ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 21 gennaio 2012

Elite modernista

Essere Cristiani senza Trinità: gli Unitariani. 

I – Tra Medioriente ed est europeo


Che cosa accomuna Charles Dickens a Florence Nightingale e Albert Schweitzer? La risposta sembra ovvia: un intenso senso di giustizia sociale e di compassione fattiva verso il prossimo.
Ma se alla lista aggiungessimo il grande compositore Béla Bartòk, il presidente americano Thomas Jefferson, il vincitore del Premio Nobel per la fisica Robert Millikan, il poeta romantico Samuel Coleridge, il matematico George Boole (quello della logica booleana alla base dello sviluppo dell’informatica), l’architetto Frank Lloyd Wright o il filosofo John Locke, quanti di noi saprebbero trovare una corrispondenza tra tanti illustri personaggi?
Non si tratta della domanda finale di un quiz milionario ed è inutile sforzarsi per cercare una risposta che, il un Paese al 97% cattolico come l’Italia (ma forse la situazione non sarebbe così diversa in aree luterane o calviniste) non verrebbe mai in mente a nessuno.
Semplicemente, tutti questi geni nei loro rispettivi campi (ma con loro almeno altri 10 “Nobel” e innumerevoli altri personaggi di spicco di economia, politica e filantropia) sono uniti dall’aver compiuto una scelta religiosa radicale: quella di essere Cristiani senza credere nella trinità, senza, cioè, ritenere che Gesù fosse Dio.

Per molti, educati nelle grandi Denominazioni (siano esse cattoliche, ortodosse o protestanti) già questo assunto può apparire contraddittorio: come ci si può dire cristiani senza credere in Cristo?
Indubbiamente, posta in questo modo, la questione ha un senso ma se riusciamo a lasciarci alle spalle anni di catechismo e di “ortodossia dogmatica” tutto l’assunto può essere compreso molto più facilmente.
Prendiamo la questione da un altro punto di vista. Poniamo che io sia convinto che la migliore ideologia politico-sociale sia quella elaborata sulla base del pensiero di Marx: ci sarebbe qualcuno che potrebbe obiettare se mi definissi marxista? Oppure, immaginiamo di essere degli psicologi che adottano per la loro professione metodi clinici basati sugli studi di Jüng: sarebbe strano se qualcuno affermasse che siamo psicologi junghiani?
Eppure non per questo, fatte salve patologie piuttosto gravi, nessun marxista o nessun psicologo junghiano ha mai ritenuto che Marx o Jüng fossero divinità o elementi consustanziali di Dio.
Perché, allora, obiettare se una persona, ritenendo di conformare la sua vita agli insegnamenti di Cristo ma non credendo che l’uomo Gesù, pur illuminato da Dio, pur “unto” (nel senso religioso del termine) da Dio e quindi, etimologicamente, “Cristo”, sia egli stesso una divinità o parte della divinità quanto piuttosto un maestro di vita e di morale, un profeta, un messia, un tramite di Dio, si definisce cristiano?
Se vogliamo rimanere nel campo della stretta logica (lo stesso campo che ci porterebbe a pensare che chi non crede a Cristo come parte della trinità non può dirsi cristiano), appare abbastanza sorprendente, piuttosto, che una religione che si definisce “monoteista” come il Cristianesimo adori “tre Persone”, per quanto consustanziali esse possano essere considerate: per conferme, provate a chiedere ad un israelita o a un musulmano di inserire un concetto di questo genere nellaShemà o nella Shahada (le rispettive dichiarazioni di fede monoteista[1]).
Sofisticherie? Fantasie di una piccola setta eretica?
