ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 20 gennaio 2012

Risposta seria...

DOCUMENTI: discorso di Papa Pio XII in occasione della visita degli attori, autori, critici drammatici e registi, sulla nobiltà della missione teatrale


Un vieto pregiudizio, abbastanza diffuso, mette in opposizione, quasi in reciproca ostilità, la Chiesa e la professione drammatica.
 
La vostra presenza qui, diletti figli e figlie, nella ricorrenza della festa di S. Genesio martire, a proposta del benemerito Centro Cattolico Teatrale, da a quella erronea concezione un’aperta smentita e porge a Noi l'occasione di mostrare ancora una volta quanto essa sia infondata ed ingiusta. Ma appunto perché la Chiesa conosce e stima la potenza della vostra arte e la grandezza della vostra missione, si leva, talvolta severamente, contro coloro i quali, avvilendo la loro dignità personale e mancando ai loro particolari doveri, mettono l'ingegno e l'arte loro al servizio dell'errore, della empietà o della sensualità.
 
Che cosa dunque deve fare il teatro - o il cinema - per compiere la sua missione di bene? Deve fare opera d’arte, ma opera d'arte nel senso più ampio, e ad un tempo più sano e più alto della parola, come voi stessi ne darete fra poco un saggio, offrendo Ci la recitazione di due fra le più belle scene dei «Promessi Sposi». L'ufficio e la missione dell’arte rettamente usata è d'innalzare, mediante la vivezza della rappresentazione estetica, lo spirito ad un ideale intellettuale e morale, che oltrepassa la capacità del sensi e il campo della materia, fino ad elevarlo verso Dio, Bene sapremo e assoluta Bellezza, da cui ogni bene e ogni bellezza deriva.
 
Egualmente lontana così da un vago idealismo, il cui sogno inconsistente o il cui simbolismo inafferrabile perde il contatto con le realtà, come da un realismo servile che aderisce strettamente all’oggetlo o al fatto materiale, senza permettere alle spirito di staccarsene, l'arte, l'arte vera, col giuoco delle forme, delle ombre, delle luci, con la melodia del canto o con la delicata modulazione della voce nella semplice recitazione, da al pensiero trasparenza e armonia, e interpreta o risveglia i sentimenti e le passioni che dormivano o fermentavano segretamente nel cuore dell‘uomo.
 
Quanto all'arte dello storico (che non sia un semplice cronista) e del romanziere, il suo retto uso tende a mostrare o piuttosto a far intuire nello svolgimento dei fatti la concatenazione dei principi e delle conseguenze, nel groviglio delle azioni esteriori, i motivi e gl'impulsi nascosti, nobili o bassamente interessati, i caratteri, le passioni in conflitto, e soprattutto a far intravedere la parte di Colui che, pur senza pregiudizio della libertà di cui Egli ha dotato l'uomo, rimane sempre il «protagonista della storia».
 
Fate ora che l'arte drammatica s'impossessi dell'opera del romanziere e dello storico e che la rispetti fedelmente; una folla di riflessioni, di considerazioni, indispensabili alla penna dello scrittore, vengono sostituite ed esperse con un semplice moto delle ciglia, con un furtivo increspamento delle labbra, con una leggiera inflessione della voce, con una pausa, con una pronunzia lievemente accentuata, non meno bene, anzi talvolta anche più efficacemente, che con gli scatti veementi o col fremito di tutta la persona. Aggiungete a tuto ciò gl'innumerevoli accorgimenti della decorazione, dell'allestimento scenco, del chiaroscuro: fra gli autori, gli attori ei servizi più svariati la collaborazione diviene così stretta ed intima, che nell'effetto prodotto le loro parti quasi si fondono insieme in una sola.
 
