ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 23 agosto 2012

Impressioni di una pellegrina alla ricerca della Roma Cristiana

 (perduta e provvidenzialmente ritrovata)
(di Edith Teresa Liccioli) Ho vissuto per ben dodici anni a Roma, negli anni ormai lontani dell’apogeo della Prima Repubblica, eppure non l’avevo mai vista come la terra che Dio aveva scelto per il martirio dei suoi due principali apostoli e come centro della Cristianità. Per tanto tempo avevo camminato o avevo guidato per la strade di una città che certamente ammiravo e amavo per il fascino delle sue vestigia storiche, sparpagliate un po’ dovunque, ma che mi aveva attratto soprattutto per la visione mitologica che il neorealismo era riuscito ad aggiungere agli altri strati mitografici di cui si nutre la Città Eterna.

All’inizio dell’agosto torrido di un anno così inquietante come il 2012, approfittando di una coincidenza tanto imprevista quanto benedetta, mi sono ritrovata, dopo diciotto anni di lontananza, a Roma. Durante la lunga parentesi della mia assenza, tra le tantissime vicende che compongono i capitoli di qualsiasi biografia, l’evento certamente più importante è stato la mia conversione avvenuta, grazie a Dio, sette anni fa. L’ improvvisa vacanza romana mi offriva dunque l’opportunità di compiere finalmente quel pellegrinaggio spirituale tanto desiderato dopo la conversione, eppure rimasto irrealizzato fino a pochi giorni fa.
Niente di meglio che cominciare dal “cuore” del Vaticano: il luogo del martirio di san Pietro, la terra che ancora oggi accoglie i resti mortali di quella “pietra” su cui Cristo decise di fondare la sua Chiesa. All’ultimo minuto, poco prima della partenza, mandai una richiesta on-line all’Ufficio Scavi della Fabbrica di San Pietro, con poche speranze di essere ammessa a una visita. E invece, incredibilmente, mi risposero subito, avvisandomi di avermi inserito in un gruppo che avrebbe avuto accesso alla necropoli sotto la Basilica Vaticana in coincidenza con l’inizio del mio soggiorno nell’Urbe.
Il giorno previsto e all’ora esatta, mi presento all’ingresso di Via Paolo VI, passo il controllo della polizia, supero anche la barriera delle Guardie Svizzere, aspetto con gli altri membri del gruppo l’ora prescritta e, solo quando arriva la guida specializzata ufficiale, la visita può cominciare. Con grande emozione da parte mia, mi faccio il segno della Croce non appena entro nei resti dell’antica basilica costantiniana.
Fino a quel momento, credevo che per me, così come per gli atri visitatori, le ragioni spirituali fossero prevalenti su quelle meramente storiche o artistiche, soprattutto perché inoltrarsi in uno spazio claustrofobico, reso ancora più oppressivo da una temperatura rovente e con un 95% di umidità (necessaria per la conservazione dei reperti archeologici) per vedere solamente qualche rovina pagana non ha molto senso…
E invece mi son dovuta ricredere. Nonostante nel gruppo ci sia un sacerdote (riconoscibile solo per una piccolissima croce appuntata sulla maglietta e perché la guida si rivolge a lui utilizzando il sostantivo maschile “padre”), nessuno mostra il benché minimo segno di devozione verso un luogo sacro così determinante (o che almeno così determinante dovrebbe essere) per ogni cattolico. E nessuno sembra sorpreso da quello che i nostri orecchi hanno dovuto udire per oltre un’ora e mezza (il tempo della durata della visita).
La guida specializzata e, ripeto, ufficiale, è molto loquace e ancor più agguerrita. Si potrebbe pensare che, dato il luogo, tanta verbosità accalorata sia indirizzata a trasmettere ai visitatori non tanto le caratteristiche architettoniche della necropoli quanto e soprattutto la storia unica della predicazione e del martirio di san Pietro, ovvero gli eventi che determinarono la ragion d’essere dell’immensa Basilica che s’innalzava proprio sopra la nostra testa. Fà davvero impressione passare per gli stretti cunicoli sotterranei, avanzando verso l’Altare della Confessione, mentre da delle graticole finemente decorate aperte sul soffitto della necropoli si vede la fila ininterrotta dei piedi dei pellegrini che procedono, anche loro, verso l’Altare centrale!
In un primo momento, con sopresa e poi con vero e proprio sdegno (la parola giusta sarebbe indignazione, ma visto che ultimamente si utilizza in maniera inflazionistica, cercherò di evitarla), constato che la guida è sí specializzata, ma nel farci un sermone apologetico pro-paganesimo e dunque ideologicamente anticristiano.
