ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 5 dicembre 2011

"Magistero autentico" ?

Il nostro Dante Pastorelli ha ripreso e commentato con le sue abituali chiarezza e competenza il seguente brano del "Giuramento di fedeltà" richiesto a norma di diritto canonico a coloro che assumono responsabilità nella Chiesa. Lo estraggo per dargli la visibilità che merita e condividere con chi si affaccia su queste pagine il miglior completamento della precedente riflessione. (L'immagine a lato ci mostra il rapporto speciale tra Maestro e allievo prediletto...)

Approfitto per inserire, in nota, il punto n.9 - sulla famosa "Nota praevia" citata da Dante - tratto dalla recente Supplica al Santo Padre Benedetto XVI, Sommo Pontefice, felicemente regnante, affinché voglia promuovere un approfondito esame del pastorale Concilio Ecumenico Vaticano II, che fa seguito a quella a suo tempo unita da Mons. Brunero Gherardini, al suo LibroIl Concilio Vaticano II. Un discorso da fare. Anche questo ci aiuta a completare e ad approfondire.
"Aderisco inoltre con religioso ossequio della volontà e dell'intelletto agli insegnamenti che il Romano Pontefice o il Collegio Episcopale propongono quando esercitano il loro magistero autentico, sebbene non intendano proclamarli con atto definitivo".
I documenti romani da un bel pezzo non brillan per chiarezza e precisione.

Qui i redattori pongon sullo stesso piano Papa e Collegio episcopale, senza darsi cura di specificare che il collegio episcopale in tanto può insegnare in quanto è riunito sotto Pietro, per cui il potere nella Chiesa è unico, quello di Pietro che può esercitarlo anche insieme ai vescovi. La "nota praevia", sia pure con cautela curiale, ha chiarito il vero significato di collegialità.

Quanto al Magistero "autentico", esso non richiede adesione di fede, ma ossequio della volontà e dell'intelletto. Quest'adesione è da parametrare sul contenuo di questo insegnamento e sulla sua corrispondenza al precedente Magistero infallibile.

Non si è fuori della Chiesa per l'esercizio legittimo della critica o espressione di perplessità nei riguardi di certe dottrine, specie se in materia puramente pastorale o su questo livello collocate. L'ossequio non è adesione totale e imprescindibile. E' doveroso per i cattolici avanzar richieste di chiarimenti che fughin le ombre, In mancanza, la coscienza guidata dalla retta ragione e la formazione ricevuta dal Magistero infallibile saranno il criterio per le nostre scelte.

La storia ci presenta pontefici e vescovi che erran nel loro magistero: come dottori privati, o con comportamenti, anche di resistenza alla Verità nella loro funzione pontificia e di omissione nel combatter l'eresia, ad es. Lo stesso può dirsi per il presente.

La Chiesa tuttavia resta "santa" perché il suo Capo è Cristo che ha promesso d'esser con noi sino alla fine dei secoli, è fondata sul sangue dei Martiri; ed è "santificatrice" perché sola essa può dare i mezzi di salvezza. E se a volte ci pare - a ragione - avvolta dal fumo di Satana, e se talvolta ci sembra allontanarsi dalla Tradizione, spesso più per equivocità di linguaggio che per sostanziale cambiamento di dottrina nella sua essenza, e per errori degli uomini di Chiesa, dubitare che in essa ci si possa salvare è negare la stessa possibilità di salvezza. Di Chiesa ce n'è una, e una sola.

Io in questa Chiesa, che pur nella sua gerarchia mi fa soffrire e mi pone laceranti domande, credo e resto. Certi guasti che lamentiamo se non oggi domani saran sanati.

Non esiste altra Chiesa senza Pietro, per quanto peccatore possa essere e per quanto ondivagante sia il suo Magistero. Io non lascio mai correre, se li noto, questi limiti. Sino ad ora non mi sembra che si sia stati costretti ad accettar come Magistero infallibile dottrine incerte, discutibili od anche senza riscontro nella Rivelazione e nella Tradizione.

Chi pensa che fuori "Roma" ci sia una vera Chiesa, sia coerente, specie se prete.
I cattolici non possono non sforzarsi nell'ambito del loro impegno e preparazione di far sentire la loro voce. Se non l'ascoltano i vertici umani, l'ascolta Nostro Signore. Senza dubbio alcuno.
Dante Pastorelli