Ma vi è anche un’altra collaborazione alla quale tutto, si direbbe, è nell'arte drammatica subordinato. Il pubblico, affascinato, dimenticando che è là per guardare ed ascoltare, vive la scena, di cui viene ad essere in qualche modo l'attore più che il testimonio; esso vive, sente, vibra, freme con tutta la potenza delle sue facoltà, in tutta la vivacità delle sue impressioni. È questa agitazione di tutto il suo essere è mossa e sostenuta da voi, autori, attori e attrici del teatro e del cinema. Il più sovente l'impressione è durevole, talvolta indelebile. Lo spettatore esce dalla sala portando con sé e in sé convinzioni profonde o pregiudizi tenaci, elevate aspirazioni o cupidigie abiette.
 
Grande è dunque la vostra responsabilità! Se nella rievocazione dei medesimi fatti la storia, maneggiata da autori diversi, può divenire tendenziosa e parziale e servire alla propaganda di tesi opposte, che dire del dramma, il quale agisce così direttamente sull'animo dello spettatore, sui suoi sensi, sulla sua immaginazione, sulla sua impressionabilità, anche più che sulla sua ragione e sul suo giudizio?
 
Responsabilità formidabile, ma al tempo stesso nobile ed elevata, che voi, diletti figli e figlie, intendete di portare degnamente. Ma allora donde viene che altri invece la prendono alla leggiera e senza scrupoli, e non fanno valere la loro azione e il loro influsso sullo spirito e sul cuore umano, specialmente dei giovani e degli adolescenti, se non per corromperli e degradarli?
 
Di questo funesto disordine Ci sembra di scorgere due cause principali.
La prima è la mancanza di carattere e di energia, che induce a cedere ai desideri e alle esigenze di un pubblico guasto, a lusingare od anche ad eccitare le sue passioni e i suoi cattivi istinti, a mendicare da lui, in contraccambio, gli applausi, le fragorose risate, e soprattutto i lauti profitti con cui esso paga simili spettacoli. I larghi e facili successi spingono ad offrirne sempre dei nuovi; quelle rappresentazioni richiedono così poco ingegno per produrle e così poca grazia e abilità per eseguirle! Ma intanto il gusto già volgare, divenendo a mano a mano più grossolano, esige un veleno ognora più violento, e in tal modo si cade sempre più in basso!
 
L'altra causa del male potrebbe sembrare meno pericolosa e nociva: tanto essa è sottile, tanto è umana! La tentazione è ben grande per un autore di mettere in rilievo la finezza e la profondità della sua penetrazione psicologica spingendo fino in fondo l'analisi dei caratteri, ed anche dei sentimenti più delicati o delle più impetuose passioni, di profondere le ricchezze della sua tavolozza nella pittura delle azioni e dei costumi. La tentazione è ben più forte per un attore od una attrice di forzare o di attenuare la interpretazione per modellare l'opera altrui sull'impronta del proprio carattere personale, di rasentare, col pericolo di oltrepassarli, i limiti della discrezione nel far mostra dei propri doni o delle proprie attrattive anche fisiche. In un romanzo queste anatomie morali, questi esibizionismi realistici, queste descrizioni del lusso o della miserie sono atte a turbare il cuore del lettore. Che sarà dunque quando, nel clima e nella eccitazione collettiva della sala, i fatti si svolgono sensibilmente come nella realtà, ma, per così dire, condensati, compressi, resi più intensi dalle sorprendenti risorse del cinema, o quando, al teatro, i personaggi son là, in carne ed ossa, talmente immedesimati con la loro parte che i pensieri, i sentimenti, le passioni che li agitano fanno veramente scintillare, sorridere, piangere i loro occhi e palpitare il loro cuore?
 