Forse. Ma, stranamente, una “sofisticheria” di questo genere deve essere stata ben presente nelle menti dei primi seguaci di Cristo, in particolare di quel gruppo di discepoli che, dopo aver ascoltato, in alcuni casi in prima persona, gli insegnamenti del loro Maestro, decisero di non accettare la versione di Saulo/Paolo di Tarso del nascente “Cristianesimo” (una versione che non pochi storiografi della Cristianità tendono oggi a contestare, definendola frutto più di un tentativo di penetrazione di marketing della nuova religione nel mondo pagano che degli insegnamenti di Gesù[2]) e di rimanere fedeli alla tradizione ebraica non solo in termini di “leggi di purezza” ma anche e soprattutto nella convinzione radicata che “Dio è Uno”. Vennero chiamati “Ebioniti” e, dal Concilio di Gerusalemme[3] in poi, la loro linea, certamente meno “popolare” di quella paolina, risultò perdente a tal punto da provocare una loro progressiva ghettizzazione, tanto che chi non si conformava alla linea ufficiale fu costretto, a poco a poco, ad allontanarsi verso altre aree mediorientali[4], chi in Mesopotamia (ed è indubbia la loro influenza sul Nestorianesimo e probabile la loro stentata sopravvivenza nel misterioso popolo mandeo[5]), chi in Arabia (dove certamente furono determinanti nello sviluppo successivo dell’Islam[6]), fino a che l’”eresia ebionità” non scomparve praticamente del tutto, presumibilmente attorno al XIII secolo.
Storie di minoranze.
Sì, certo! Ma minoranze non solo con una radice profonda, ma anche con una vitalità sorprendente: sarebbe ben difficile non vedere continue risorgenze, almeno embrionali, dell’antitrinitarismo nel Marcionismo del II secolo, nelle varie forme di Subordinazionismo del III secolo (da Origene ad Ario), nell’Aezianismo del IV secolo e lungo tutta la complessa storia dell’Adozionismo (che vedeva Gesù come figlio adottivo del Padre) e del Monarchianesimo (che affermava l’unicità di Dio, vedendo in  Cristo un uomo legato a Dio per ospitare in sé la forza divina)[7].
Solo quando il Cattolicesimo si fa “religione di Stato”, con tutta la forza dirompente e censoria che l’accostamento tra le due entità (religione e stato) contiene in sé, la visione antitrinitaria  si fa sotterranea, ma non per questo perisce.
Anzi, è proprio nel momento di massimo apogeo della repressività cattolica che quest’istanza, evidentemente ben presente, quantomeno a livello di dubbio razionale, all’interno della spiritualità cristiana, trova la forza di risalire in superficie per chiedere una propria legittimità denominazionale.
Lo scenario è quello controriformista ben noto. Siamo nel pieno della reazione cattolica alla Riforma: il Concilio di Trento, con le sue decisioni di reagire al “Luteranesimo” schiacciando violentemente, a colpi di moniti, processi inquisitori, abiure forzate e censure di libri posti nell’Index Librorum Prohibitorum, ha instaurato un clima di terrore repressivo, imponendo una “normalizzazione” forzata di una situazione fortemente fluida[8].
Dal canto suo, anche la Riforma classica non agisce con minor pugno di ferro contro le sue frange più radicali: Lutero aveva condannato l’Anabattismo spingendo i suoi nobili padrini al massacro di Frankenhausen[9] e Calvino, non più tardi del 1553, aveva fatto ardere sul rogo Michele Serveto, reo di aver negato la divinità di Gesù, facendone il primo martire unitariano dell’età moderna[10].
Insomma, per chi professasse idee contrarie alla divinità di Cristo gli spazi di manovra erano ridottissimi ed erano dati, perlopiù, da zone marginali dell’Europa centro-settentrionale, nelle quali la “longa manus” dell’Inquisizione fosse meno presente e le istanze riformistiche non si presentassero come dogmaticamente monolitiche.
Fu per questo che quando, sulla spinta di esperienze di rottura precedenti, come quelle legate alla predicazione dell’umanesimo cristiano-erasmiano (e “alumbrado”) di Juan de Valdés a Napoli negli anni ’30 del XVI secolo o a quella anabattista proto-unitariana di Girolamo Busale a Padova negli anni ’40 dello stesso secolo[11], nel 1550 il cosiddetto “Consiglio anabattista di Venezia” segnò l’inizio di un movimento antitrinitario formalizzato come tale in Italia, sotto la guida di teologi come Matteo Gribaldi, gli esponenti dell’ideologia unitariana furono immediatamente costretti all’esilio, disperdendosi tra Svizzera, Germania, Polonia, Transilvania e Olanda[12] e quando Bernardino Ochino, paradossalmente un difensore della concezione trinitaria, nei suoi Dialoghi del 1563[13], indicò l’Ungheria come terra di libertà religiosa, gli esuli puntarono decisamente verso oriente, eleggendo Polonia e Transilvania come loro terre di adozione dove potessero essere almeno “tollerati”.
