ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 19 gennaio 2012

Torna la Riforma!

Benedetto XVI, il Riformatore
È la "riforma", dice, la chiave di interpretazione del Concilio Vaticano II e dell'evoluzione del magistero, "nella continuità del soggetto Chiesa". È ciò che Lefebvre e i tradizionalisti non hanno mai voluto accettare. Gilles Routhier ricostruisce il passato e il presente della controversia
di Sandro Magister

 ROMA, 19 gennaio 2012 – Nell'indire un Anno della fede in coincidenza con il cinquantesimo anniversario dell'apertura del Concilio Vaticano II, Benedetto XVI è tornato a insistere sulla necessità di una "giusta ermeneutica" di quell'evento.

La corretta comprensione del Concilio – precisano le istruzioni per l'Anno della fede – non è la cosiddetta "ermeneutica della discontinuità e della rottura", ma quella che lo stesso Benedetto XVI ha definito "l’ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa".
 La definizione è ripresa dal memorabile discorso tenuto dal papa alla curia romana il 22 dicembre 2005. Discorso che fu interpretato all'epoca come prevalentemente diretto a confutare la concezione progressista del Vaticano II come rottura col passato e "nuovo inizio" per la Chiesa.

In realtà, quel discorso – specie nel suo sviluppo finale sul tema della libertà religiosa – aveva come sfondo principale un'altra corrente di pensiero e di azione, quella tradizionalista, e in particolare il seguito del vescovo scismatico Marcel Lefebvre (nella foto).

Joseph Ratzinger conosce a fondo i lefebvriani. Da cardinale prefetto della congregazione per la dottrina della fede aveva negoziato e discusso con loro per anni. E da papa ha impegnato molte energie per riconciliarli con la Chiesa.

Un autorevole storico della Chiesa italiano, Giovanni Miccoli, in un recente volume dal titolo "La Chiesa dell'anticoncilio", edito da Laterza, accusa Benedetto XVI di condividere con i lefebvriani una buona parte delle loro tesi di opposizione al Vaticano II.

Ma è così? Un altro storico della Chiesa e teologo, il canadese Gilles Routhier, professore all'Università di Laval, Québec, e autore di un libro sulla recezione e l'ermeneutica del Concilio tradotto in Italia dall'editrice Vita & Pensiero dell'Università Cattolica di Milano, non è d'accordo.

Su "La Rivista del Clero Italiano", edita anch'essa da Vita & Pensiero, Routhier ha ripercorso, in un ampio saggio in due puntate, l'intero tragitto della controversia tra Roma e i lefebvriani. Ne ha analizzato gli avvicinamenti, le rotture, i cambiamenti di linea. Per concludere che sia l'ermeneutica "della discontinuità e della rottura", sia quella "della continuità", propugnate entrambe a fasi alterne dai lefebvriani e da altre correnti tradizionaliste, restano invincibilmente distanti dall'ermeneutica "della riforma" proposta da Benedetto XVI, con la sua concezione dinamica della tradizione.

Ecco qui di seguito un estratto del saggio di Routhier, con sottotitoli redazionali.

Il testo integrale è nel sito de "La Rivista del Clero Italiano", sui numeri 11 e 12 del 2011:

> Sull'interpretazione del Vaticano II - I

> Sull'interpretazione del Vaticano II - II


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SULL'INTERPRETAZIONE DEL VATICANO II

L'ERMENEUTICA DELLA RIFORMA, COMPITO PER LA TEOLOGIA

di Gilles Routhier



Per diversi anni, l’ermeneutica del Concilio Vaticano II non sembrava un problema. Erano tutti pienamente d’accordo nel dire che il Vaticano II introduceva una novità nella tradizione cattolica, almeno nella tradizione recente: novità di stile e novità sul piano del contenuto dell’insegnamento della Chiesa. [...]

Il contenzioso riguardava allora solo un punto: si poteva considerare il Concilio il superamento dell’esperienza storica del cattolicesimo della Controriforma che aveva segnato l’Occidente moderno? In altri termini, era permesso e pensabile l’emergere di una nuova figura storica del cattolicesimo?

Su tale questione, le risposte divergevano radicalmente. Per i tradizionalisti, [...] l’insegnamento del Vaticano II rompeva, a parer loro, con la tradizione e perciò bisognava opporre una fedeltà senza falle alle forme che il cattolicesimo aveva conosciuto nei secoli XVII, XVIII e XIX. [...]

