ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 16 novembre 2012

In attesa di un linguaggio dogmatico...


Propongo di seguito un articolo di don Laurent Jestin, pubblicato sull'ultimo numero, 117/Autunno 2012, di Catholica - prestigiosa Rivista francese di riflessione politica e religiosa - non ancora disponibile on line. Il titolo già ci introduce nel cuore del problema attualissimo dell'ermeneutica - anzi delle ermeneutiche - e, insieme al corpo dell'articolo, fa riferimento al discorso di Benedetto XVI alla Curia del 22 dicembre 2005. La trattazione è articolata e interessante e si sviluppa passando in rassegna gli scritti più recenti: prende infatti in considerazione autori francesi come don Claude Barthe e don Bernard Lucien, le parole di un vescovo ausiliare di Parigi, ma attinge soprattutto a recenti apporti di autori italiani, come Pasqualucci, Gheradini, Lanzetta e - anche - la sottoscritta, citando il mio libro recente. Su alcune formule, quali il magistero pedagogico di Bernard Lucien, l'autore si pone con circospezione. Ma la visione d'insieme risulta interessante e porta alla conclusione che il discorso di Benedetto XVI ha avuto un effetto liberatorio che ha prodotto i suoi effetti, ma richiede di essere vieppiù precisato e risolto non solo teoricamente perché la posta in gioco è molto alta.

Il punto morto delle ermeneutiche

Se, a giusto titolo, si è apprezzato il discorso di Benedetto XVI alla Curia del 22 dicembre 2005, oggi ineludibile, nella lettura di opere recenti si percepisce un forma di delusione e nello stesso tempo, su un certo piano, di contestazione delle categorie che questo discorso ha enunciato, o piuttosto della loro supposta evidenza e della possibilità, nel quadro che esse han posto, di risolvere le difficoltà dell'attuale situazione della Chiesa.

La ripartizione degli approcci relativi al concilio Vaticano II in due ermeneutiche, una di « rottura », l'altra di « riforma nella continuità », (e non soltanto di continuità come una lettura troppo rapida e orientata aveva lasciato credere ad alcuni - ma sarebbe sufficiente leggere il seguito del discorso, sulla libertà religiosa, per non cadere in un simile abbaglio), è criticata per la sua semplicità. È rivendicato come possibile e legittimo un terzo approccio (o insieme di approcci, perché risulta evidente una certa pluralità interna di queste categorie), quello di un'ermenutica della tradizione. A questo punto sorge una certa reticenza ad accostare i termini « ermeneutica » e « tradizione »: il seguito tende a dimostrare che si tratta di un ossimoro. Ma è questo il termine (tradizione) che usano gli autori presi in considerazione. Senza dubbio il discorso del 22 dicembre impone il suo vocabolario al quale ci si allinea, se non altro come strategia e/o desiderio sincero di assumersi la propria parte del compito enunciato dal Papa: non essendo questo definito, è possibile partecipare a forgiargli dei contorni.

Un recente opuscolo lo iscrive così in un quadro generale : « Il Papa non ha escluso altre interpretazioni, soprattutto quella, in qualche modo vicina e tuttavia ben distinta, dall’“ermeneutica della continuità”, che potrebbe dirsi “ermeneutica della tradizione”, che al Concilio fu rappresentata dal cardinal Ottaviani, dal cardinal Siri, Mons. Lefebvre, Mons. Carli, ecc. I successori intellettuali della minoranza conciliare hanno dunque anch'essi il diritto d'interpretarne i testi, e ciò tanto più per il fatto che si fondano alla tradizione bimillenaria del magistero ».(1)

Oltralpe, è il pensiero di Romano Amerio e, per quanto qui ci interessa, la tripartizione che egli aveva formalizzato, che sono nuovamente riproposti(2). L’autore di Iota unum individuava tre ermeneutiche relative al concilio Vaticano II : la prima, « sofistica estrema », rappresentata dalla Scuola di Bologna e dalla Nouvelle théologie, proclama e mette in atto una discontinuità ed una rottura essenziali tra la Chiesa pre e quella post Vaticano II, attraverso un orientamento del pensiero e della vita cristiani secondo « finalità esterne alla fede e alla teologia» ; la seconda, « sofistica moderata », quella dei papi che hanno seguito e promosso il concilio, presuppone e invoca – sinceramente ma spesso senza dimostrarla – una continuità, sforzandosi « di piegare al senso della Tradizione le anfibologie e le equivocità testuali ». Quanto alla terza, essa « s'appoggia sulla Tradizione » e argomenta secondo gli schemi di una teologia sistematica; è « dogmatica e vincolante », quando la prima si riduce in definitiva ad una ideologia o un'ermeneutica continua, e la seconda corre il rischio di cadere nel sentimentalismo, nel fideismo, preludio di autoritarismo magisteriale(3).

