ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 7 febbraio 2012

Evangelizzazione e modernismo


La recente vicenda relativa allo spettacolo teatrale di Castellucci ed alle su dichiarazioni in merito ripropone il problema del quale tanto si parla ossia della nuova evangelizzazione, sulla quale come è noto da tempo insistono gli ultimi Papi al seguito del programma del Concilio Vaticano II.
Nonostante l’intervento della Santa Sede fatto alla comunità cristiana a “reagire in modo fermo e composto” all’indegno insulto contro Cristo perpetrato dallo spettacolo di Castellucci, non pare proprio, considerando almeno l’atteggiamento in genere di teologi, pastori, mass-media ed intellettuali cattolici, che tale reazione si sia fatta notare, almeno nei termini auspicati nell’ormai famosa Lettera della Segreteria di Stato, in appoggio al precedente intervento della Curia milanese.

Si è avuta la sensazione, davanti ad un attacco nemico così sfacciato ed arrogante, di un “esercito” disorganizzato, opportunista, imboscato, frastornato, sornione, sparpagliato, inetto, addirittura in certi casi connivente col nemico, nel quale, arrampicandosi sugli specchi, si è pensato in alcuni casi di trovare, fraintendendo completamente, accenti di spiritualità o pietà cristiana.
Io stesso ho riconosciuto che nell’opera di Castellucci, di fatto e per suo stesso riconoscimento, esistono istanze degne di essere prese in considerazione: il problema della miseria umana, quello della preghiera inesaudita, il posto di Cristo nella nostra vita, il problema stesso dell’esistenza di Dio. Il problema allora non è né quello di un semplice gesto di disgusto, né di una condanna globale e senza appello, né ancor meno quello di un’ingenua benevolenza che sconfina nella dabbenaggine, in un maldestro tentativo di salvare in Castellucci ciò che non è salvabile, confondendo, come certi cattolici hanno fatto, la bestemmia con la preghiera o la mistica con l’ateismo.
Si sono viste le “sofferenze” di Cristo. Ma anche qui alcuni hanno fatto una gran confusione: un conto infatti sono le sofferenze che gli infliggono i suoi nemici e un conto sono le sofferenze di Cristo fatte proprie dai santi. Non si vede proprio come il gettare della merda in faccia a Cristo dovrebbe far riferimento a quest’ultima sofferenza e non piuttosto alla prima.
Parliamo tanto di “evangelizzazione”, ce ne riempiamo la bocca, sì, ma poi come spesso viene intesa questa “evangelizzazione”? Essa, senza mancare di aspetti positivi e innovativi, quali sono quelli suggeriti dal Concilio, risente di alcuni presupposti assolutamente falsi, che indebitamente i modernisti vorrebbero avallare con l’autorità del Concilio.
Il positivo ormai lo sappiamo tutti qual è: la ricerca, come già diceva Giovanni XXIII, di ciò che ci unisce, il fondarci su comuni princìpi di umanità, di ragione e di giustizia, il rispetto delle diversità, la gradualità dell’insegnamento e dell’introduzione alla fede, il rispetto della libertà di coscienza e di religione, la rinuncia a privilegi davanti allo Stato, la tolleranza, la rinuncia ad ogni impazienza o indebita pressione o a qualunque mezzo ambiguo o disonesto, la reciproca conoscenza, l’apprezzamento dei valori altrui, la franca esposizione della propria identità, la volontà di persuadere con validi argomenti chiedendo un assenso libero e volontario.
Senonchè però soprattutto in questi ultimi decenni la vera evangelizzazione si è smorzata, ha perso il suo slancio, si è infiacchita o addirittura falsificata per una serie di motivi che è bene qui mettere in luce onde eliminarli. Purtroppo i modernisti li sostengono con ostinazione, ciechi ai risultati negativi o disastrosi che essi producono, per cui viene quasi il sospetto che essi, benchè tengano al nome cattolico ed anzi considerandosi all’avanguardia della vita ecclesiale, appunto “moderni” e “progressisti” – il termine “modernista” che invece più si attaglia, a loro non piace -, in realtà non stanno facendo un’opera costruttiva ma distruttrice, non sappiamo quanto rendendosene conto.
Non stanno diffondendo il cristianesimo, ma relativizzandolo e indebolendolo, permettono che esso restringa continuamente i suoi confini visibili, lasciando spazio a movimenti più decisi, agguerriti e seducenti, come per esempio l’Islam, il buddismo, il laicismo, New Age, la massoneria ed altri. Oppure lo diffondono nella versione non cattolica ma protestante, la quale, per la sua intrinseca debolezza e i suoi errori, apre all’ingresso di ideologie anticristiane, magari sotto mentita specie.
La falsa evangelizzazione parte innanzitutto dalla negazione del principio fondamentale della morale, che è amare il bene ed odiare il male. “Quanto più si ama il bene – diceva S.Caterina da Siena – tanto più si odia il male”. Oggi si parla molto di amore, ma è scomparsa la tradizionale esortazione ad odiare ilfalso e il peccatoSi ama il bene ma non ci si oppone al male. Ma con ciò ci va di mezzo anche il bene e si cade nella doppiezza.