In sintesi, quello che la guida ufficiale ci ha propinato e inculcato si può riassumere nei seguenti punti:
1. Dato che nella necropoli venivano inumati sia pagani che cristiani e visto che le leggi dell’Impero Romano tolleravano tutte le religioni, avremmo molto da imparare dalla civiltà classica. Infatti, la storia delle persecuzioni contro i cristiani è stata esagerata e di parecchio; persino quella scatenata da Nerone è stata dipinta con toni troppo violenti. Alla guida specializzata sfuggivano (involontariamente?) i dati storici delle misure anticristiane prese sin dai tempi dell’imperatore Claudio (41-54 d. C.) e non si sa come né perché trasformava la feroce persecuzione fomentata da Nerone dal 64 al 68 d. C., nella quale furono martirizzati anche gli apostoli Pietro e Paolo, in un aneddoto marginale. Nessun cenno alle successive ondate di terribili persecuzioni volute dagli imperatori Domiziano, Traiano, Marco Aurelio, Settimo Severo, Massimino Tracio, Decio, Valeriano, Aureliano, Diocleziano e Galerio. Nessuna allusione alle migliaia e migliaia di vittime di quella “tolleranza” romana dalla quale dovremmo prendere esempio… E tutto questo mentre stavamo avvicinandoci ai resti dell’apostolo che, in virtù delle civilissime leggi romane, fu crocifisso a testa in giù.
2. Gli elementi decorativi delle stanze sepolcrali e dei sarcofagi alludono tutti a miti di morte e risurrezione: Bacco e Arianna, Demetra e Persefone, Osiride, ecc. In un contesto di assoluta continuità tra paganesimo e cristianesimo, i motivi decorativi delle inumazioni cristiane non sarebbero altro che variazioni dei miti classici di morte-risurrezione, per cui il Cristo rappresentato como Apollo o Sol Invictus non presenterebbe alcuna differenza rispetto alla simbologia pagana. Per la nostra guida specializzata, dunque, le decorazioni paleocristiane sarebbero semplici adattamenti alla nuova religione dei miti pagani di morte-risurrezione, nell’orizzonte comune tanto al cristianesimo come al paganesimo dell’eterno ritorno. E questo sì che è il colmo! Ma come è possibile affermare, a pochi metri dalle tombe di Pietro e di almeno altri undici sommi pontefici morti quasi tutti martiri, che non c’è nessuna differenza tra la concezione panteista e immanentista dell’eterno ritorno e la “buona notizia” (l’Evangelio, appunto) predicata dagli apostoli a costo della loro stessa vita per ordine espresso dello stesso Gesù Cristo? Ma allora, uno si domanda, perché si fecero ammazzare Pietro e Paolo e gli altri pontefici e tutti quei cristiani bruciati vivi, crocifissi o dati in pasto alle belve, se non c’era nessuna differenza tra il credo pagano e la fede evangelica?…
È davvero uno scandalo, nel senso biblico del termine, ma anche sul piano semplicemente storico e culturale, che si utilizzi una visita alla tomba di san Pietro per spacciare come veritiera la vecchia teoria ottocentesca dell’equiparazione di Cristo a qualsiasi altro mito biocosmologico di morte e risurrezione. A parte le capziose omissioni storiche e la tendenziosità ideologica anticristiana di questa teoria che fu il cavallo di battaglia di James Frazer e seguaci, ciò che riempie di sdegno è che si contrabbandano per dati certi, interpretazioni del tutto arbitrarie, malintenzionate e superatissime. Il tutto nel cuore del Vaticano, accanto alle ossa di Pietro e sotto l’Altare della Confessione.
3. Come logica conseguenza di queste premesse, la guida specializzata non dice nulla quando arriviamo nella cappella che “tocca” i resti mortali dell’apostolo e che quindi a lui è dedicata. Passa in fretta e furia, senza pronunciare alcun commento. Solo io mi soffermo qualche secondo, inginocchiandomi davanti alla “pietra” prescelta da Gesù Cristo per erigere la sua Chiesa, pregando per i mei cari e, soprattutto, per l’intero Corpo Mistico, scosso in questi tempi da attacchi esterni ed interni che cercano di corrompere ed erodere la fede dei suoi membri.
Così è cominciato il mio pellegrinaggio. Dopo questo shock, gli altri “scandali” (sempre nel senso biblico del termine) mi sono sembrati meno gravi, anche se, uno dopo l’altro, hanno acutizzato il mio sconcerto che si è presto trasformato in una latente sensazione di sofferenza spirituale. Nelle bellissime basiliche papali, persino l’adorazione al Santissimo è andata parzialmente in ferie, per cui si può accedere alla cappella solo la mattina o in un certo orario ridotto. Le frotte di turisti armati di telefonini o fotocamere digitali passano incuranti davanti al Sagrario, fermandosi magari solo per scattare un’altra foto, una in più tra le migliaia del safari fotografico (per utilizzare la famosa definizione di Susan Sontag) a cui si riduce oggi come oggi qualsiasi viaggio organizzato. Nessun cartello né nessun addetto spiega loro che quella lucina accanto al tabernacolo indica il luogo più sacro di quelle monumentali chiese, dato che segnala la presenza di Gesù Cristo vivo in mezzo al viavai incessante. Niente e nessuno si preoccupa di ricordare che tutte quelle gigantesche colonne, tutte quelle statue imponenti, tutti quegli affreschi e mosaici sono lì solo per contornare e celebrare il Dio vivo che è voluto rimanere per sempre in mezzo a noi occulto nel tabernacolo…
Quasi nessuno poi si rende conto che sotto i cibori dell’altare centrale si conservano le reliquie più importanti; per cui quasi nessuno dedica loro qualche preghiera. Nella Basilica di San Paolo fuori le mura, addirittura, i turisti-collezionisti di foto non comprendono perché qualche sparuta persona si inginocchia a pregare davanti alla tomba dell’apostolo. Ed anche qui, la cappella del Sagrario è tristemente abbandonata; la lucina brilla nell’indifferenza ed il Signore viene lasciato solo davanti al disinteresse, a volte persino sprezzante, dei passanti.