In Polonia, in particolare, espressioni sparse di antitrinitarismo erano già state precedentemente registrate: le cronache del tempo registrano, ad esempio, ancora sul finire degli anni ’30, l’episodio di tale Katarina Weygel, bruciata a Cracovia all’età di 80 anni per aver dichiarato opinioni unitariane o, più probabilmente, per averle apertamente propagandate presso gruppi di fedeli disposti ad accoglierle e non è sicuramente un caso che il secondo Sinodo Calvinista polacco del 1556 (il primo si era tenuto l’anno precedente) ponesse tra i primi punti del suo ordine del giorno la confutazione delle tesi unitariane e delle sfide teologiche lanciate da Pawel Grzegorz e Piotr Goniądza (seguaci di Serveto) e da Matteo Gribaldi, rifugiatosi a Cracovia per sfuggire alla persecuzione inquisitoriale[14].
Due anni dopo, l’arrivo del piemontese Giorgio Biandrata, già medico di Giovanni I Jagellone, re d’Ungheria e voivoda di Transilvania e, in seguito, di sua figlia Isabella, regina di Transilvania, costretto a lasciare Alba Iulia nel momento del suo sostanziale inglobamento da parte dei cattolicissimi Asburgo a causa delle sue notorie opinioni unitariane (che lo avevano già portato alla fuga a Ginevra e, dopo un durissimo monito di Calvino, ad abbandonare anche la capitale della Riforma evangelica[15]), diede il via ad un movimento antitrinitario polacco più fortemente strutturato e formalizzato.
I “Fratelli polacchi” erano, allora, un raggruppamento di Ariani e Unitari che, proprio sotto la guida di Biandrata, si divise ufficialmente dalla Chiesa calvinista (“Ecclesia major”) nel 1565 per formare una “Ecclesia minor”. A partire dal 1579 vi si unì un altro esule italiano, il senese Fausto Sozzini, fautore di un Cristianesimo razionale e tollerante caratterizzato da un ritorno alla semplicità evangelica, il quale, ben presto, prese le redini del movimento, riuscendo ad unificarlo definitivamente nel 1588 e a portarlo nell’alveo della sua ideologia legata alla negazione della pre-esistenza di Cristo pur nell’accettazione della sua nascita virginale (dal suo fondatore tale impostazione teologica prese il nome di Socinianesimo)[16].
Nel 1602 una svolta importante ebbe luogo allorché il nobile Jakub Sienieński si offrì di ospitare la comunità, a cui aveva in precedenza aderito suo padre, nella città di Rakow, dotandola anche di una macchina da stampa: è da questo momento che nasce a cosiddetta “Accademia Racoviana” e che si iniziano i lavori di preparazione del “Catechismo  Racoviano”, pubblicato nel 1605.
L’Accademia ha, comunque, vita breve: nel 1610 iniziò la reazione cattolica, guidata dai Gesuiti e nel 1638, forse in risposta all’atto di sfida di due ragazzi che avevano gettato un crocifisso fuori dalle mura della città, l’istituzione venne soppressa. L’Unitarianesimo polacco riuscì a sopravvivere stentatamente ancora per una ventina d’anni ma, nel 1659, la Dieta polacca accusò ufficialmente gli antitrinitari di posizioni filo-svedesi e ordinò che tutti i suoi membri o si conformassero al Cattolicesimo o venissero espulsi. Pur contando tra le proprie fila numerosi magnati locali, l’Unitarianesimo non aveva la forza politica per resistere all’urto e, conseguentemente, il 1660 vide un esodo in massa di suoi aderenti verso i Paesi Bassi governati da “Rimostranti arminiani” (è ad Amsterdam che, tra 1665 e 1669, viene pubblicata la ” Bibliotheca Fratrum Polonorum”, in cui per la prima volta appare il termine “unitariani”) e verso la Transilvania, in cui la teologia antitrinitaria aveva ottenuto un notevole successo, soprattutto grazie alla predicazione di Ferenc David (sebbene qui i Sociniani si mantennero sempre separati dalla Chiesa transilvana di matrice davidiana).
