ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 14 gennaio 2012

RIFLESSIONI CONTROCORRENTE SULLA POLITICA DI SAN TOMMASO


    Un passaporto per il futuro dell'Italia

di Piero Vassallo


Prima riflessione. "Il bene della moltitudine associata èche si conservi la sua unità, ossia la pace; poichéquando questa venga a mancare finisce l'utilità dellavita sociale, perché la moltitudine in disaccordo ègravosa a se stessa" (De Regimine Principum, I, 2, trad. diRenato Tamburrini).
L'onesto benessere dei popoli dipende anzi tutto dalla solidità delle unioni familiari e dalla pace interna.
"I tiranni invece seminano discordia tra i sudditi,fomentano litigi e proibiscono tutto ciò che incremental'alleanza tra gli uomini, come nozze, conviti ecc." (De Regimine Principum, I, 3).
Sulla finalità disgregatrice e tirannica delle leggi che vanificano la società familiare non è possibile nutrire dubbi. La legge divorzista è la principale causa della massificazione e del degrado sociale in atto nei paesi intossicati dalla cultura impropriamente detta liberale.
Non meno disgraziata è la tendenza delle tirannie ad approvare e sostenere gli intellettuali che diffondono il manicheismo storiografico.

Dalla storiografia faziosa ha origine, infatti, quella sottile, inavvertita ma soffocante suggestione che inchioda le menti degli italiani alle opinioni inquinanti e bellicose.
Data l'egemonia della cultura settaria gli italiani d'oggi sono indotti e quasi obbligati a vivere la loro memoria quale fomite di divisioni.
La festa per i centocinquanta anni di una mala unità conquistata mediante guerre patriottiche prevalentemente combattute da stranieri e ristabilita dopo una sanguinosa guerra civile, è stata usata per la semina di giudizi sommari indirizzati a incrementare vecchie discordie.
Le mitologie intorno alle guerre e alle guerriglie che avrebbero fatto l'Italia sono da sempre avvelenate dal feroce disprezzo nei confronti dei resistenti all'unità e dei loro legittimi sovrani: Pio IX, definito "un metro cubo di letame" dall'innominabile cialtrone in camicia rossa, i tradizionalisti bollati come austriacanti, i borboni squalificati come tiranni retrogradi, i cattolici accusati di oscurantismo, i refrattari ai Savoia bollati quali briganti, i fascisti infamati quali servi del tedesco invasoreecc.
L'autorità politica dovrebbe invece impedire l'intossicazione della memoria storica, incombendo su di essa l'indeclinabile l'obbligo di non dividere il popolo secondo i dettami di una logora ideologia contemplante due schiere immaginarie, i promossi e i bocciati dall'Assoluto storico di hegeliana memoria.
Disgraziatamente i progressisti non possono fare a meno del grande nemico - ilnemico del Popolo: l'austriacante, il borbonico, il clericale, il capitalista, il fascista, il papista, ecc. - minaccia incombente sui radiosi sentieri tracciati dai garibaldini perpetui.
L'avvistamento delle Fodria (sigla che sta per forze oscure della reazione inagguato) è il motore di una furia invincibile, finalizzata all'integrale capovolgimento della sapienza romana e cristiana, che suggeriva di risparmiare e integrare i vinti.
La sistematica diffamazione degli italiani sconfitti genera la velenosa divisione del popolo in eredi dei martiri della giustizia ed eredi dei complici dei mali assoluti, incentivo di una strisciante, avvilente guerra fra stati d'animo di stampo cainita.
Di qui la collocazione della repubblica del 1946 dalla parte dei buoni e l'alluvione di imperiose e stucchevole celebrazioni, intese a ricordare che il fondamento della giustizia e della pace civile è la bontà delle fazioni vincenti.
Complice la piramidale stupidità dei patriottardi militanti nella defunta (fittizia) destra, le supreme cariche dello Stato si recano a Reggio Emilia per proclamare che antico simbolo della rinascita è il tricolore giacobino, sventolato dai collaborazionisti, i traditori che reggevano il sacco dei ladri discesi dalla Francia rivoluzionaria.
Nel colpevole silenzio delle autorità sulle insorgenze antifrancesi compiute dai veri ed eroici patrioti [secondo stime attendibili l'invasione francese costò la vita a centomila insorgenti italiani], il vessillo della fellonia antitaliana diventa il simbolo del patriottismo.