L’itinerio tra i luoghi più sacri di Roma, cominciato con uno scandalo, è finito con un altro quasi di pari gravità. Arrivata al Santuario della Madonna del Divino Amore (che non avevo mai visitato negli anni della mia residenza romana), decido di rimanere per la recita del Santo Rosario e poi per la Santa Messa. Celebra un sacerdote che compie, in quello stesso giorno, i cinquant’anni della sua ordinazione. Ci dice che avrebbe voluto passare inosservato, ma che accetta comunque di celebrare la Santa Messa. Celebrare, sì, ma senza dire nulla. Invece, ancor prima di iniziare la liturgia, parla per cinque minuti sulle dolororse vicende del mondo, alludendo ai massacri dei cristiani in Africa, aggiungendo però immediatamente che anche i cristiani si erano macchiati di crimini orrendi nel passato e che bisognava accogliere tutti nella prospettiva di una fratellanza universale.
Poi comincia la Messa, che procede rapidamente e si arriva all’omelia. Questo sacerdote (lo ripeto ancora una volta, perché lui stesso lo ha ripetuto più volte) non voleva dir nulla, eppure si lancia in una specie di comizio che dura la bellezza di venticinque minuti. Nessun riferimento alle letture del giorno. Nessuna allusione a Cristo né tanto meno nessun insegnamento evangelico. Il sacerdote si infervora ricordando le sue quattro lauree, la sua scelta di non fare carriera nelle università pontificie, la sua azione eroica per salvare una bambina colpita da una patologia rara, come aveva rianimato il fratello morto, per finire esaltanto il “dio” della fratellanza universale. Non riesco a capacitarmi di ciò che vedo e odo.
Nel santuario mariano più importante di Roma, un sacerdote si autocelebra con una umiltà che dir falsa è dir poco. E questo non è tutto: la cosa ancor più grave è che, senza nominare nemmeno una volta e nemmeno per sbaglio Gesù Cristo, fa impunemente l’apologia di un deismo massonico certamente incompatibile con la fede cattolica… Non appena il sacerdote finisce il suo meeting, senza dar troppo nell’occhio, esco dalla chiesa. La boccata d’aria, anche se ancora molto calda, che proviene della campagna romana placa poco a poco la nausea del tutto fisica e reale, e non metaforicamente esistenzialista, che quello spettacolo mi ha provocato.
Però, siccome è vero che Dio non abbandona mai chi lo cerca con sincerità e amore, in mezzo a un simile quadro di desolazione, Egli allieva la mia afflizione facendo coincidere il mio solitario pellegrinaggio con quello di un gruppo di giovani francesi giudati da un altrettanto giovane sacerdote in abito talare. Grazie a loro, nelle vaste navate di San Giovanni in Laterano e della Basilica di San Paolo tornano a risuonare le parole latine del nostro Credo. In quei momenti, le basiliche cessano di essere solamente dei musei e recuperano la loro vera dimensione e, con essa, il loro senso più profondo: quello d’essere degli spazi sacri, consacrati all’adorazione e al culto di Nostro Signore Gesù Cristo. Sotto gli sguardi stupiti, ironici o addirittura astiosi dei turisti, quei giovani esprimono semplicemente e vivono l’essenza del loro, del nostro “puro cristianesimo” (come direbbe C.S. Lewis).  Mi unisco alle loro voci nel canto del Credo e alle loro preghiere nella Santa Messa che celebrano secondo il Vetus Ordo. Ed ho la fortuna di accodarmi al loro gruppo per salire in ginocchio, pregando, la Scala Santa.
Anche se mai lo sapranno, è grazie a quei giovani e a quel sacerdote che, nonostante la sciattezza e la menzogna con cui da secoli provano a sfregiare la bellezza eterna della Chiesa Cattolica, alla fine, il mio viaggio a Roma ha potuto essere quello che avevo tanto desiderato che fosse: un pellegrinaggio spirituale nella capitale della Cristianità, là dove il sangue dei martiri, a cominciare da quello di Pietro e Paolo, ha cambiato per sempre la storia dell’umanità. Ecclesia semper nova et vetera.
(Edith Teresa Liccioli)
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