Proprio la Transilvania si era, d’altra parte, da tempo rivelata la patria d’elezione dell’Unitarianesimo (una tendenza conservata fino ad oggi). In realtà, nonostante numerose teorie legate alla presenza atavica dell’antitrinitarismo in terra transilvana o ad influenze esercitate in tal senso dalla vicinanza islamica, resta ad oggi di difficile comprova il reperimento di tracce unitariane in quella remota regione orientale prima della comparsa di Biandrata alla corte di Transilvania nel 1563.
E’ indubbio, comunque, che il medico piemontese, prima di trasferirsi come visto in Polonia, esercitò una notevole influenza sul cappellano di corte, il già citato Ferenc David, che si rivelerà una delle figure più importanti della storia dell’Unitarianesimo europeo.
David[17], nativo di Kolozsvár (l’attuale Cluj-Napoca) e di famiglia ungherese, dopo aver studiato a Wittenberg e Francoforte era stato eletto vescovo calvinista della Chiesa ungherese in Transilvania l’anno seguente all’arrivo di Biandrata e, poco dopo, era stato nominato predicatore di corte di János Zsigmond Zapolya, principe di Transilvania. La sua messa in discussione della Trinità inizia nel 1565 con dubbi sulla personalità dello Spirito Santo ma si era ben presto estesa all’intero concetto di trinità, riguardo al quale non gli era stato possibile trovare alcun fondamento scritturale.
Da qui erano nate numerose dispute pubbliche con il leader calvinista Peter Melius, vescovo di Debrecen tra il 1558 e il 1572, dispute nella quali David era sempre stato affiancato da Biandrata.
Dall’adozione da parte di Giovanni Sigismondo del punto di vista del suo predicatore di corte emerse, nel 1568, uno dei documenti più importanti della storia della libertà religiosa europea si epoca controriformista: l’Editto di Torda (o “Patente di Tolleranza”).
La concatenazione degli eventi è di facile ricostruzione. Le dispute tra Calvinisti e Unitariani si susseguono a ritmo incalzante e minacciano di minare la coesione sociale del già traballante regno di Transilvania; su suggerimento di David il re indice una Dieta per dirimere la questione e David, incaricato di sostenere le tesi unitariane, ha la meglio sui suoi avversari calvinisti; il re, persuaso dell’assunto davidiano, promulga un editto che è, per quel tempo, un capolavoro di apertura mentale e in cui si legge:
Sua Maestà, nostro Signore, così come aveva – in unione al suo regno – legiferato in materia direligione nelle Diete precedenti, su quella stessa materia ora, in questa dieta, ribadisce che in ogni luogo i predicatori devono predicare e spiegare il Vangelo ciascuno secondo la propria comprensione di esso, e se ciò alla congregazione piace, bene. Se no, nessuno li obbliga perché le loro anime non sarebbero soddisfatti, ma essi devono essere autorizzati ad avere un predicatore il cui insegnamento approvano. Pertanto nessuno dei sovrintendenti o altri sia autorizzato a compiere abusi contro i predicatori, nessuno possa venire insultato per la sua religione da chiunque, secondo gli statuti precedenti, e non sia permesso a nessuno minacciare chiunque altro con la reclusione o con la rimozione dal suo incarico per il suo insegnamento. La fede è dono di Dio e deriva dall’ascolto, che è ricezione dalla parola di Dio[18].
A seguito di tale editto, David ebbe la possibilità di trasferire il suo episcopato dalla Denominazione calvinista a quella unitariana e, ben presto, a Kolozsvár i Calvinisti evaquarono facendo posto agli anti-trinitari.
Questa sorta di situazione edenica per gli Unitariani durò, però, piuttosto poco.
Nel 1571 Giovanni Sigismondo fu sostituito dal re cattolico Stephen Báthory. L’anno seguente David, influenzato dal rettore del Ginnasio di Kolozsvár, Johann Sommer, abbandonò pubblicamente ogni culto di Cristo, entrando in aperto contrasto con il ramo socciniano (i cosiddetti “adoranti”) di cui Biandrata faceva parte. Fu proprio Biandrata, adirato per quello che riteneva essere un “tradimento della fede” da parte di David, a denunciare il suo ex confratello come “innovatore religioso” (secondo una disposizione di Báthory ogni innovazione religiosa successiva all’inizio del suo regno era proibita): processato e condannato, David morì in carcere nella Rocca di Deva (1579), mentre la Chiesa da lui fondata di frammentava tra Unitariani in senso stretto, Socciniani e Sabbatari (un gruppo fondato da Simon Péchi e con tendenze giudaico che ha continuato ad esistere fino al 1840, allorché molti dei suoi aderenti si convertirono all’Israelitismo)[19].