È così, per esempio, che si interpreta la riforma liturgica nella lettera che accompagna il "Breve esame critico del Novus Ordo Missae" indirizzato a Paolo VI dai cardinali Ottaviani e Bacci, il 25 settembre 1969. In tale documento si osserva che "il nuovo Ordo Missae, se si considerano gli elementi nuovi, si allontana in modo impressionante, nell’insieme come nei dettagli, dalla teologia della santa messa, quale è stata formulata nella XX sessione del Concilio di Trento". [...]

Il fatto che il Vaticano II appaia come una rottura nella tradizione è un leitmotiv nella letteratura tradizionalista. [...] Lo si trova chiaramente in un testo di mons. Marcel Lefebvre datato 21 novembre 1974, testo di rara violenza, pubblicato solo pochi giorni dopo la visita apostolica ordinata dalla commissione di cardinali istituita da Paolo VI per trattare il problema posto dalla Fraternità San Pio X, testo che prelude alla prima rottura, rappresentata dalla sospensione a divinis che interverrà il 22 luglio 1976. [...]


DALLA ROTTURA ALLA CONTINUITÀ


L’ermeneutica della rottura praticata largamente nel campo tradizionalista, soprattutto a partire dal 1974 e in modo ancor più radicale dopo il 1976, doveva tuttavia essere rivista dallo stesso mons. Lefebvre.

In effetti, poco tempo dopo l’inaugurazione del pontificato di Giovanni Paolo II, sperando nella possibilità di un accordo con il nuovo papa che gli sembrava esprimere un giudizio simile al suo sul comunismo, Lefebvre fece nuovi passi presso il Vaticano.

I contatti iniziarono appena un mese dopo l’elezione del nuovo papa avvenuta il 16 ottobre 1978. Già il 18 novembre egli riceveva mons. Lefebvre. [...] La prima fase del negoziato va dal 30 novembre 1978 al 19 febbraio 1981. [...] Culmina con l’invio di un progetto di accordo proposto da mons. Lefebvre a Giovanni Paolo II, il 16 ottobre 1980, e il rifiuto di tale progetto nella sua forma iniziale. In tale progetto, mons. Lefebvre scriveva di essere disposto ad accettare "il Concilio alla luce della tradizione".

Per quanto ne so, si tratta del primissimo tentativo di compromesso da parte dei tradizionalisti fondato su un approccio ermeneutico radicalmente diverso da quello che avevano praticato fino ad allora in merito al Concilio. [...]

In effetti, dal Vaticano II in poi, mons. Lefebvre si era impegnato a dimostrare che l’insegnamento del Vaticano II era in rottura con la tradizione. Da lì in avanti vorrà invece mostrare che, interpretato "alla luce di tutta la santa tradizione", esso non rappresenta alcuna novità. In questo caso, non è più il Concilio a interpretare i documenti pontifici precedenti, il cui livello di autorità è inferiore, ma sono questi documenti a interpretare il Concilio e a determinar la portata del suo insegnamento. [...]


MA C'È CHI OPTA PER LA "SEDE VACANTE"


L’apertura di mons. Lefebvre a discussioni con il Vaticano produsse turbamento all’interno del gruppo tradizionalista, che fu allora percorso da vivaci tensioni. [...] La strategia di dialogo e di riconciliazione elaborata da mons. Lefebvre e fondata su un nuovo approccio ermeneutico al Concilio, un'ermeneutica della continuità intesa a modo suo, [...] non poteva essere accettata dai più radicali, come il domenicano Michel Louis Guérard des Lauriers, già professore al Laterano e uno dei principali estensori del "Breve esame critico del Novus Ordo Missae" indirizzato a Paolo VI dai cardinali Ottaviani e Bacci, che, fino ad allora, era stato strettamente legato a mons. Lefebvre.

