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martedì 17 luglio 2012

Cattiva liturgia


A Dublino la rivincita dei vecchi baroni

marini
The Tablet” è un settimanale cattolico inglese di impronta “liberal”, che in Italia ha forse il suo corrispettivo più simile nel quindicinale “Il Regno”.
Ma, al pari della rivista bolognese, dà spazio nella sua documentazione anche a testi importanti di indirizzo conservatore.
È ciò che ha fatto nel suo ultimo numero, in data 14 luglio.
The Tablet” ha pubblicato per intero un discorso tenuto a fine giugno a Salt Lake City da monsignor Andrew R. Wadsworth, direttore esecutivo del segretariato della International Commission on English in the Liturgy, con sede a Washington.
Nel suo discorso, Wadsworth prende spunto dal messaggio indirizzato da Benedetto XVI al congresso eucaristico internazionale tenuto a Dublino dal 10 al 17 giugno.
Per mostrare come la messa conclusiva del congresso non abbia affatto attuato le indicazioni del papa, ma anzi le abbia contraddette.
Wadsworth non fa nomi. Ma la sua critica va direttamente a colpire il presidente del pontificio comitato per i congressi eucaristici internazionali. Che è l’arcivescovo Piero Marini (nella foto), l’indimenticato regista delle celebrazioni liturgiche del pontificato di Giovanni Paolo II, nonché colui che fece cacciare il maestro Domenico Bartolucci da direttore perpetuo del coro della Cappella Sistina, giudicato incompatibile col nuovo corso.
Nel suo messaggio, Benedetto XVI assegna al Concilio Vaticano II “il più ampio rinnovamento del rito romano mai visto prima”.
E così prosegue:
Oggi, a distanza di tempo dai desideri espressi dai padri conciliari circa il rinnovamento liturgico, e alla luce dell’esperienza universale della Chiesa nel periodo seguente, è chiaro che il risultato è stato molto grande; ma è ugualmente chiaro che vi sono state molte incomprensioni ed irregolarità. Il rinnovamento delle forme esterne, desiderato dai Padri Conciliari, era proteso a rendere più facile l’entrare nell’intima profondità del mistero. [...] Tuttavia, non raramente, la revisione delle forme liturgiche è rimasta ad un livello esteriore, e la ‘partecipazione attiva’ è stata confusa con l’agire esterno. Pertanto, rimane ancora molto da fare sulla via del vero rinnovamento liturgico”.
Wadsworth commenta punto per punto queste considerazioni del papa, con esempi concreti.
E come esempio negativo, per mostrare come “la revisione delle forme liturgiche è rimasta ad un livello esteriore, e la ‘partecipazione attiva’ è stata confusa con l’agire esterno”, prende proprio la messa conclusiva del congresso eucaristico di Dublino.
La requisitoria di Wadsworth è molto dettagliata, specie sulla scelta dei canti. A suo giudizio, la celebrazione risentiva molto di uno stile “anni Ottanta”, aveva l’aria di uno “spettacolo”, era frequentemente “salutata da applausi” e c’era un ripetuto allontanamento dalle regole dell’Ordinamento Generale del Messale Romano.
E ancora. Era praticamente assente la lingua latina, nonostante il carattere internazionale dei convenuti. Assente il canto gregoriano. Ignorate le antifone proprie della messa del giorno. Il Credo letto da vari lettori e inframmezzato dal grido di “Credo, Amen”. Alla comunione la performance di tre tenori, con un motivo di musica leggera.
Insomma:
Il deprimente effetto cumulativo del mancato rispetto dell’ordinamento del messale, in una messa di grande impatto, celebrata da un legato pontificio e trasmessa in tutto il mondo, non può essere sottovalutato. [...] È come se i vecchi baroni dell’establishment liturgico abbiano trovato [nei congressi eucaristici internazionali] una nuova e formidabile arena di attività nella quale modellare i loro esempi di mediocre liturgia”.

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