In un primo tempo le forze degli “Unitariani puri” e degli “Adoranti” parvero bilanciarsi ma, dopo che nel 1638 l’”Accordo di Des” segnò la soppressione ufficiale del movimento unitariano da parte dello stato e la sua entrata in clandestinità, la parte filo-socciniana risultò avere la meglio. Non è certamente casuale, in questo senso, che Mihály Lombard de Szentábrahám (1737-1758), il più importante vescovo unitariano dei “tempi bui”, l’uomo che riuscì a radunare dopo decenni di dispersione le forze della sua Chiesa, provate da continue persecuzioni e privazioni della proprietà, nel dare al suo gregge una nuova dichiarazione di fede con la sua “Summa Theologiae Christianae Universae Secundum Unitarios” (pubblicata nel 1787), impostasse la sua teologia secondo una visione socciniana con modificazioni di natura arminiana e così il documento venisse accettato dall’imperatore Giuseppe II come il manifesto ufficiale della dottrina[20].
La situazione rimase più o meno inalterata fino al XIX secolo, quando si decise di non richiedere più ai fedeli della Chiesa transilvana di aderire a posizioni “adoranti” e gran parte delle chiese si mosse verso una teologia davidiana.
Oggi la Chiesa Unitariana transilvana, dopo una ulteriore persecuzione durata quarant’anni, questa volta da parte delle autorità comuniste di Ceausescu, sta riprendendo sempre più piede sia nelle sue zone d’origine (si calcola che essa possa contare su circa 65.000 membri in Romania, soprattutto all’interno della popolazione  Székely  di origine ungherese e di altri 25.000 membri in Ungheria, dove esiste una Chiesa autonoma, per qualche tempo titolare anche di un seggio parlamentare) che all’estero: in Francia, Svizzera, Danimarca, Germania, Norvegia e Olanda sono nate Chiese Cristiano Unitariane che accolgono chiunque desideri assumere come fondamento della propria vita il messaggio del Maestro Gesù senza per questo divinizzare una figura che viene vista come pienamente (quanto “perfettamente”) umana e storica.
In Italia l’Unitarianesimo è “tornato a casa” (si ricordi che i vari Busale, Biandrata, Gribaldi e Sozzini venivano da qui!) a partire dal 1870, grazie all’opera del patriota garibaldino Ferdinando Bracciforti il quale, dopo essere stato un ministro evangelico, fondò a Milano una Chiesa Unitariana che ebbe come proprio organo istituzionale il giornale “La Riforma del XIX secolo”, pubblicato fino al 1872.
E’ il caso di ricordare come molti “padri della patria” fossero notevolmente vicini alle posizioni unitariane: lasciando da parte Mazzini, che nel suo “Dell’Ungheria” palesa aperte simpatie per la Denominazione[21], appare quasi sorprendente (soprattutto per la “damnatio memoriae” di cui questo dato è stato vittima) trovare tra i corrispondenti della “Riforma” di Bracciforti nomi quali quelli di Giuseppe Garibaldi, Aurelio Saffi o Terenzio Mamiani.
Purtroppo, dopo questa esperienza e nonostante l’aperta professione di fede unitariana di alcuni importanti personaggi del panorama italiano di inizio ’900 (basti per tutti il nome di Camillo Olivetti, fondatore dell’azienda omonima, che arrivò addirittura ad impiantare, negli anni ’30, una sede unitariana ancora una volta a Milano), l’Unitarianesimo, apertamente osteggiato, per ovvie ragioni, dai governi della I Repubblica con leggi sul riconoscimento delle Confessioni religiose a dir poco parziali (e che, d’altro canto, hanno colpito duramente, quantomeno dal punto di vista economico e legale, numerose Denominazioni minori operanti sul territorio), è andato disperdendosi in numerosi rivoli legati a singole personalità di predicatori[22].
