ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 18 maggio 2012

Beati prossimi discussi

Se Cl fa (ancora) discutere il mondo cattolico

Don Luigi Giussani, il fondatore di Cl
DON LUIGI GIUSSANI, IL FONDATORE DI CL

Dopo il caso Formigoni e la lettera di don Carron, settimanali e riviste legate alla Chiesa riaprono il dibattito sul rapporto tra la politica e il movimento

 Il dibattito è intenso, ancorché confinato nelle pagine delle riviste del mondo cattolico, quelle che circolano tra «addettissimi» ai lavori: parroci e catechisti («operatori pastorali», ora si dice). E riguarda CL, le vicende di Formigoni, la lettera di don Carron su La Repubblica.

 A dare il via il teologo Giordano Frosini e il laico Giovanni Colombo. Il primo faceva notare sulla rivista Settimana, dei padri dehoniani di Bologna, già alla fine del 2011, il caso «mai risolto» di CL che «non fa niente per convincere chi la guarda dall’esterno di essere qualcosa di diverso da un vero e proprio partito politico. Niente di male – chiosava – purchè non si insista da parte loro e da parte della gerarchia, sulla loro natura ecclesiale». E in proposito la direzione della rivista osservava trattarsi di un «tema scomodo anche se scomparso dall’agenda ecclesiale degli anni Ottanta per sfinimento».

 Il secondo a intervenire, a più riprese, è Giovanni Colombo, già presidente di Azione Cattolica a Milano, laico impegnato in politica. Assiduo nella pagina delle lettere di Settimana ricorda la rovente polemica degli anni Settanta tra CL e Azione Cattolica, sottolineando come fin dall’inizio «CL si è imposta per la proposta integrale che non accetta le distinzioni conciliari tra fede e impegno politico. Esperienza ecclesiale ed esperienza politica sono le due facce della medesima medaglia». Così l’errore, a suo dire, è stato «nel non insegnare e praticare alcune sacrosante distinzioni. La più importante: che il fatto cristiano incontra solo tangenzialmente e per pochi istanti il successo mondano. Regnavit a ligno, non dai bordi di uno yacht».
  
Qualche numero dopo, a maggio si riapre il dibattito. Sempre Colombo nota che «il problema principale di un’autentica formazione politica cristiana sta nella formazione di abiti virtuosi, di una sapienza della prassi» mentre «per i ciellini parlare di abiti virtuosi è insopportabile moralismo e perdita del cristocentrismo». Al contrario, a suo avviso, «le vicende lombarde dimostrano, come minimo, che c’è stata un’eccessiva distrazione sulle opere».
  
Sulla stessa rivista un articolo pubblicato questo mese ricostruisce le vicende. Ed è a firma di Domenico Rosati, negli anni Settanta presidente a lungo delle Acli, quando l’Associazione cattolica dei lavoratori italiani faceva la «scelta socialista» che per decenni gli valse l’inimicizia dei vescovi. Ebbene Rosati ricorda la «fase nascente» di CL quando degli allora giovani dirigenti «allarmava la spregiudicatezza pratica ma sorprendeva l’entusiasmo della testimonianza». E ricorda quel che diceva don Giussani: mandateci in giro nudi ma lasciateci liberi di educare. E conclude, Rosati: «una riflessione sul valore educativo delle esperienze può essere il punto da cui cominciare». Un modo criptico per dire che bisognerebbe discutere apertamente. Proprio quel che non si fa.

Se le riviste cattoliche parlano, attraverso le lettere, i settimanali diocesani usano vie indirette. Un esempio per tutti un editoriale che prende spunto dall’esempio (e dalla morte) dell’ex-presidente Scalfaro per affrontare il tema scottante dei cattolici in politica. Scrive Vincenzo Rini, direttore del settimanale cattolico di Cremona: «non si può essere cattolici in politica se si pensa anzitutto al denaro e molto meno al bene comune. Nè se si ha come unico scopo del proprio impegno la garanzia della propria rielezione. Il cristiano in politica serve il bene comune con la sua opera pubblica, ma anche con tutta la vita, che deve essere retta, esemplare e moralmente ineccepibile». Più chiaro di cosi!
FABRIZIO MASTROFINIROMA

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