ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 5 febbraio 2012

DON GABRIELE AMORTH RACCONTA IL SUO PRIMO ESORCISMO


Ogni volta che faccio un esorcismo entro in battaglia. Prima di entrarvi indosso una corazza. Una stola viola i cui lembi sono più lunghi di quelli che solitamente indossano i preti quando dicono messa. La stola spesso la avvolgo attorno alle spalle del posseduto. È efficace, serve a tranquillizzare i posseduti quando, durante l’esorcismo, vanno in trance, sbavano, urlano, acquisiscono una forza sovrumana e attaccano. Quindi porto con me il libro in latino con le formule di esorcismo. Dell’acqua benedetta che a volte spruzzo sull’indemoniato. E un crocifisso con incastonata dentro la medaglia di san Benedetto. È una medaglia particolare, molto temuta da Satana.

La battaglia dura ore. E non si conclude quasi mai con la liberazione. Per liberare un posseduto ci vogliono anni. Tanti anni. Satana è difficile da sconfiggere. Spesso si nasconde. Si cela. Cerca di non farsi trovare. L’esorcista deve stanarlo. Deve obbligarlo a rivelargli il suo nome. E poi, nel nome di Cristo, deve obbligarlo a uscire. Satana si difende con tutti i mezzi. L’esorcista si fa aiutare da dei collaboratori incaricati di tenere fermo il posseduto. Nessuno di questi può parlare col posseduto. Se lo facessero, Satana ne approfitterebbe per attaccarli. L’unico che può parlare col posseduto è l’esorcista. Questi non dialoga con Satana. Semplicemente gli rivolge degli ordini. Se dialogasse con lui, Satana lo confonderebbe fino a sconfiggerlo.
Oggi faccio esorcismi su cinque o sei persone al giorno. Fino a qualche mese fa ne facevo molti di più, anche dieci o dodici. Esorcizzo sempre, anche di domenica. Anche a Natale. Tant’è che un giorno padre Candido mi disse: «Devi prenderti dei giorni di riposo. Non puoi esorcizzare sempre». «Ma io non sono come te» risposi. «Tu hai un dono che io non ho. Solo ricevendo una persona per qualche minuto sai dire se è posseduta o meno. Io non ho questo dono. Prima di capire devo ricevere ed esorcizzare».   Col passare degli anni ho acquisito molta esperienza. Ma ciò non significa che «il gioco» sia più facile. Ogni esorcismo è un caso a sé stante. Le difficoltà che incontro oggi sono le medesime che incontrai la prima volta quando, dopo mesi di prove da solo in casa, padre Candido mi disse: «Coraggio, oggi tocca a te. Oggi entri in battaglia».

«Sei proprio sicuro che sono pronto?»

«Nessuno è mai pronto per questo genere di cose. Ma tu sei sufficientemente preparato per cominciare. Ricordati. Ogni battaglia ha i suoi rischi. Tu dovrai correrli uno per uno».

Il momento fatidico

L’Antonianum è un grande complesso situato a Roma in via Merulana, poco distante da piazza San Giovanni in Laterano. Lì, in una stanza poco accessibile ai più, faccio il mio primo grosso esorcismo. È il 21 febbraio 1987. Un frate francescano di origine croata, padre Massimiliano, ha chiesto aiuto a padre Candido per il caso di un contadino dell’agro romano che, secondo il suo parere, ha bisogno di essere esorcizzato. Padre Candido gli dice: «Non ho tempo. Ti mando padre Amorth». Entro nella stanza dell’Antonianum da solo. Sono arrivato con qualche minuto d’anticipo. Non so cosa aspettarmi. Ho fatto tanta pratica. Ho studiato tutto quello che c’è da studiare. Ma operare sul campo è un’altra cosa. So poco della persona che devo esorcizzare. Padre Candido è stato piuttosto vago. Il primo a entrare nella stanza è padre Massimiliano. Dietro di lui, un’esile figura. Un uomo di venticinque anni, magro. Si notano le sue umili origini. Si vede che tutti i giorni ha a che fare con un lavoro bellissimo ma anche molto duro. Le mani sono ossute e grinzose. Mani che lavorano la terra. Prima ancora che inizi a parlargli, entra una terza persona, inaspettata.
«Lei chi è?» chiedo.
«Sono il traduttore» dice.
«Il traduttore?»
Guardo padre Massimiliano e chiedo spiegazioni. So che ammettere nella stanza dove si svolge un esorcismo una persona non preparata può essere fatale. Satana durante un esorcismo attacca i presenti se impreparati. Padre Massimiliano mi rassicura: «Non gliel’hanno detto? Quando va in trance parla solo in inglese. Serve un traduttore. Altrimenti non sappiamo cosa vuole dirci. È una persona preparata. Sa come comportarsi. Non commetterà ingenuità». Indosso la stola, prendo in mano il breviario e il crocifisso. A portata di mano tengo l’acqua benedetta. Inizio a recitare l’esorcismo in latino. «Non ricordarti, Signore, delle colpe nostre o dei nostri genitori e non punirci per i nostri peccati. Padre nostro... E non ci indurre in tentazione ma liberaci dal male».