Fortunatamente, però, ad opera del Rev. Roberto Rosso di Torino, un brillante laureato in filosofia che ha compiuto i suoi studi teologici in Transilvania, dal 2005 è risorta una comunità unitariana italiana che ha preso il nome di Congregazione Italiana Cristiano Unitariana (C.I.C.U.)[23] e che sta conoscendo negli ultimi anni una notevolissima espansione in tutta la Penisola, segno evidente che essa risponde a bisogni ben evidenti anche all’interno della “cattolicissima” e “trinitarianissima” Italia.

[1]Che iniziano rispettivamente con: “Ascolta, Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è Uno” e ” Testimonio che non c’è divinità se non Dio“.
[2] A tale proposito potrebbe essere istruttiva la lettura di alcuni testi di “fonte non dubbia” quali N. T. Wright, What Saint Paul Really Said: Was Paul of Tarsus the Real Founder of Christianity?, Wm. B. Eerdmans Publishing Company 1997 o W. Barclay, The Mind of St. Paul, Harpercollins 1975.
[3] Si vedano Atti, XV.
[4] Cfr. M. Jackson-McCabe, Jewish Christianity Reconsidered: Rethinking Ancient Groups and Texts, Augsburg Fortress Publishers 2007, pp. 108 ss. e passim.
[5] Ivi.
[6] K. Hanson, Blood Kin of Jesus: James and the Lost Jewish Church, Council Oak Books 2009, pp. 203 ss.
[7] J. O’Grady, Early Christian Heresies, Barnes & Noble Inc. 1995, passim.
[8] Per un’analisi più approfondita del clima instaurato dal Concilio di Trento si veda: R. Bireley,The Refashioning of Catholicism, 1450-1700: A Reassessment of the Counter Reformation, C.U.A. Pub. 199, passim.
[9] Sul dogmatismo luterano resta ancora attualissimo J. Stanley, Lutheran reformers against the Anabaptists;: Luther, Melanchthon and Menius, and the Anabaptists of Central Germany, M. Nijhoff  1964.
[10] Sulla vicenda si consiglia: R.H. Bainton, Michael Servetus, Heretic Or Saint?, Blackstone Editions 1960-2005.
[11] Per una panoramica delle esperienze anti-trinitarie italiane di inizio ’500 cfr.: L. Addante,Eretici e Libertini nel Cinquecento Italiano, Laterza 2010, passim.
[12] D. Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento. Ricerche storiche, Sansoni 1939, passim
[13] B. Ochino,  Sette Dialoghi, Dovehouse Edition 1998, pp. 74-75
[14] Qui e in seguito cfr.: AA.VV., The Polish Brethren. Documentation of the history and thought of Unitarianism in the Polish-Lithuanian Commonwealth and in the Diaspora 1601-1685, Harvard Theological Press, 1980, pp. 18 ss. e passim.
[15] Sull’epopea di Giorgio Biandrata si consigli la lettura di S. Carletto, G. Lingua, La Trinità e l’Anticristo. Giorgio Biandrata tra Eresia e Diplomazia, L’Arciere 2001.
[16] Riguardo a Sozzini e alla teologia socciniana si consiglia la lettura di: R. Lorenzetti,L’Antropologia Filosofica di Fausto Sozzini, CUSL-Milano 1995.
[17] La bibliografia su David è piuttosto scarsa, ma tra le poche opere specifiche non in ungherese vale la pena di ricordare: B. Varga, Francis David: What has endured of his life and work?, M. Unitarius Egyhaz 1981.
[18] Sulla Dieta di Torda e il suo editto finale cfr. L. Smith, The Unitarians: A Short History, Blackstone Editions 2008, pp. 46 ss.
[19] Ivi, passim.
[20] Ivi.
[21] G. Mazzini, Dell’Ungheria, vol. III, pp. 111-112.
[22] C.Mornese e G.Buratti (a cura di), Eretici Dimenticati: dal Medioevo alla Modernità, DeriveApprodi 2004, passim.
[23] Per una conoscenza più approfondita della realtà unitariana italiana si rimanda al sito internet della Congregazione Italiana Cristiano Unitariana, all’indirizzo http://www.cicu.altervista.org.



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