A ciò è legato un altro errore: la confusione del contrario col diverso. Occorre rispettare il diverso, si dice. Ed è giusto. Ma poi cosa s’intende con “diverso”? Non ciò che è un altro vero o un altro bene, diverso dal nostro, ma semplicemente ciò che oggettivamente non è vero e non è bene. Dunque, in nome del diverso o del pluralismo o della libertà ci si invita ad mare o quanto meno a rispettare il falso e il male.
Ma ciò a sua volta da cosa dipende? Da una concezione relativistica del vero e del bene: non si crede a un vero e ad un bene universali, validi per tutti in nome della comune natura umana o della comune destinazione alla salvezza, ma si pensa che ognuno sia libero di decidere per conto proprio ciò che è vero e ciò che è bene, per cui ciò che vale per me non è detto che valga per te, cosa che non mi autorizza a cercare di “correggerti” o a farti cambiare idea, perché diversamente non ti lascerei libero ma ti farei violenza.
Sarebbe come se un medico davanti a un malato, dicesse: a me piace la salute, ma costui lasciamolo libero di essere malato, altrimenti non rispetteremmo la diversità tra salute e malattia. Oppure potremmo pensare al medico che, invece di dedicarsi alle cure mediche, si limitasse a prescrivere a tutti pratiche salutistiche, di ginnastica o di buona alimentazione, rinunciando a praticare diagnosi e quindi cure, viste da lui come un far violenza a chi è diverso da lui.
Chi mi conosce, sa che nella mia ormai quarantennale attività pubblicistica, quando parlo di una persona o una dottrina nel suo complesso, non manco mai di rilevare aspetti positivi, anche quando questi soggetti sono affetti da gravi errori. Diverso è il caso di quando esamino un errore per se stesso: esso non può non essere condannato globalmente, benchè anche qui io segua l’insegnamento del mio Maestro S.Tommaso d’Aquino, il quale, con la sua carità tutta domenicana, dice che non c’è errore e non c’è eresia che non contenga un’istanza di verità, in ossequio alla natura dell’intelletto, anche il più perverso, che resta fatto per la verità. E porta un esempio: se io dico “l’uomo è un asino”, certo sbaglio, ma è pur vero che l’uomo esiste e l’asino esiste. Eppure anche da parte di Superiori e confratelli mi son sentito dire che io “sparo al prossimo”, che sono un “talebano”, un “fondamentalista” e che sono “troppo polemico”. Questi tali, poi, che si atteggiano a grandi dialoganti rispetto della diversità”, se poi ti azzardi garbatamente a dir loro che sbagliano, apriti cielo!
Un errore circa il concetto di evangelizzazione sta nel ridurla all’attività ecumenica, peraltro anch’essa intesa in modo sbagliato. In ambienti modernisti sta sorgendo il concetto di un cristianesimo “ecumenico” che secondo loro dovrebbe sostituire il “vecchio” cristianesimo che pretende con i suoi dogmi di insegnare su Dio la verità suprema e quindi si propone come “luce del mondo” “sale della terra”.
Stando così le cose, secondo costoro, non si tratta di correggere nessuno, ma semplicemente di prender atto della verità che già tutti possiedono, discenda essa o da semplici esigenze umane o sia espressione di un’universale esperienza della grazia che, come dice Rahner, già tutti noi possediamo in maniera originaria e né possiamo perdere o acquisire, perchè è costitutivo essenziale della stessa esistenza umana, la quale non è altro che apertura e tensione verso Dio inteso come “orizzonte della trascendenza umana”.
Costoro non rinunciano indubbiamente all’universalità del cristianesimo e ad un certa opera “evangelizzatrice” intesa a modo loro. Infatti, in che consisterebbe questa “universalità” del cristianesimo? Non certo in dogmi concettualmente formulati, univoci ed immutabili, da insegnare a tutte le genti. I dogmi, per costo, come già per il modernismo dei tempi di S.Pio X, sono semplici particolari e contingenti opinioni soggettive, progrediscono non per evoluzione omogenea ma per rottura e contraddizione, come dice Schillebeeckx; non hanno quindi un valore assoluto ma solo parziale, relativo al solo cristianesimo, il quale pertanto, se vuol inserirsi nell’attuale contesto internazionale delle religioni, deve riconoscere tranquillamente anche le dottrine, benchè contrarie, delle altre religioni, così come in un ristorante chi sceglie gli spaghetti, non giudica eretico chi invece preferisce i maccheroni.
Se dunque l’universalità del cristianesimo non sta nei dogmi, dove sta? Qui ci sono due teorie diverse, che possono integrarsi a vicenda. Ci sono i mistici atematici, che si rifanno a Rahner, secondo i quali l’elemento universale del cristianesimo non sta nei concetti, che sono “storici”, ossia mutevoli e relativi, ma in un’ineffabile ed inesprimibile “esperienza preconcettuale atematica trascendentale” di Dio e della sua grazia, esplicitamente o implicitamente comune a tutti gli uomini, necessaria e inamissibile, ossi sempre presente, che garantisce per tutti sin da adesso la salvezza futura.