È opportuno insistere su ciò che distingue questa terza ermeneutica dalla prime due : certamente la tradizione, ma anche il ricorso alla teologia come scienza; questi due elementi possono avvicinare all'ermeneutica « della tradizione » alcuni rappresentanti della seconda ermeneutica: coloro per i quali non basta postulare sulla continuità, ma che si sforzano di esplicitarla.
Ma, pur essendo coscienti del valore relativo che bisogna accordare a queste categorie, e degli aggiustamenti di cui avrebbero bisogno, non è già una concessione alla prima ermeneutica il semplice fatto di entrare in questa prospettiva delle ermeneutiche, poco importa quella che si rivendica ? Si possono rinviare i fedeli lettori della rivista ad un articolo del professor Paolo Pasqualucci proprio su questo punto(4). Ci sembra di cogliere, in mancanza del fatto che sia affermata chiaramente, una simile reticenza in due recenti opere di Mons. Gherardini, una sulla Chiesa(5), l’altra sulla Tradizione(6), intendendo attraverso esse risalire a monte di una problematica senza fine e che, in , concede già troppo alla modernità. Cosa che certamente non significa che ci sia bisogno di cadere nella trappola di una « Tradizione chiusa in un intoccabile ed inattaccabile fissismo », secondo quella che, nella sua ultima opera in ordine di tempo(7), Mons. Gherardini sottolinea come una cattiva risposta, ieri ed oggi, al progressismo ; fissismo al quale si possono indirizzare le stesse critiche che a una certa ermeneutica della continuità : sentimentalismo, fideismo, fondato su un autoritarismo magisteriale, qui quello dei Papi tra Pio IX e Pio XII.
Senza dubbio ne consegue comunque, da questa reticenza a entrare allo stesso livello nella questione dell'ermeneutica o delle ermeneutiche del Vaticano II, nell'interrogazione iniziale di Padre Lanzetta : « Il concilio Vaticano II si riassume in una questione di adattamento ermeneutico alla modernità più o meno riuscito? »(8) Non è fare un passo verso una teologia in cui non si trova più nulla se non in termini di condizioni di possibilità : « La realtà, e anche la fede e la Rivelazione di Dio, sono state subordinate alla comprensione del credente e dell'uomo in generale […] La fede diventa una questione : la questione della sua comprensione per l'uomo di oggi.[…].
L’interrogativo “come comprendere il Concilio” è una conseguenza della domanda posta dal Concilio: come comprendere la fede oggi ? » (pp. 21-22) Occorre respingere questa prospettiva distruttiva, « esercitandone una valutazione critica [, non della fede, ma] della modernità partendo dal primato di Dio. » (ibid.) Per assicurare questo salutare riorientamento, e anche augurare una soluzione alla crisi, si rivelano necessarie contemplatio e traditio, perché « noi non siamo la Chiesa, non ne esauriamo il mistero » (p. 178). La contemplazione, cioè la santità della vita, o la vita alla scuola dei santi, la preghiera, particolarmente la liturgia nella « forma extraordinaria del rito romano » ; la tradizione, cioè dare il primo posto alla verità e al dogma, a partire dall'esercizio del Magistero.