Una statua di sale

Il posseduto è una statua di sale. Non parla. Non reagisce. Rimane immobile seduto sulla sedia di legno dove l’ho fatto accomodare. Recito il salmo 53. «Dio, per il tuo nome salvami, per la tua potenza rendimi giustizia. Dio, ascolta la mia preghiera, porgi l’orecchio alle parole della mia bocca, poiché sono insorti contro di me gli arroganti e i prepotenti insidiano la mia vita, davanti a sé non pongono Dio...».  Ancora nessuna reazione. Il contadino sta in silenzio, lo sguardo fisso per terra. (...)  «Salva il tuo servo qui presente, Dio mio, poiché spera in te. Sii per lui, Signore, torre di fortezza. Di fronte al nemico, niente possa il nemico contro di lui. E il figlio dell’iniquità non gli possa nuocere. Manda, Signore, il tuo aiuto dal luogo santo. E da Sion mandagli la difesa. Signore, esaudisci la mia preghiera. E il mio grido giunga a te. Il Signore sia con voi. E con il tuo spirito».

È a questo punto che, di colpo, il contadino alza la testa e mi fissa. E nello stesso istante esplode in un urlo rabbioso e spaventoso. Diventa rosso e inizia a urlare invettive in inglese. Rimane seduto. Non si avvicina a me. Sembra temermi. Ma insieme vuole spaventarmi. «Prete finiscila! Zitto, zitto, zitto!»
E giù bestemmie, parolacce, minacce. Accelero col rituale. (...) Il posseduto continua a urlare: «Zitto, zitto, stai zitto». E sputa per terra e addosso me. È furioso. Sembra un leone pronto al grande balzo. È evidente che la sua preda sono io. Capisco che devo andare avanti. E arrivo fino al «Praecipio tibi» - «Comando a te». Ricordo bene quanto mi aveva detto padre Candido le volte che mi aveva istruito sui trucchi da usare: «Ricordati sempre che il “Praecipio tibi” è spesso la preghiera risolutiva. Ricordati che è la preghiera più temuta dai demoni. Credo davvero sia la più efficace. Quando il gioco si fa duro, quando il demonio è furioso e sembra forte e inattaccabile, arriva in fretta lì. Ne trarrai giovamento nella battaglia. Vedrai quanto è efficace quella preghiera. Recitala a voce alta, con autorità. Buttala addosso al posseduto. Ne vedrai gli effetti». (...) Il posseduto continua a urlare. Adesso il suo lamento è un ululato che sembra venire dalle viscere della terra. Insisto. «Esorcizzo te, immondissimo spirito, ogni irruzione del nemico, ogni legione diabolica, nel nome del nostro Signore Gesù Cristo, di sradicarti e fuggire da questa creatura di Dio».

Grida spaventose

L’urlo diviene ululato. E diviene sempre più forte. Sembra infinito. «Ascolta bene e trema, o Satana, nemico della fede, avversario degli uomini, causa della morte, ladro della vita, avversario della giustizia, radice dei mali, fomite dei vizi, seduttore degli uomini, ingannatore dei popoli, incitatore dell’invidia, origine dell’avarizia, causa della discordia, suscitatore delle sofferenze». Gli occhi gli vanno all’indietro. La testa penzola dietro lo schienale della sedia. L’urlo continua altissimo e spaventoso. Padre Massimiliano cerca di tenerlo fermo mentre il traduttore arretra spaventato di qualche passo. Gli faccio segno di indietreggiare ulteriormente. Satana si sta scatenando. «Perché stai lì e resisti, mentre sai che Cristo Signore ha distrutto i tuoi disegni? Temi colui che è stato immolato nella figura di Isacco, è stato venduto nella persona di Giuseppe, è stato ucciso nella figura dell’agnello, è stato crocifisso come uomo e poi ha trionfato sull’inferno. Vattene nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».


Il demonio sembra non cedere. Ma il suo grido ora si attenua. Adesso mi guarda. Un po’ di bava gli esce dalla bocca. Lo incalzo. So che devo costringerlo a svelarsi, a dirmi il suo nome. Se mi dice il suo nome è segno che è quasi sconfi tto. Svelandosi, infatti, lo costringo a giocare a carte scoperte. «E ora dimmi, spirito immondo, chi sei? Dimmi il tuo nome! Dimmi, nel nome di Gesù Cristo, il tuo nome!». È la prima volta che faccio un grosso esorcismo e, dunque, è la prima volta che chiedo a un demonio di rivelarmi il suo nome. La sua risposta mi raggela. «I’m Lucifer» dice con voce bassa e cadenzando lentamente tutte le sillabe. «Io sono Lucifero». Non devo cedere. Non devo arrendermi ora. Non devo mostrarmi spaventato. Devo continuare l’esorcismo con autorità. Sono io che conduco il gioco. Non lui.