I singoli sistemi concettuali delle varie religioni, compreso il cristianesimo, non sono che espressioni particolari dell’unica esperienza trascendentale. Compito dell’evangelizzazione è appunto quello di render gli uomini consapevoli di questo fatto. Il missionario che annuncia il Vangelo non annuncia a nessuno mai nulla di nuovo, ma conduce l’evangelizzando a prender coscienza dell’esperienza trascendentale soprannaturale che già possiede.
L’altra forma di evangelizzazione invece – e questa è la proposta di Schillebeecxk – riconduce l’evangelizzando, senza escludere l’esperienza atematica rahneriana, alla presa di coscienza di valori umani universali attinenti i diritti umani, la solidarietà, la ricerca della giustizia della pace. Il messaggio cristiano non ha nulla di sacrale o di soprannaturale, che sarebbe “magia”, ma è una semplice promozione umana, della giustizia, della pace e della felicità, anche perché il “Regno di Dio” non è un altro mondo dopo la morte, ma è semplicemente questo mondo pienamente liberato dalla sofferenza e dall’ingiustizia.
Un’altra cosa da notare sul metodo modernista dell’evangelizzazione. Questo metodo, di marca chiaramente buonista, suppone che l’apostolo annunci il Vangelo a un modo tutto composto di uomini ragionevoli, di buona volontà, in buona fede e con rette intenzioni, di nulla in attesa che di venire a conoscere la Parola di Dio e tutti ben disposti nei confronti della sua messa in pratica, tutti desiderosi di ricevere la misericordia divina e bisognosi di questa misericordia.
Secondo questo metodo, quindi, non si tratta di avvertire o minacciare nessuno, ma semplicemente, mediante un dialogo tranquillo, fiducioso e cortese, di condurre tutti alla conoscenza di quella verità che già desiderano e che in fondo si trova già aprioricamente nell’intimo della loro coscienza, come rivelazione originaria del Logos divino. Occorre pertanto bandire ogni controversia, ogni polemica, ogni condanna, che sono mancanza di carità e pericolo per una seria convivenza civile, così come oggi esige la modernità.
Sono finite – si dice – le crociate, le inquisizioni, le condanne per eresia, le confutazioni degli errori. Il compito è solo quello dello scambio e dell’arricchimento reciproco. Occorre, si dice, lasciarsi “mettere in crisi”, in piena “apertura all’altro”, evitando di arroccarsi su posizioni tradizionali ormai superate, occorre invece essere disponibili al nuovo e al cambiamento, giacchè il Vangelo è perenne novità che rivoluziona tutte le nostre certezze.
Quante volte abbiamo sentito questi discorsi! Essi ovviamente contengono una parte di verità, ma nella loro equivocità, invece di divulgare la fede, hanno indotto molti a ridurla a un lumicino o ad abbandonarla del tutto. Occorre recuperare da una parte l’amore per la tradizione – ovviamente per una tradizione viva e divina e non per tradizioni umane superate – e dall’altra il senso agonistico della vita cristiana, che non comporta odio per nessuno, ma coraggio nella fedeltà a Cristo ed occhi aperti contro le insidie del maligno. Evangelizzare vuol dir trasmettere intatto il deposito della fede, il che suppone la precisione nel conoscerlo e la diligenza nel conservarlo. Il cristiano non può non essere un “conservatore”.
Occorre vincere quanto si oppone alla diffusione del Vangelo. Occorre liberare gli oppressi dalle mani degli oppressori. “Il regno di Dio si conquista con la forza e i violenti se ne impadroniscono”(Mt 11,12). L’evangelizzazione è, come dice S.Paolo, una “buona battaglia”, di difesa e di attacco, ma sempre nella carità.
E’ un po’ di tempo che non sentiamo più questo linguaggio. Bisogna che lo recuperiamo, perché è linguaggio del Vangelo. Cristo non è solo Agnello, ma anche Leone. Porgere l’altra guancia non significa cedere le armi al nemico. Se ci mostriamo deboli, il nemico ne approfitta. E se alla nostra reazione fa peggio, peggio per lui, anche se è vero che non dobbiamo provocarlo, soprattutto se le nostre forze sono scarse. Comunque l’amore per il nemico non è connivenza con la sua inimicizia. La vita cristiana non è un placido dialogo in un confortevole salotto con pasticcini e al caldo del caminetto. E’ una guerra nella quale si gioca tutto per tutto, o vince per la vita eterna o si perde per la dannazione eterna.
Abbiamo perduto questi valori, questo stile, sotto colore di una “carità” dolciastra ed imbelle, a scapito della verità. Dobbiamo riscuoterci. Occorre recuperarli. E ciò senza per questo sclerotizzarci o irrigidirci in atteggiamenti anacronistici o rancorosi, ma sempre lucidi ed animati dalla carità, la quale certo propone e non impone, sollecita e non violenta, è premurosa ma rispettosa, sacrifica ma per salvare, attende e non ha fretta, serve e non si serve, fa avanzare mentre trasmette, fa crescere mentre conserva, trascina facendo liberi. Come dice S.Paolo: “Ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina”(II Tm 4,2).

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