La cerimonia surreale di Reggio Emilia rammenta che il popolo italiano rimarràspiritualmente disunito fino a che non saranno riconosciuti anche gli errori e lecolpe dei buoni vincitori (la sanguinaria cleptomania dei giacobini e deinapoleonici; le rapine e i massacri sabaudi nel Mezzogiorno; il potere attribuitodall'americanismo all'alta, vampiresca e criminosa finanza; la folle, sanguinosasovietizzazione attuata da Lenin e da Stalin; il massacro dei kulaki; ibombardamenti terroristici anglo-americani; il mortifero balzo in avanti di Mao; icarri armati a Budapest; la feroce proletarizzazione della Cambogia ecc.).
Separata dalle scomode verità, la storia non sarà mai altro che l'arma dei faziosi elo sgabello delle occulte e sontuose tirannie.
Seconda riflessione "Il fondatore di una città e di un regno, non puòprodurre dal nulla gli uomini e i luoghi da abitare e gli altri sostentamentialla vita, ma deve necessariamente usare le cose che preesistono in natura".(De Regimine Principum, I, 13).
San Tommaso colpisce la radice della statolatria, ovvero la nefasta illusione chela natura socievole sia un'invenzione, quasi una magia del sovrano illuminato.
Strisciante nelle mitologie del più rovente Medioevo ghibellino, l'idea che il poterepolitico sia capace di correggere la naturale asocialità dell'uomo diventò il cardinedella politologia di Thomas Hobbes, prima d'informare l'ideologia assolutista(monarchica o democratica).
Per fortuna Paolo Pasqualucci ha descritto il vicolo cieco nel quale trascina lafilosofia di Hobbes, il primo disertore dalla scienza politica tradizionale.
Nella costruzione di Hobbes, si può cogliere, infatti, la pretesa di negare lanaturale socievolezza dell’uomo, astraendo, un’irriducibile disposizione alla guerradi tutti contro tutti, dalle azioni che gli uomini compiono, quando la società èirreparabilmente corrotta dal malgoverno.
Data un tale catastrofico scenario l'unica via di salvezza è l'attribuzione almonarca (re, parlamento o popolo referendario) del potere assoluto.
La via d'uscita dalla mitologia assolutista, incombente nelle ideologie totalitarie come in quelle pseudo-democratiche, era stata indicata da Pio XII, nel Radiomessaggio nel Natale del 1944: "Lo Stato non contiene in sé e non adunameccanicamente un'agglomerazione amorfa di individui. Esso è la realtà, l'unitàorganica e organizzativa di un vero popolo".
E da Pio XII e non dai democristiani di ritorno che si può uscire dall'assolutismo democratico e ricominciare l'architettura dello stato italiano.
Terza riflessione. "Quando gli uomini vedono che il bene comune non èsotto il potere di uno solo, se ne occupano non come se fosse di un altroma come di una cosa propria: perciò un'unica città amministrata damagistrati annui è più potente di un re che possiede tre o quattro città. Icittadini tollerano più malvolentieri piccoli servigi richiesti dal re che gravioneri imposti dalla comunità dei concittadini" (De Regimine Principum, I, 4).
La retta ragione consiglia che il potere sia affidato agli eletti solo per breve durata,come accadeva nella Roma repubblicana. La corta durata dei mandati politici èuna soluzione suggerita dall'esperienza storica ai popoli che intendono scongiurarela diffusione della ridicola leggenda intorno all'apprendimento della scienza politicaattraverso l'esercizio del potere, una favola che produce inamovibili oligarchie epromuove (a costi sempre più alti) competenti presunti.
La contrazione dei mandati e l'accorciamento dei tempi del loro funzionamento e lariduzione dei relativi emolumenti restringerebbe gli spazi necessari alla manovraoligarchica e ridurrebbe gli insostenibili e surreali costi della casta politicante.
Ora il buon senso del qualunque cittadino, purché non iscritto all'anagrafe deidelinquenti, è in grado di giudicare quali scelte occorre maturare in vista del benecomune.
Nel diritto ad eleggere i funzionari del bene comune è infatti inclusa l'attitudine arappresentare il popolo nel parlamento e nel governo. Niente autorizza a pensareche un netturbino sia meno adatto all'attività politica di un giornalista o di unprofessore.
I disastri che i professori hanno causato all'Italia (la legge sull'aborto fu firmata daprofessori in cattedra, la svendita delle aziende italiane fu compiuta da unprofessore in cattedra viaggiante sul panfilo Britannia...) testimoniano ad alta vocea favore dei netturbini.
In definitiva: non esistono professionisti della politica, passano per tali iprofessionisti della chiacchiera solenne e rombante. La sapienza di San Tommasoci indica la via d'uscita dalla dittatura del fatuo e costoso chiacchiericcio.
