Il ruolo che questo sito desidera rivestire è quello di orientare al Cattolicesimo, soprattutto in questi anni di disorientamento. La Redazione si sforza di fornire articoli che facciano pensare (“agere contra” il pensiero dominante, perché è a-cattolico, laicista, liberal-massonico). Abbiamo una linea ben precisa e ben delineata, come chi ci segue, spesso ci fa presente. “Qui non si semina il dubbio”, ha scritto una lettrice, che ringraziamo. I nostri sforzi (di una redazione di 15 collaboratori volontari) sono ripagati da questi buoni frutti, di cui ci rallegriamo. Ringraziamo Dio di averci guidati e il nostro riferimento ecclesiale, don Floriano Abrahamowicz per quel che ha fatto e fa per tutti noi. Uno dei temi più importanti, dopo il disastro conciliare è la libertà di coscienza. Arai Daniele, in questo splendido articolo, chiarisce cosa sia veramente e cosa la Chiesa insegna a credere.



L’EDITORIALE DEL VENERDI
di Arai Daniele
Una «Libertà di Coscienza» che è matrice di guerre e rivoluzioni
Il Signore con la sua Incarnazione, Passione e morte in croce, per redimerci dall’abuso umano della libertà originale, ci insegna che quest’abuso è il maggior male per ciascuno e per la società umana; la tremenda realtà della «Città dell’uomo», presa nella morsa di un idolatrico culto della goduria terrena e dell’odio al divino.
Perciò il Signore istituì la Chiesaper contenere e superare nella fedeltà al Diritto naturale e divino questo male micidiale. Il Cristianesimo edificando la Civiltà nell’amor di Dio, reprime la libertà spuria, che è abuso di quella voluta da Dio.
Gesù insegnando che la verità ci farà liberi, insegna che la falsa libertà schiavizza.
Infatti, “un errore è peggio di un delitto, è matrice di delitti”. Vi è un rapporto di dipendenza della libertà verso la verità e quindi al Diritto. Esso determina l’ordine personale e sociale nelle coscienze, dove tutti sentono la voce di Dio, mantenendo la libertà di seguirla.
La missione della Chiesa è di confermare, insegnare e difendere la verità che libera e perciò è civilizzatrice, edificando le società conla Fede, Speranza e Carità, difese nell’ordine pratico dal Diritto delle coscienze secondo il diritto divino alla Verità.
Ecco l’incomparabile Civiltà cristiana del Diritto sostenuto dalla Chiesa. Ma ecco pure la ragione perché è combatuta nella società moderna che impone un «diritto alla libertà di coscienza autonoma», quella approvata dal Vaticano II, il razzo VII sulla Cristianità!
Seguono qui degli insegnamenti magisteriali in materia per giungere alla visione delle conseguenze causate dalla confusione tra la libertà delle coscienze, voluta da Dio perla Veritàe l’applicazione sociale dell’altra «libertà» e uguaglianza dell’illuminismo: del dominio di quelli che, «più uguali e liberi» degli altri, impongono le loro libertà come sommo «bene» secondo il democratico diritto alla «libertà di coscienza».
Dalla Enciclica Libertas di Papa Leone XIII aprendiamo: “La libertà, nobilissimo dono di natura, proprio unicamente di creature dotate d’intelletto e di ragione, attribuisce all’uomo la dignità di essere “in mano del proprio arbitrio” e di essere padrone delle proprie azioni. Tuttavia è molto importante stabilire in che modo tale dignità debba manifestarsi, poiché dall’uso della libertà possono derivare grandi vantaggi ma anche grandi mali. Infatti è facoltà dell’uomo ubbidire alla ragione, seguire il bene morale, tendere direttamente al suo fine ultimo. Ma egli può anche deviare verso tutt’altri scopi e, perseguendo false immagini del bene, può turbare l’ordine prestabilito e precipitare in volontaria rovina”.
      Il dilemma di sempre: libertà delle coscienze o «libertà di coscienza»? Due espressioni simili che possono in verità rappresentare due posizioni opposte, come è nella precedente enciclica Mirari vos di Papa Gregorio XVI: “Da questa corrottissima sorgente dell’indifferentismo scaturisce quell’assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che si debba ammettere e garantire a ciascuno la libertà di coscienza: errore velenosissimo, a cui apre il sentiero quella piena e smodata libertà di
opinione che va sempre aumentando a danno della Chiesa e dello Stato”. Pessima, né mai abbastanza esecrata ed aborrita “libertà della stampa” nel divulgare scritti di qualunque genere; libertà che taluni osano invocare e promuovere con tanto clamore. Inorridiamo, Venerabili Fratelli, nell’osservare quale stravaganza di dottrine ci opprime o, piuttosto, quale portentosa mostruosità di errori si spargono e disseminano per ogni dove con quella sterminata moltitudine di libri, di opuscoli e di scritti.”
