogni qualvolta si finiva col parlare di padre Pio. Giovanni XXIII, un uomo buono, vero santo, era preoccupato. Arrivavano in Vaticano gravi accuse su padre Pio. Talvolta erano i medesimi difensori ad oltranza del cappuccino che con il loro zelo e la loro fretta contribuivano a creare difficoltà. Molti agivano in buona fede, pensando di fare del bene, solo che a pagarne le conseguenze era sempre padre Pio. Alla fine il Papa si convinse che il povero frate era estraneo alle accuse che gli venivano mosse”.

Ancora prima che la Chiesa si pronunciasse il cardinale Siri era più che convinto dei doni mistici ricevuti da padre Pio. “I fatti sono fatti - faceva notare - e non vi è dubbio che egli vedesse il futuro, leggesse nel pensiero, si spostasse in bilocazione. E poi le guarigioni, la possibilità di convertire un ateo con uno sguardo, una parola, una benedizione. Non sono questi prodigi?”.
 
A riprova di tali affermazioni Siri raccontava la “singolare intesa” creatasi tra lui e padre Pio sia tramite i genovesi, che recatisi a San Giovanni Rotondo, riportavano al loro arcivescovo i saluti inviatigli dal frate, sia un più che curioso episodio. “Dovevo prendere una grave decisione circa una importante questione relativa alla diocesi di Genova. Ed ero perplesso ed angustiato poiché le soluzioni possibili erano due, ma non sapevo quale fosse la migliore. Messo alle strette decisi per una delle due. Il giorno successivo ricevetti un telegramma di padre Pio in cui mi confermava che la decisione presa era quella giusta e mi esortava a continuare lungo quella strada. Avevo vissuto le mie perplessità senza farne parola ad alcuno. Come aveva fatto padre Pio ad averne notizia?” Un interrogativo pubblicamente rivelato dal cardinale nella commemorazione del 1972, a quattro anni dalla morte del frate e, successivamente, nella lettera a Paolo VI con la quale postulava l'avvio della procedura per la beatificazione e la canonizzazione di padre Pio. La lettera a Paolo VI è del 1975, l'anno in cui si recava a San Giovanni Rotondo per celebrare una messa sulla tomba del frate e scrivere sul registro dei visitatori: “Con gratitudine”.
 
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