Durante questo periodo di negoziato tra Roma e mons. Lefebvre, des Lauriers formulò per la prima volta la tesi "sedevacantista" che era destinata a un florido avvenire. Consacrato vescovo nel 1981 dall’ex arcivescovo di Hué, in modo da assicurare la continuità della successione apostolica, egli traccia, in una intervista, la linea di demarcazione tra lui e mons. Lefebvre. [...] Per i sedevacantisti, si deve continuare a interpretare il Concilio e le riforme post-conciliari come atti di rottura rispetto alla tradizione, seguendo una stretta ermeneutica della discontinuità. Per loro, in effetti, la rottura è netta in quanto, stando alla loro tesi, a partire dall’elezione di Roncalli i papi sono privi dell’autorità pontificia perché sono papi solo "materialiter" e non "formaliter". Per loro – come per il movimento statunitense "True Catholic Church", che ha promosso un nuovo conclave nel 1998 eleggendo Earl Pulvermacher, ex discepolo di mons. Lefebvre, con il nome di Pio XIII – dal Vaticano II in poi esiste una nuova Chiesa, una Chiesa modernista, che non è più in linea con la tradizione e la successione apostolica.


ENTRA IN CAMPO RATZINGER


Se persone vicine a mons. Lefebvre hanno proseguito il cammino dell’interpretazione del Concilio come momento di rottura, egli invece, come abbiamo visto, ha mantenuto durante questo periodo un’ambivalenza, rifiutando da una parte il Vaticano II, [...] ma d’altra parte sperando in un riavvicinamento la cui condizione era l’accettazione del Concilio alla luce della tradizione, intesa a modo suo.

Una seconda fase di negoziato si ebbe tra il 1981 e il 1987, e di essa si fece carico il nuovo prefetto della congregazione per la dottrina della fede, il cardinale Joseph Ratzinger. [...]

Nella prima lettera inviata a mons. Lefebvre il 23 dicembre 1982, il cardinale Ratzinger gli annunciava che il papa era pronto a nominare un visitatore apostolico per la Fraternità San Pio X a condizione che egli firmasse una dichiarazione in quattro punti.

Il primo punto si riferiva all’interpretazione del Vaticano II. La congregazione per la dottrina della fede sottoponeva a mons. Lefebvre un testo preciso che, essendo "stato studiato a lungo da parte della Sede Apostolica", non poteva essere oggetto di modifiche da parte di mons. Lefebvre. [...]

Nella sua parte essenziale il testo riprendeva la "Declaratio" proposta da mons. Lefebvre due anni prima. [...] Ma nella sua risposta, inviata a papa Giovanni Paolo II il 5 aprile 1983, Lefebvre avrebbe rifiutato di firmare la dichiarazione. [...] Oltre a esigere la riforma del nuovo "Ordo Missae", in modo da renderlo conforme alla dottrina cattolica, e a reclamare il permesso di celebrare la messa secondo i libri liturgici promulgati da Giovanni XXIII nel 1962, chiedeva "una riforma delle affermazioni o espressioni del Concilio che sono contrarie al magistero ufficiale della Chiesa, specialmente nella dichiarazione sulla libertà religiosa, nella dichiarazione sulla Chiesa e il mondo, nel decreto sulle religioni non cristiane, ecc.".

Qui si vede in modo ancor più esplicito ciò che mons. Lefebvre intende per interpretazione del Vaticano II alla luce della tradizione: è l’insegnamento pontificio dei secoli passati che deve correggere la dottrina conciliare.

Questa posizione, che egli manterrà fino alla rottura avvenuta nel 1988, non poteva essere recepita da Roma. Nella sua risposta del 20 luglio 1983, il cardinale Ratzinger scriveva: [...]

"A proposito delle questioni liturgiche, bisogna notare che – in funzione dei diversi gradi di autorità dei testi conciliari – la critica di alcune loro espressioni, composte secondo le regole generali dell’adesione al magistero, non è esclusa. Allo stesso modo voi potete esprimere il desiderio di una dichiarazione o di una trattazione esplicativa su questo o quel punto.

"Ma non potete affermare l’incompatibilità dei testi conciliari – che sono testi magisteriali – con il magistero e la tradizione. Vi è possibile dire che personalmente non vedete la compatibilità, e quindi chiedere alla Sede Apostolica spiegazioni. Ma se, al contrario, affermate l’impossibilità di tali spiegazioni, vi opponete profondamente alla struttura fondamentale della fede cattolica, a quell’obbedienza e umiltà della fede ecclesiastica a cui vi richiamate alla fine della vostra lettera quando evocate la fede che vi è stata insegnata durante la vostra infanzia e nella Città eterna.