Queste parole appaiono oggi come venute da un altro mondo. Eppure, si tratta della vera questione dell’abuso della libertà nella società umana, esistente dal suo inizio. E la lettura dei documenti pontifici dovrebbe chiarire quella differenza tra il bene della libertà e il male del suo abuso. Il problema è che questo si manifesta nelle più diverse forme della sovversione moderna che ha stravolto perfino il senso della Religione Cattolica.
Quindi, il problema affrontato dai Papi nei tempi recenti riguarda la falsa libertà che s’impone come diritto nella società che dopo JJ. Rousseau e Kant vuole con il «contratto sociale» la libertà slegata dal diritto e questo asservito allo Stato divenuto «autorità universale», «persona morale» per un nuovo «stato di diritto» contrapposto al Diritto conforme alla Civiltà Cristiana, il «giusnaturalismo». Per esso il diritto naturale, secondo San Tommaso, è “l’insieme di primi principi etici generali condizionanti il legislatore nel diritto positivo, poiché sigillo di Dio nella creazione delle cose.”
Ciò era insegnato dalla Chiesa fino a Pio XII, che ammette solo la tolleranza dove domina un diritto civile o religioso che limita l’attuazione del Diritto naturale e divino, per cui l’errore non ha diritto. Con le idee di Hegel questo «giusnaturalismo» fu rifiutato a favore della libertà di «antitesi»; rifiutando il principio d’identità e di non contraddizione e la libertà dell’errore rientra come diritto, perciò anche in foro esterno con la libertà di applicarlo e d’insegnarlo. Quanto è male, delirio per l’Ordine cristiano, diviene «diritto» per il «nuovo ordine», a cui si alineala Chiesaconciliare con la dichiarazione «Dignitatis humanae», per la libertà di coscienza e di religione sfornata dal Vaticano II!
Eppure, quanto insegnato dalla vera Chiesa, ma fu ribaltato dal Vaticano II, è proprio il Diritto divino che regge la sua Cattedra. Il diritto hegeliano può dare autorità a una cattedra che riconoscere lo «stato di diritto» anche dove vige la manipolazione della vita e l’aborto, purché si rispetti l’«ordine civile» democratico? Quale cattedra in Vaticano ha autorità per favorire uno «stato di diritto» invertito per cui l’errore ha diritti che vanno riconosciuti e rispettati? Forse la «cattedra dei non credenti nel cortile dei gentili» che irradia il diritto alla libertà del culto dell’uomo e della laicità per un nuovo umanesimo? Insomma, la chiesa conciliare di Roncalli, Montini, Wojtyla, Ratzinger, Martini, Ravasi e compagnia bella? Per loro è «bene» che la società vada verso il «proibito proibire» e si liberi finalmente dal bisecolare ritardo cattolico dei dogmi e dei precetti divini.
Ma tutto finisce per essere misurato di fronte alla Verità. Essa è l’ineludibile riferimento mentale d’ogni uomo e delle società. Riguardo alla Verità si formano le mentalità che guidano i popoli sia al bene sia al male, sia alla guerra sia all’edonismo più sfrenato.
Per non rimanere sull’astratto, vediamo un esempio pratico. In una società dove alla gioventù s’insegna, come scienza, che l’uomo, anima e corpo, proviene dalla scimmia, la mentalità generale diviene inevitabilmente animalesca; l’esistenza della stessa anima passa al reparto della letteratura fantastica, a uso solo dei thriller cinematografici o della fiction paranormale. Allora sempre più salme umane saranno cremate, embrioni saranno eliminati, mentre aumenteranno i cimiteri per cani e la devozione per la dignità dei mici.
Un noto scrittore e accademico francese, Emile Faguet, pensò di classificare queste forme di mentalità sociale come culti. Per esempio, per la monarchia sarebbe prevalente il culto dell’«onore», mentre per le democrazie – nel titolo del libro «Le culte de l’incompétence» -, sarebbe quello dell’incapacità promossa dall’irresponsabilità del potere popolare.
Si dovrebbe ricordare che, mentre perla Cristianitàil culto era l’onore del Cavaliere che rischiava la vita per il bene e la difesa altrui, all’insegna del Sacrificio di Cristo, ora, per il «cristiano adulto» all’insegna del Vaticano 2-3 del Martini, si può aggiornarela Verità per la goduria delle genti nel consumismo edonistico e nel sentimentalismo ecumenista.
Quale mentalità susciterà il baratro libertario della verità asservita al culto dell’uomo e della sua libertà di coscienza alienata dal Vero?