Quarta riflessione. "E' giusto che il re aspetti il suo premio da Dio. Il regovernando il popolo è ministro di Dio, come dice l'Apostolo (Rom., XIII, 1 e4) Ogni potere viene da Dio e E' ministro di Dio, vindice nell'ira contro chiopera il male... I re dunque per il loro governo debbono attendersi il premioda Dio". (De Regimine Principum, I, 8).
Negata l'immortalità dell'anima, i pensatori illuminati, Eugenio Scalfariultimamente, si consolano pregustando il beneficio che il nulla conseguente allapresunta caduta nell'abisso orrido immenso in cui tutto si oblia, otterrà dallamemoria delle splendide imprese.
La ingenua fede riposta nei benefici che la fama procurerebbe agli assolutamenteestinti esalta il narcisismo e potenzia la rovinosa demagogia dei politicanti, chehanno nervi resi fragili dalla fede laicista.
La struttura contraddittoria della speranza nel premio che sarà goduto dal nonessere e l'alto costo del suo inseguimento confermano la sprezzante sentenza delprofeta Isaia, "che chiama fiore di fieno la gloria di questo tipo".
Dall'evidente vanità della gloria mondana discende la convenienza per i governantidi onorare e condividere la vera religione. Al proposito l'Angelico cita il testo diSant'Agostino: "Noi chiamiamo felici i re che governano con giustizia epreferiscono comandare alle passioni che ai popoli e fanno ogni cosa non pervanagloria ma per amore della felicità eterna".
D'altra parte "il fine ultimo della moltitudine associata non è vivere secondo virtùma pervenire alla fruizione di Dio attraverso una vita virtuosa".
A chi esercita il potere politico è fatto obbligo "di curare la vita oneste dellamoltitudine ... comandando le cose che portano alla beatitudine celeste eproibendo, per quanto possibile, quelle che le sono contrarie".
Se gli argomenti sofistici formulati dai tiranni e/o dai candidati alla tiranniadistolgono il popolo dal suo fine spirituale nelle coscienze si insedia la fatuità econ essa l'angoscia, madre del disordine delittuoso e autodistruttivo in scena nellepatrie dell'ateismo.
La tesi di San Tommaso può essere giudicata irrealistica solamente da quantirifiutano di vedere la devastante infelicità dei popoli, che professano l'ateismo eperciò agiscono in vista di illecite ricchezze, di effimeri piaceri o di una ridicola,inutile gloria.
Quinta riflessione. "Dalla grazia di Dio è la vita eterna. il condurre a que finedunque non sarà compito del governo umano, ma del governo divino. Ungoverno di questo tipo spetta dunque a quel re che non è soltanto uomo maanche Dio, cioè a Nostro Signore Gesù Cristo. ... Affinché le cose spiritualifossero distinte da quelle terrene, il servizio di questo regno fu affidato nonai re ma ai sacerdoti e in primo luogo al Sommo Sacerdote, successore diPietro, Vicario di Cristo, ossia al Pontefice Romano". (De Regimine Principum,I, 14)
Un autore scandalosamente irriducibile alle astrazioni rivoluzionarie, FranciscoElias de Tejada, ha dimostrato che l'uscita dai desolati imperi dell'effimero, deveiniziare dalla costituzione di movimenti di dichiarata impostazione guelfa.
La causa remota delle rivoluzioni che hanno sconvolto la Cristianità è infatti ilghibellinismo, un'ideologia che attribuiva al potere politico la facoltà di intervenirenelle decisioni della Chiesa cattolica.
In seguito la pretesa di influire nel governo della Chiesa si è trasformata nellarivendicazione dell'autonomia del potere dal diritto naturale.
Al proposito è opportuno rammentare che Lui XVI è diventato martire quando,abbandonate le tradizionali pretese del gallicanesimo, ha rifiutato di firmare le leggighibelline dei rivoluzionari.
Il positivismo giuridico, labaro delle contraffatte democrazie, contempla il potere diun legislatore assoluto che decide senza tenere conto del diritto naturale.
Di qui l'imposizione di leggi feroci e disoneste, quale ad esempio la legge 194sull'aborto, che attribuisce alle madri il diritto snaturato di stabilire - in ragione diconsiderazioni eugenetiche o di esigenze egoistiche - se un figlio ha o non hadiritto di nascere.
Le leggi imposte e applicate nel disprezzo della giustizia - la legge divinapartecipata alla creatura - e nell'oblio del senso comune discreditano lo stato chele impone e perciò confermano la superiorità del potere ecclesiastico che ledisapprova risolutamente

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