"Su questo punto, del resto, vale un’osservazione già fatta in precedenza a proposito della liturgia: gli autori privati, anche se furono esperti al Concilio come padre Congar e padre Murray che citate, non sono l’autorità incaricata dell’interpretazione. Autentica e dotata di autorità è solo l’interpretazione data dal magistero, che così è l’interprete dei suoi stessi testi: i testi conciliari non sono infatti gli scritti di un esperto o di un altro o di chiunque abbia potuto contribuire alla loro genesi, sono documenti del magistero".

Come si sarà notato, la risposta del cardinale Ratzinger è fine e carica di sfumature. Apre la porta a una reinterpretazione da parte del magistero dei testi conciliari. [...]

Il 17 aprile 1985, sulla scia del colloquio che il cardinale aveva avuto con mons. Lefebvre il 20 gennaio dello stesso anno, quest’ultimo faceva un nuovo passo presso il primo. In una lettera, adducendo il fatto che il prefetto della congregazione per la dottrina della fede aveva accettato che la proposta di dichiarazione sottopostagli nel 1982 poteva essere modificata, mons. Lefebvre avanzava una nuova formulazione:

"Noi abbiamo sempre accettato e dichiariamo di accettare i testi del Concilio secondo il criterio della tradizione, cioè secondo il magistero tradizionale della Chiesa. [...] Ma ritenendo che la dichiarazione sulla libertà religiosa è contraria al magistero della Chiesa, chiediamo una totale revisione di questo testo. Riteniamo anche indispensabili revisioni rilevanti di documenti  sulla Chiesa nel mondo, le religioni non cristiane, l’ecumenismo, e chiarimenti in molti testi che si prestano a confusione".

Come possiamo intuire, anche questa proposta non poteva essere accettata [da Roma]. Il cardinale Ratzinger rispondeva a Lefebvre il 29 maggio 1985 che [...] "voi potete esprimere il desiderio di una dichiarazione o di una trattazione esplicativa su questo o quel punto, ma non potete affermare l’incompatibilità dei testi conciliari – che sono testi magisteriali – con il magistero e la tradizione". In altre parole, i testi conciliari non potevano essere corretti o rinnegati, ma era legittimo chiedere spiegazioni complementari che potessero esplicitarne il senso o darne una nuova interpretazione.

Si apre allora una nuova fase nelle conversazioni: il 6 novembre 1985, mentre è in corso l’assemblea straordinaria del sinodo dei vescovi sul Concilio Vaticano II, mons. Lefebvre inoltra 39 "dubia", obiezioni, sulla libertà religiosa alla congregazione per la dottrina della fede. Ciò significava per lui, attraverso una via interpretativa, sperare di ottenere una revisione dell’insegnamento della dichiarazione sulla libertà religiosa del Vaticano II. La risposta ai "dubia", ampia e molto articolata, sarà tuttavia data solo il 9 marzo 1987. Ma nel frattempo l’incontro interreligioso di Assisi del 27 ottobre 1986 aveva provocato un vero e proprio scandalo negli ambienti tradizionalisti. Per mons. Lefebvre, quella risposta non poteva essere soddisfacente.


ED È DI NUOVO ROTTURA


È allora che mons. Lefebvre torna a una posizione più intransigente, dopo un periodo di più di otto anni durante i quali ha giocato la carta dell’ermeneutica della continuità, cercando con essa di reinterpretare il Concilio a partire dai precedenti testi pontifici.

Ora si collega di nuovo all’ermeneutica della discontinuità praticata tra il 1974 e il 1978 e simpatizza per la prima volta con la posizione sedevacantista. Dice: "È possibile che siamo nell’obbligo di credere che questo papa non è papa". [...] Annuncia che consacrerà dei vescovi per dare una posterità alla tradizione, dato che Roma è nelle tenebre. [...] Il 14 luglio 1987 viene nuovamente ricevuto dal cardinale Ratzinger. Nel resoconto delle discussioni che ne fornisce, Bernard Tissier de Mallerais attribuisce queste parole a mons. Lefebvre:

"Se scisma vi è, riguarda molto più il Vaticano, con Assisi e la risposta ai nostri 'dubia'. È la rottura della Chiesa con il suo magistero tradizionale. La Chiesa contro il suo passato e la sua tradizione non è la Chiesa cattolica. Ecco perché ci è indifferente essere scomunicati da questa Chiesa liberale, ecumenica, rivoluzionaria".