Sulla libertà di coscienza del comunismo
Il comunismo sarebbe stato la «nuova religione» della redenzione sociale nella «libertà». In verità era la ribellione della coscienza di alcuni che, in vista del «bene» di una libertà generale, era divenuta la rivoluzione mondiale che, per edificare la «nuova coscienza collettiva», aboliva per decreto quella individuale.
Vediamo i fatti e poi la simpatia conciliare verso i «dogmi delle libertà moderne».
Lenin, capostipite dell’uomo nuovo sovietico – della santità della nuova verità (Pravda) sul «bene socialista», s’inpegnò a far piazza pulita dei vecchi dogmi e «verità morali».
Lo storico inglese Paul Johnson nella sua «Storia del mondo moderno», 1917-1980 (Mondadori, 1989), nel capitolo sulle prime utopie dispotiche (p. 63), descrive Lenin: “Per capire l’impegno profuso da Lenin nella politica dobbiamo supporre che egli fosse animato da un ardente umanitarismo, simile all’amore dei santi nei confronti di Dio; in lui infatti non ritroviamo nessuno dei difetti tipici dei politici ambiziosi: non era vanitoso, né specialmente interessato nel comando. Il suo umanitarismo era astratto, rivolto all’umanità in generale, ma privo di affetto, o anche solo di interesse per i singoli individui. Per lui i compagni di partito non erano persone ma ricettacoli per le sue idee, ed erano giudicati solo per questo aspetto. [.] Lenin sosteneva fermamente che il marxismo rispecchiava la verità oggettiva. Scrisse che “dalla filosofia del marxismo, fusa in un unico blocco di acciaio, è impossibile togliere una sola premessa, una sola parte essenziale, senza allontanarsi dalla verità oggettiva” [dal dogma.].
Tale certezza, insieme alla convinzione di saper interpretare i testi marxisti, avvicinavano Lenin alle posizioni di Calvino, che nelle sue Ordinanze reinterpretò le Sacre Scritture e lo rendevano molto più intollerante nei confronti di compagni ‘eretici’ piuttosto che verso ‘infedeli’. Al ‘nuovo ordine’ di Lenin occorreva una organizzazione più specializzata e più crudele al tempo stesso: una polizia politica. Convinto che la violenza fosse un elemento essenziale del processo rivoluzionario egli non arretrò mai di fronte alla necessità di farne uso: aveva raccolto l’eredità di due scuole di pensiero, entrambe favorevoli al terrore. Dalla rivoluzione francese poteva citare Robespierre: – Durante una rivoluzione nel governo popolare devono coesistere virtù e terrore, senza la virtù il terrore è fatale, senza il terrore la virtù è impotente. Il terrore non è altro che la giustizia: rapida, severa, inflessibile; emanazione della virtù -. Le sue attività erano proporzionali a questo numero: sotto gli ultimi zar c’erano state in media 17 esecuzioni all’anno (per tutti i cri­mini), mentre nel 1918-19 le esecuzioni della Ceka ammontavano a una media di 1.000 al mese, per soli crimini politici. Questa cifra è sicuramente approssimata per difetto, a causa della profonda iniquità del sistema creato da Lenin. [.]
Esso provvedeva chela Cekacontrollasse i tribunali speciali (che si riunivano in segreto), e eseguisse le pene inflitte. Quindi il destino di chi cadeva nelle sue mani dipendeva unicamente dai «dettami della coscienza rivoluzionaria» . Ma la caratteristica più sconvolgente, e più importante dal punto di vista storico, del terrore leninista non era rappresentata tanto dal numero delle vittime, quanto dai principi in base ai quali esse venivano scelte. A Lenin bastarono pochi mesi di governo per dimenticare il concetto della colpa individuale, e con essa l’intera etica giudaico – cristiana della responsabilità individuale [libertà della coscienza]. Un decreto di Lenin del gennaio 1918 invitava gli organi dello stato a «liberarela Russiada ogni genere di «insetti nocivi». Questo non era un atto legale ma un invito allo sterminio. [.] Solzenicyn stilò un elenco, peraltro incompleto, dei gruppi che si trovarono cosi condannati a essere distrutti, in quanto «insetti». Essi comprendevano ex membri degli zemstvo, aderenti a movimenti filantropici, proprietari di case, insegnanti di liceo,
persone che facevano parte dei consigli cittadini o di cori, preti, monaci e suore, pacifisti alla Tolstoj, funzionari dei sindacati’: in breve tempo diventarono tutti «ex persone». Abolita l’idea della colpa personale, Lenin cominciò a “sterminare” (lui stesso usò spesso que­sto verbo) intere classi, basandosi semplicemente sul lavoro che svolgevano, o sulla famiglia cui appartenevano, innescando una spirale di morte che non si fermava di fronte a nulla.