Narra Cicerone nel lib. II De Oratore (XLVI, 168) di aver veduto sovente egli stesso, saepe ipse vidi, gli occhi di un attore ardere nel recitare alcuni versi di una tragedia di Pacuvio e che l'attore medesimo non pronunciava mai la parola (paternumaspectum, senza che egli, Cicerone, avesse l'impressione di essere proprio dinanzi al vero Telamone reso folle dal dolore per la morte del figlio. Poi, quando l'attore, cambiando l'espressione della voce, riprendeva il suo dire con un tono commosso, infelxa ad miserabilem sonum voce, le lagrime ei singhiozzi si mescolavano alle sue parole. Che se un attore non poteva acclamare quei versi senza viva emozione, credete voi - concludeva il grande oratore romano - che Pacuvio nello scriverli rimanesse calmo e tranquillo?
 
Resta dunque ben chiaro che ogni collaboratore dello spettacolo drammatico, il quale si arrende alle esigenze del pubblico invece di dominarle, ovvero si lascia andare alle piccolezze della vanità o vincere dalla brama di guadagni che la coscienza riprova, non soltanto perde qualche cosa della sua propria dignità, ma anche offende l'arte, l'arte che egli dimostra di non amare con bastante coraggio per resistere ai capricci del cattivo gusto, né con sufficiente disinteresse per preferirla agl'incentivi della vanagloria e del lucro.
 
Che una certa folla si accalchi agli spettacoli indecorosi e pretenda rappresentazioni sempre più licenziose, è purtroppo un fatto innegabile. Ma non sarebbe giusto di fare essa sola responsabile di simili pervertimenti, di attribuire alla sua stessa natura il gusto depravato della bruttezza e del male, o di crederla talmente indurita e assuefatta ai violenti incitamenti dei sensi da non essere più in grado di gustare piaceri onesti, quando le siano presentati in forma di reale bellezza. Esperienze recenti sono là a dimostrare che le vere e sane opere d'arte incontrano anche ora, anzi forse più che in passato, il favore non solo degl'«intellettuali», ma altresì delle classi popolari.
 
Quale magnifico campo di attività si offre pertanto a voi, autori drammatici, a voi, registi, a voi, critici teatrali! Spetta a voi di ristabilire il contatto fra il pubblico e le belle ed alte creazioni del genio umano, di lavorare alla rieducazione del buon gusto e alla onestà dei sentimenti, d'insegnare agli spettatori a scoprire essi stessi e a gustare i capolavori degni di tal nome, che presentate alla loro ammirazione.
 
Quanto a voi, attori ed attrici, è ben naturale, è ben comprensibile l'emozione intensa di gioia e di fierezza che invade l'animo vostro dinanzi a quel pubblico, tutto teso verso di voi, anelante, plaudente, fremente. Voi lo vedete soggiogato dall'arte vostra, voi sentite tutta la potenza della vostra azione sulle menti e sui cuori. Onore a quelli e a quelle che consapevoli della loro grave responsabilità, consci della nobiltà della loro missione, non scorgono nel loro influsso sulle anime che un mezzo per elevarle al di sopra della terra e farle salire verso l'ideale. Tali sono quegli attori e quelle attrici che non entrano in scena senza aver innalzato il loro pensiero e la loro intenzione a Dio, e non reca più sorpresa di vedere talvolta Cristo scegliere fra le vostre file spiriti superiori che Egli illumina e guida verso le altezze mistiche di una vita di perfezione.
 
Noi, a cui nulla sta più a cuore che di riconoscere e di esaltare l'opera della multiforme grazia divina enlle anime, Ci rallegriamo profondamente per così belle vittorie, mentre invochiamo su di voi, sulle vostre famiglie, sut tutte le persone che vi sono care,l'abbondanza dei celesti favori, di cui è pegno l'Apostolica Benedizione, che con paterno affetto v'impartisco.
 
Roma, San Pietro in Vaticano, 26 agosto 1945.
S.S. Papa Pio XII
 
Fonte: Osservatore Romano n. 197 del 27-28 agosto 1945 (trascrizione manuale da originale fotografico).

 Notizia del 20/01/2012 stampata dal sito web www.lucisullest.it

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.