È a partire da questo momento che mons. Lefebvre intraprende il suo cammino verso la costituzione di una Chiesa scismatica, il che avverrà a partire dal 1988. Non è più tanto lontano dalla tesi sedevacantista che aveva sempre criticato:

"Mi vedo costretto dalla Provvidenza divina a trasmettere la grazia dell’episcopato cattolico che ho ricevuta, affinché la Chiesa e il sacerdozio cattolico continuino a sussistere per la gloria di Dio e la salvezza delle anime. [...] Confido che senza tardare la Sede di Pietro sarà occupata da un successore di Pietro perfettamente cattolico nelle mani del quale potrete deporre la grazia del vostro episcopato, perché egli la confermi ".

Avrà parole ancor più forti durante la sua allocuzione ai preti della Fraternità San Pio X: "Roma è nella apostasia. Non sono parole, non sono parole al vento quelle che vi dico. È la verità. Roma è nella apostasia". [...]

Proprio prima che accadesse l’irreparabile, in un ultimo tentativo finalizzato ad evitare lo scisma, ebbero luogo negoziati dell’ultima ora con il cardinale Ratzinger. Sul piano dottrinale, il protocollo inizialmente firmato da mons. Lefebvre, prima che ritirasse la propria firma l’indomani, comportava due articoli del seguente tenore:

"2. Noi dichiariamo di accettare la dottrina contenuta nel numero 25 della costituzione dogmatica 'Lumen gentium' del Concilio Vaticano II sul magistero ecclesiastico e l’adesione che a essa è dovuta.

"3. A proposito di taluni punti insegnati dal Concilio Vaticano II o concernenti le successive riforme della liturgia e del diritto, e che ci paiono difficilmente conciliabili con la tradizione, noi ci impegniamo ad avere un atteggiamento positivo di studio e di comunicazione con la Sede Apostolica, evitando ogni polemica".

Ciò spalancava la porta a un’interpretazione del Vaticano II al quale non si chiedeva un’adesione formale e integrale, come era invece avvenuto precedentemente.


IL CONVITATO DI PIETRA


È a margine della controversia fin qui descritta che si sviluppa [dopo il 1985], nella comunità teologica e nei circoli ecclesiali, un dibattito sull’ermeneutica del Vaticano II. [...] Eccettuati gli interventi del cardinale Ratzinger, i riferimenti a mons. Lefebvre sono praticamente assenti. [...] Eppure, mi pare, è nell’orizzonte delle discussioni tra la Santa Sede e la corrente lefebvriana che va letto il dibattito sull’ermeneutica del Vaticano II e vanno interpretate le categorie di ermeneutica della continuità, della discontinuità e della riforma. [...]

Bisognerà aspettare il 2005 perché tale dibattito si infiammi di nuovo. [...]  Questa volta il cardinale Ratzinger è al vertice della Chiesa, in seguito alla sua elezione a papa avvenuta in aprile. [...] Malgrado un giudizio abbastanza critico sul nuovo pontefice, viene organizzato un incontro tra Benedetto XVI e il successore di Lefebvre, mons. Bernard Fellay. Esso avrà luogo il 29 agosto 2005, solo quattro mesi dopo l’elezione del nuovo papa, nella sua residenza estiva di Castel Gandolfo. Nel resoconto che ne fa in un’intervista del 13 settembre seguente, mons. Fellay precisa che la Fraternità San Pio X ha formulato tre richieste: accordare "piena libertà alla messa tridentina, far tacere il rimprovero di scisma sotterrando le pretese scomuniche, e trovare una struttura di Chiesa per la famiglia della tradizione". [...]

È alla fine di questo 2005, primo del suo pontificato e quarantesimo anniversario del Vaticano II, come preciserà Benedetto XVI nell’introduzione della sua allocuzione, che si colloca la sua lezione di ermeneutica conciliare alla presenza dei membri della Curia.

La lezione di ermeneutica giunge prima di due gesti di apertura in direzione della Fraternità: il motu proprio "Summorum pontificum" del 2 luglio 2007 e la revoca delle scomuniche ai vescovi lefebvriani del 21 gennaio 2009. Queste due aperture, come sappiamo, facevano parte delle richieste rivolte al papa durante l’incontro del precedente mese di agosto. La lezione di ermeneutica preparava inoltre, dando a esse i principi e il metodo, le risposte della congregazione per la dottrina della fede a domande concernenti taluni aspetti della dottrina sulla Chiesa, del 29 giugno 2007. [...]