«Impongo a te, serpente antico, nel nome del giudice dei vivi e dei morti, del tuo Creatore, del Creatore del mondo, di colui che ha il potere di precipitarti nella Geenna, affinché te ne vada via subito, con paura e insieme al tuo esercito furioso, da questo servo di Dio che ha fatto ricorso alla Chiesa. Lucifero, io ti impongo di nuovo, non in forza della mia debolezza, ma per la forza dello Spirito Santo, di uscire da questo servo di Dio, che Dio onnipotente ha creato a sua immagine. Cedi, dunque, cedi non a me ma al ministro di Cristo. Te lo impone il potere di colui che ti ha soggiogato con la sua croce. Trema di fronte alla forza di colui che, vinte le sofferenze infernali, ha ricondotto le anime alla luce».

Il posseduto torna a ululare. La testa buttata di nuovo dietro lo schienale della sedia. La schiena curva. È passata più di un’ora. Padre Candido mi ha sempre detto: «Finché hai energie e forze vai avanti. Non si deve cedere. Un esorcismo può durare anche un giorno. Cedi solo quando capisci che il tuo fisico non regge». Ripenso a tutte le parole che mi ha detto padre Candido. Vorrei tanto fosse qui vicino a me. Ma non c’è. Devo fare da solo. (...)

Non pensavo, prima d’iniziare, che potesse succedere. Ma d’un tratto ho la netta sensazione della presenza demoniaca davanti a me. Sento questo demonio che mi fissa. Mi scruta. Mi gira intorno. L’aria è diventata fredda. C’è un freddo terribile. Anche di questi sbalzi di temperatura mi aveva preavvertito padre Candido. Ma un conto è sentire parlare di certe cose. Un conto è provarle. Cerco di concentrarmi. Chiudo gli occhi e a memoria continuo la mia supplica. «Esci, dunque, ribelle. Esci seduttore, pieno di ogni frode e falsità, nemico della virtù, persecutore degli innocenti. Lascia il posto a Cristo, in cui non c’è niente delle tue opere (...)».

È a questo punto che accade un fatto inaspettato. Un fatto che non si ripeterà più nel corso della mia lunga «carriera» di esorcista. Il posseduto diventa un pezzo di legno. Le gambe stese in avanti. La testa allungata all’indietro. E inizia a levitare. Si alza in orizzontale di mezzo metro sopra lo schienale della sedia. Resta lì, immobile, per parecchi minuti sospeso nell’aria. Padre Massimiliano arretra. Io resto al mio posto. Il crocifisso ben stretto nella mano destra. Il rituale nell’altra. Mi ricordo della stola. La prendo e lascio che un lembo tocchi il corpo del posseduto. Questi è ancora immobile. Rigido. Zitto. Provo ad affondare un altro colpo. «(...) Mentre puoi ingannare l’uomo, non puoi irriderti di Dio. Ti caccia via lui, ai cui occhi niente è nascosto. Ti espelle lui, alla cui forza tutte le cose sono soggette. Ti esclude lui, che ha preparato per te e per i tuoi angeli il fuoco eterno. Dalla sua bocca esce una spada tagliente: lui che verrà a giudicare i vivi e i morti, e i tempi per mezzo del fuoco. Amen».

Infine, la liberazione

Un tonfo accoglie il mio Amen. Il posseduto si affloscia sulla sedia. Farfuglia parole che fatico a comprendere. Poi dice in inglese: «Uscirò il 21 giugno alle ore 15. Uscirò il 21 giugno alle ore 15». Quindi mi guarda. Adesso i suoi occhi non sono altro che gli occhi di un povero contadino. Sono pieni di lacrime. Capisco che è tornato in sé. Lo abbraccio. E gli dico: «Finirà presto». Decido di ripetere l’esorcismo tutte le settimane. Tutte le volte si ripete la stessa scena. La settimana del 21 giugno lo lascio libero. Non voglio interferire con il giorno in cui Lucifer ha detto che sarebbe uscito. So che non devo fi darmi. Ma a volte il diavolo non è in grado di mentire. La settimana successiva a quella del 21 giugno lo riconvoco. Arriva come sempre accompagnato da padre Massimiliano e dal traduttore. Sembra sereno. Inizio a esorcizzarlo. Nessuna reazione. Resta calmo, lucido, tranquillo. Gli spruzzo un po’ d’acqua benedetta addosso. Nessuna reazione. Gli chiedo di recitare con me l’Ave Maria. La recita tutta senza dare in escandescenze. Gli chiedo di raccontarmi cosa è successo il giorno in cui Lucifer ha detto che se ne sarebbe andato via da lui. Mi dice: «Come tutti i giorni sono andato a lavorare da solo nei campi. Nel primo pomeriggio ho deciso di fare un giro con il trattore. Alle 15 mi è venuto da urlare fortissimo. Credo di aver fatto un urlo terrificante. Alla fine dell’urlo mi sentivo libero. Non so spiegarlo. Ero libero». Non mi capiterà più un caso simile. Non sarò mai più così fortunato, liberare un posseduto in così poche sedute, in soli cinque mesi, un miracolo.

- L’ultimo esorcista (Piemme), di Padre Gabriele Amorth - *(scritto con Paolo Rodari) -

   da diglilaverita

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