“Nasceva la nuova forma di sterminio: il genocidio” in nome della «libertà di coscienza»!
Al «pontefice della nuova religione comunista», che ope­rò la proliferazione degli errori illuministici della «libertà di coscienza rivoluzionaria», seguirono altri «profeti» del santuario del «socialismo reale», manifestando ovunque una spietata virulenza mentale. Esempio agghiacciante è quello dei khmer rossi cambogiani che, in nome dell’ideologia mostruosa ribollente nelle loro libere coscienze, hanno orribilmente sterminato un quarto della popolazione del paese, per classi sociali!
I nuovi rivoluzionari della rivoluzione conciliare
«Libertà di coscienza»? Sì, quella riservata a innovatori ma anche sterminatori e per imporre le loro ideologie demenziali come verità obiettiva! Chi sono gli “intellettuali demistificati” dell’aggiornamento conciliare? Dice il filosofo Augusto Del Noce: “All’intellettuale era assegnata da Gramsci una funzione simile a quella che Marx assegnava al proletariato: quella di chi, liberando se stesso, libera il mondo. La decomposizione lo trasforma in funzionario dell’industria culturale, dipendente da una classe di potere che ha bisogno così dell’intellettuale dissacratore (quale «custode del nichilismo») come esperto aziendale” (Il suicidio della rivoluzione, Rusconi, Milano, 1978).
Che relazione può avere tutto questo col pensiero del “papa buono”e il suo socio Paolo VI? Lasciamo la risposta a noti scrittori cattolici. Dice G. K. Chesterton: «Oggi il criminale più pericoloso è il filosofo moderno, emancipatosi da ogni legge»; a ciò lo scrittore francese Jean Madiran aggiunge, parlando dell’alienazione operata dalla rivoluzione conciliare del Vaticano II (della libertà di coscienza) “dalla legge di Dio che è il Vangelo, e emancipata dalla legge naturale che è il Decalogo”; e continua: “La filosofia moderna non è, in essenza, una filosofia, è un atteggiamento religioso a livello della religione naturale, contro religione naturale, l’opposto dei primi quattro comandamenti del Decalogo [.] La formidabile eresia del XX secolo consiste nell’affermare cose che non sono vere in nessun ordine reale, in nessun dominio dell’essere, che sembrano vere solo nell’ambito della filosofia moderna e specialmente marxista, e che a fuor da codeste farneticazioni ideologiche non hanno né una realtà, né un senso” («L’eresia del XX secolo», Volpe, Roma, 1972).
Così il chierico, ridotto a operatore sociale, fruisce di ampi spazi virtuali nella TV, onde amplificare le sue libertà religiose sovversive. Ma l’errore degli errori per un consacrato è voler anteporre alle coscienze dei valori umani a princìpi trascendenti. Perché a questo punto si potrebbe domandare a quale signore e a quale diritto serve la sua consacrazione? (cf. Lc 16, 13). Libertà di coscienza? Sì, ma riservata ai novatori per inoculare nuove teologie e “nuovi umanesimi” nella “vecchia” religione della Chiesa di Dio.
Ciò fatto in combutta con umanisti rinunciatari alla trascendenza che riconoscevano il nuovo umanesimo di Paolo VI cultore dell’uomo, in forza del quale i “valori” del mondo rinunciatario alla trascendenza: tutti, “sono stati non solo rispettati, ma onorati, i suoi sforzi sostenuti, le sue aspirazioni purificate e benedette.” (Discorso alla chiusura del Vaticano II)
Per chierici modernisti, come Roncalli, poi Giovanni XXIII e Montini, poi Paolo VI, la rinuncia alla trascendenza nel governo del mondo è da benedire in nome della libertà!
Breve conclusione: la libertà è un bene se ha per scopo la conoscenza del Bene obiettivo. Da esso deriva l’ordine, il progresso e la pace sociale. Ma come riconoscerlo quando s’inventa un «bene liberale» che lo trascende? Il mondo moderno contestala Verità proclamando bene la stessa libertà della scelta del bene che inventa per ogni tempo.
Se questo è, a suo turno, il comunismo, il liberalismo o la democrazia, allora vale la «libertà di coscienza» d’imporlo con rivoluzioni o guerre; il modernismo conciliare li asseconderà con la libertà di religione e un’animazione liturgica per aggiornarela Fede!
La Chiesa insegna solo la libertà delle coscienze formate nella carità legata al bene della verità rivelata sull’uomo, la sola per cui Dio ci ha creati e che ci rende liberi e giusti.
Solo questo Diritto divino può reggerela Sacra Cattedradella Verità nella Chiesa Cattolica Apostolica Romana. Il resto è inganno e razzia sull’abisso della grande apostasia.

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