Nel momento in cui pronunciò la sua allocuzione alla curia, Benedetto XVI non fece mai allusione alla Fraternità San Pio X o ai tradizionalisti. Così si è creduto che il discorso di Benedetto XVI avesse di mira "La storia del Vaticano II" prodotta [dalla progressista scuola di Bologna] sotto la direzione di Giuseppe Alberigo. Alcuni passaggi potevano lasciarlo intendere, ma non era verosimilmente quello l’apice del discorso né era quello il destinatario principale. [...]

Inoltre, ciò che si è poi spesso ricordato della trattazione è che il papa opponeva all’ermeneutica della rottura un’ermeneutica della continuità. Ora, l’attenta lettura del testo porta a un’altra conclusione. [...] Ciò che Benedetto XVI ha opposto all’ermeneutica della rottura è "un’ermeneutica della riforma nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa". [...]


L'ERMENEUTICA DELLA RIFORMA


È in questa trattazione che Benedetto XVI fa riferimento alla rivoluzione francese e al liberalismo, e giunge alla conclusione che tutto ciò "aveva provocato da parte della Chiesa, nel XIX secolo, sotto Pio IX, condanne severe e radicali di quello spirito dell’epoca moderna". Qui ritroviamo precisamente i riferimenti consueti dei tradizionalisti e Benedetto XVI si pone molto chiaramente sul loro terreno, ricorrendo ai loro riferimenti e affrontando direttamente le loro domande. [...]

Egli poneva di conseguenza al centro della sua proposta i grandi dossier del contenzioso che opponeva i tradizionalisti al Vaticano II. E giungeva alla conclusione:

"È chiaro che in tutti questi settori, il cui insieme forma un’unica questione, poteva emergere una certa forma di discontinuità [...] nella quale comunque [...] appariva che la continuità dei principi non veniva abbandonata. [...] È appunto in quest’insieme di continuità e di discontinuità a diversi livelli che consiste la natura della vera riforma". [...]

Il papa si dedica poi, a partire dall’esempio della questione della libertà religiosa, a mostrare in che cosa consista questa ermeneutica della riforma.


IN CONCLUSIONE


Come abbiamo visto, la presentazione del Concilio come rottura in rapporto alla tradizione, è un motivo ben attestato nell’orbita tradizionalista. [...] A partire da questo "topos" – il Concilio inteso come rottura con la tradizione – si è sviluppata l’idea di presentare il Concilio in continuità con l’insieme della tradizione e si è sviluppata la proposta di un’ermeneutica della continuità.

Il cardinale Ratzinger, quand'era prefetto della congregazione per la dottrina della fede, contribuì a questo sviluppo. Possiamo pensare che si trattasse di uno sforzo che mirava a favorire la riconciliazione tra Roma e Lefebvre. Ma la proposta del cardinale Ratzinger, sorretta da una profonda concezione della tradizione, è stata recepita mediante una piroetta ermeneutica che consisteva nell’interpretare il Concilio a partire dai testi pontifici del XIX secolo e della prima metà del XX, e non il contrario.

Lo sforzo, con l’obiettivo di affermare che, alla fine, il Concilio non ha detto altro che quello che già si sapeva, è stato ripreso in diversi modi: la tesi monumentale di p. Basile Valuet [sulla libertà religiosa] ne offre un esempio, ma non è il solo. [...] Questa maniera di concepire l’ermeneutica della continuità, maniera dolce di sostenere la propria opposizione al Concilio (si veda Brunero Gherardini), tuttavia si accorda male con [...] la proposta di Benedetto XVI di porre in atto un’ermeneutica della riforma.

Di fatto, è tutta una concezione del Concilio e della sua autorità a essere implicata in questa maniera di concepire l’ermeneutica della continuità. [...] La proposta di un’ermeneutica della continuità viene utilizzata come un mezzo per ridimensionare, banalizzare e sminuire, o persino per rinnegare il Concilio e il suo insegnamento, senza dover perdere la faccia. [...]

Ma Giovanni XXIII, Paolo VI e Benedetto XVI hanno una concezione molto più ricca della tradizione, [...] che non può essere concepita come semplice ripetizione. La proposta di Benedetto XVI di un’ermeneutica della riforma – poiché è proprio questa che egli pone in primo piano e non l’ermeneutica della continuità, come spesso si dice – [...] merita di essere presa sul serio.