Supplica al Santo Padre per il riesame del Vaticano II, n.9
[...]
9. Qual è il significato esatto del nuovo modo di intendere la collegialità? L’interpretazione che ne dà la Nota esplicativa previaposta in calce alla Lumen gentium (al fine di dirimere la controversia divampante in materia presso i Padri conciliari) come dobbiamo considerarla alla luce dell’insegnamento perenne della Chiesa? Ci riferiamo ai dubbi lucidamente esposti a suo tempo da Romano Amerio:
“La Nota praevia respinge della collegialità l’interpretazione classica, secondo la quale il soggetto della suprema potestà nella Chiesa è solo il Papa che la condivide, quando voglia, con l’universalità dei vescovi da lui chiamati a Concilio. La potestà somma è collegiale solo per comunicazione ad nutum [ad un cenno] del Papa. La Nota praevia respinge parimenti la dottrina neoterica [dei Novatori presenti in Concilio] secondo la quale il soggetto della suprema potestà nella Chiesa è il collegio unito col Papa e non senza il Papa che ne è il capo, ma in guisa tale che quando il Papa esercita, anche solo, la suprema potestà, la esercita in quanto capo appunto del collegio e quindi come rappresentante del collegio che egli ha l’obbligazione di consultare per esprimerne il senso. È la teorica improntata a quella dell’originemoltitudinaria [democratica] dell’autorità, difficilmente compatibile con la costituzione della Chiesa [che è gerarchica e di origine divina, non popolare]. Rifiutando l’una e l’altra di queste due teorie la Nota praevia tiene fermo che la potestà suprema è sì nel collegio dei vescovi unito al loro Capo [e questa è la gran novità], ma che il Capo può esercitarla indipendentemente dal Collegio, mentre il Collegio non può indipendentemente dal Capo [e questa sarebbe la concessione alla Tradizione]”.
Ed è esatto sostenere che l’attribuzione di poteri giuridici, quelli di un vero e proprio collegio, all’istituto della Conferenza Episcopale ha di fatto svilito e deformato la figura del vescovo? In effetti oggi i vescovi, uti singuli, non sembrano in pratica contare più niente, nella Chiesa (Vostra Santità ci perdoni la franchezza). Sul punto, ancora Amerio:
“La novità di maggior rilievo nella Chiesa postconciliare è di aver dato alla partecipazione di tutti i ceti della Chiesa organi giuridicamente definiti, quali il Sinodo permanente dei vescovi, le Conferenze episcopali, i Sinodi diocesani e nazionali, i Consigli pastorali e presbiterali e via dicendo [...] La costituzione delle Conferenze episcopali ha prodotto due effetti: ha difformato la struttura organica della Chiesa e ha generato l’esautorazione dei vescovi. I vescovi, secondo il diritto preconciliare, sono successori degli Apostoli e reggono ciascuno la propria diocesi con potestà ordinaria, nello spirituale e nel temporale, esercitandovi potestà legislativa, giudiziaria e coattiva (can. 329 e 335 CIC 1917). L’autorità era precisa, individuale e, tranne che nell’istituto del vicario generale, indelegabile (il vicario generale era d’altronde ad nutum del vescovo) [...] Il decreto Christus Dominus sull’ufficio pastorale dei vescovi attribuisce al corpo episcopale la collegialità, cioè “suprema e piena potestà sulla Chiesa universale” che sarebbe in tutto pari a quella del Pontefice Romano se potesse esercitarsi senza il consenso del Pontefice Romano. Questa suprema potestà fu sempre riconosciuta [solamente] all’assemblea dei vescovi adunati dal Papa in Concilio ecumenico. Ma si pone la questione se un’autorità che è messa in atto soltanto da un’istanza ad essa superiore si possa riguardare ancora come suprema e se non ricada in una mera virtualità e quasi in un ens rationis. Ma secondo la mente del Vaticano II l’esercizio della potestà vescovile in cui si concreta la collegialità è quello delle Conferenze episcopali.

Qui è singolare come il decreto Christus Dominus (al n. 37) trovi la ragione di questo nuovo istituto nella necessità per i vescovi di un medesimo paese di operare di conserva, e come non veda che questo vincolo di cooperazione ormai giuridicamente configurato altera l’ordinamento della Chiesa sostituendo al vescovo un corpo di vescovi e alla responsabilità personale una responsabilità collettiva, cioè una frazione di responsabilità […] Con l’istituzione delle Conferenze episcopali la Chiesa è ora un corpo policentrico […] La prima conseguenza del nuovo organamento è dunque un allentamento del vincolo di unità [con il Papa] che si è manifestato con ingenti dissensioni su punti gravissimi [ad esempio sulla dottrina dell’enciclica Humanae vitae, del 25.7.1968, che proibiva l’uso degli anticoncezionali]. La seconda conseguenza è l’esautorazione dei singoli vescovi come tali; essi non rispondono più né ai propri popoli né alla Santa Sede: alla responsabilità individua subentra infatti una responsabilità collegiale che, trovandosi nell’intero corpo, non si può collocare nei singoli componenti del corpo” (R. AMERIO, Iota Unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX, Ricciardi, Milano-Napoli, 1986, pp. 79-80 (§ 44). e - Ivi, pp. 441-444 (§ 232 e 233).
http://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2011/12/magistero-autentico-ossequio-della.html

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