Oggi essa può rappresentare un vero compito per la teologia, che non può accontentarsi di un’ermeneutica detta della continuità che rimanda a una concezione ripetitiva e indebolita della tradizione, che Benedetto XVI non condivide e che serve solo a un’operazione di smantellamento del Concilio Vaticano II.

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Il discorso di Benedetto XVI del 22 dicembre 2005 sull'ermeneutica del Concilio Vaticano II:

> "Expergiscere, homo..."

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La lettera di Benedetto XVI del 10 marzo 2009 riguardo al ritiro della scomunica ai quattro vescovi consacrati da Lefebvre:

> "La remissione della scomunica..."


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Il comunicato emesso dalla Santa Sede a conclusione dell'ultima tornata di incontri, nel 2011, tra la Fraternità San Pio X e la congregazione per la dottrina della fede:

> "Il 14 settembre 2011..."

Nel comunicato si informa che Roma ha chiesto ai lefebvriani – come condizione "sine qua non" per il loro rientro nella Chiesa – di firmare un “preambolo” con "alcuni principi dottrinali e criteri di interpretazione della dottrina cattolica, necessari per garantire la fedeltà al magistero della Chiesa e il 'sentire cum Ecclesia', lasciando nel medesimo tempo alla legittima discussione lo studio e la spiegazione teologica di singole espressioni o formulazioni presenti nei documenti del Concilio Vaticano II e del magistero successivo".

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Una vivace e dotta discussione sull'ermeneutica del Concilio Vaticano II e del magistero della Chiesa è in corso da diversi mesi in www.chiesa e nel blog "Settimo Cielo".

In essa sono intervenuti a più riprese, il più delle volte con contributi originali, Francesco Agnoli, Francesco Arzillo, Inos Biffi, Giovanni Cavalcoli, Stefano Ceccanti, Georges Cottier, Roberto de Mattei, Masssimo Introvigne, Walter Kasper, Agostino Marchetto, Alessandro Martinetti, Enrico Morini, Enrico Maria Radaelli, Fulvio Rampi, Martin Rhonheimer, Gilles Routhier, Basile Valuet, David Werling, Giovanni Onofrio Zagloba.

Altri interventi sono in cantiere, anche a seguito dell'uscita di un nuovo saggio del professor Roberto de Mattei, "Apologia della Tradizione", poscritto al precedente libro dello stesso autore "Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta", entrambi editi da Lindau.

In ordine cronologico, ecco tutte le precedenti puntate della discussione:

> I grandi delusi da papa Benedetto (8.4.2011)

> Francesco Agnoli: il funesto ottimismo del Vaticano II (8.4.2011)

> I delusi hanno parlato. Il Vaticano risponde (18.4.2011)

> Chi tradisce la tradizione. La grande disputa (28.4.2011)

> La Chiesa è infallibile, ma il Vaticano II no (5.5.2011)

> Benedetto XVI "riformista". La parola alla difesa
 (11.5.2011)

> Libertà religiosa. La Chiesa era nel giusto anche quando la condannava?(26.5.2011)

> La Chiesa può cambiare la sua dottrina? La parola a Ceccanti e a Kasper(29.5.2011)

> Ancora su Stato e Chiesa. Dom Valuet risponde a Ceccanti (30.5.2011)

> Padre Cavalcoli scrive da Bologna. E chiama in causa i "bolognesi"(31.5.2011)

> Può la Chiesa cambiare dottrina? Il professor "Zagloba" risponde (6.6.2011)

> Tra le novità del Concilio ce n'è qualcuna infallibile? San Domenico dice di sì
(8.6.2011)

> Un "grande deluso" rompe il silenzio. Con un appello al papa (16.6.2011)

> Bologna parla: la tradizione è fatta anche di "rotture" (21.6.2011)

> Esami d'infallibilità per il Vaticano II. Il quizzone del professor Martinetti(27.6.2011)

> Il bolognese Morini insiste: la Chiesa ritorni al primo millennio
 (15.7.2011)

> La Tradizione abita di più in Occidente. Padre Cavalcoli ribatte a Morini(27.7.2011)

> Rampi: come cantare il gregoriano nel secolo XXI (3.8.2011)

> Concilio, cantiere aperto. Ma c'è chi incrocia le braccia (17.10.2011)

> "Troppi pastori scappano all'arrivo del lupo". Cavalcoli replica a Cottier(24.10.2011)

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