Su quest'ultimo punto, ci sono errori da rettificare, ambiguità da precisare; ed eccovi giunti alla chiarificazione che alcuni chiedono, circa un'altra affermazione del discorso di Benedetto XVI del 22 dicembre 2005 : l'unico soggetto-Chiesa. Il Papa ha dichiarato a questo proposito : « C'è l’“ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha dato ; è un soggetto che cresce nel tempo e che si sviluppa, restando tuttavia sempre lo stesso, l'unico soggetto del Popolo di Dio in cammino. » Ora, obietta padre Lanzetta, « cosa viene prima : la Chiesa o un concilio ? » (p. 8) La risposta è piuttosto, si sa, una « super-dogmatizzazione del Vaticano II »9, la facoltà che gli è data di criticare, almeno potenzialmente, tutti gli altri concili precedenti e la teologia anteriore nel suo insieme(10). Questa pretesa facoltà proviene dal fatto che l'ermeneutica non è semplicemente dopo (« sul ») concilio, ma si trova nel concilio stesso, dai discorsi di apertura; ed anche, aggiunge P. Lanzetta, perché questo principio ermeneutico si presenta sotto l'attraente categoria d’aggiornamento che, mai definita e dunque poco criticabile, permette, essa, di criticare e delegittimare identificando antichità con obsolescenza ; senza dimenticare che l'altra categoria-faro di pastoralità tra la prima e la seconda sessione si è caricata di una connotazione antidogmatica.
Non ci si può dunque lasciar abbindolare da alcuni falsi dibattiti tra ermeneutica della rottura e ermeneutica della continuità, perché alla radice dell'una come dell'altra, si trova spesso una simile super-dogmatizzazione, il (o addirittura IL) concilio trasformato in vulgata, termine attraverso il quale Mons. Gherardini designa un corpus che non fa riferimento che a se stesso non si spiega che attraverso se stesso, senza istanze critiche esterne(11), né autentica opera di analisi storica, esegetica, teologica e dogmatica, morale e giuridica(12). Occorre a contrario riaffermare che « la Chiesa è più grande del Concilio. Questo è una manifestazione della Chiesa, la più solenne, la più mediatica diremmo oggi, ma una delle manifestazioni della Chiesa. La Chiesa trascende il Concilio »(13)
.
La negazione o l'attenuazione di questa trascendenza o primato della Chiesa non è che un punto storico : oltre ciò che si è detto della prospettiva ermeneutica, si possono menzionare alcune correnti di pensiero e di azione ben ancorate nella vita ordinaria della Chiesa, degli slittamenti teologici (Romano Amerio condannava fortemente un cambiamento nella Teologia della Trinità, nel quale l'ordine Essere-Ragione-Volontà è stato rovesciato a beneficio dell'ultima, con ripercussioni non-razionali e soggettiviste in un buon numero di ambiti del pensiero e dell'esistenza cristiani). Anche la storiografia è un campo di battaglia in questo ambito, dove la scuola di Bologna ha regnato da padrona sulla storia del Vaticano II, fino allo studio storico di Roberto de Mattei e alle critiche sistematiche di cui è stata fatta oggetto. Tra le pubblicazioni più recenti, si può leggere con interesse l'analisi di una nuova edizione dei Decreti dei Concili, presentata dal cardinal Brandmüller, nel 2006, attraverso l’Istituto delle Scienze religiose di Bologna : tra altre cose sorprendenti e in definitiva rivelatrici, egli vi nota l'inclusione dei decreti dei concili di Pisa e di Costanza, l'estensione del corpus dei decreti di Basilea agli pseudo-decreti presi quando il concilio fu in realtà trasferito a Ferrara, la qualificazione di « generali » e non di « ecumenici » per i concili di Trento, Vaticano I e Vaticano II(14).
Ma, è però col tema, se non della dottrina, della collegialità episcopale che la difficoltà di afferrare « l'unico soggetto-Chiesa » nella sua unità e continuità si presenta con particolare acutezza. Nelle opere considerate finora, alcuni (P. Lanzetta, don Barthe) non negano ogni l'interesse al tema della collegialità episcopale, riconoscendovi anche un certo valore dottrinale, tuttavia rilevando una effettiva ambiguità di formulazione e diffidando del veleno introdotto dalle conferenze episcopali. Dal canto suo, su un tema collegato, Mons. Gherardini si spinge al punto di affermare che è senza dubbio in ragione di una supervalutazione del primato del papa, accresciuto da un sincero amore per lui, che un numero non indifferente di vescovi votarono un certo numero di testi del concilio Vaticano II, e non tanto per i testi stessi, insoddisfacenti (p. 356). Questa osservazione, oltre al suo interesse storico, ha valore di segno di una realtà più ampia, in particolare oggi : perché la Tradizione come deposito della Rivelazione è relativizzata a favore di una maggioranza oltranzista della storia nella formulazione dogmatica della fede  – il che porta il nome di tradizione vivente, ma la tradizione vivente può non essere quello… ; poiché la spiegazione di questa tradizione da parte del Magistero e dei teologi non è più fatta secondo una teologia sistematica, anzi lascia il terreno del dogma per quello della testimonianza, del dialogo e delle scienze profane, incentivando sia la tendenza dei fedeli moderni alla soggettività, il solo argine ad un crollo generale si trova in una concezione non-razionale, spesso affettiva e in definitiva autoritarista del magistero attuale. Secondo una più precisa terminologia teologica, si potrà dire che le mancanze nell'oggetto materiale (la verità rivelata) e nell'oggetto formale (l'autorità del magistero, secondo i suoi gradi differenti chiaramente individuati) conducono ad un indebito gonfiamento del soggetto (il papa o il collegio dei vescovi) del Magistero ecclesiastico.(15)
Il Magistero è, chiaramente « identificato al [magistero] attuale. Così gli viene conferita una prerogativa che non è la sua propria »(16) : quella di essere l'istanza critica del tempo presente e, dunque, lo si è visto, di tutta la storia passata, poiché l’aggiornamento e la pastoralità gli appartengono. Per risolvere la difficoltà, insolubile in teologia classica, si è arrivati al punto di qualificare il magistero come « carismatico », il che garantirebbe la sua continuità con la Tradizione e sarebbe dunque il punto di partenza della riflessione teologica e dell'adesione alle parole di questo magistero(17).
Una formulazione alternativa di questa importanza indotta è quella che prende atto di quest'altra affermazione conciliare – della quale neppure si potrà risolvere la questione vertente sul suo valore dottrinale o dogmatico – che è la sacramentalità dell'episcopato(18). Essa ha senza dubbio accresciuto il valore della collegialità episcopale e, soprattutto, ha permesso di assicurare un legame tra l'affermazione iniziale della Costituzione Lumen Gentium sulla Chiesa, vale a dire la sacramentalità della Chiesa : « Dato che la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, cioè nello stesso tempo segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano » (LG 1). E' una formula dal contenuto più poetico che dottrinale, ma ciò non impedisce che associata alla sacramentalità dell'episcopato e alla collegialità episcopale, essa possa dar luogo ad una formulazione radicale di questa sopravvalutazione del magistero attuale. Una conferenza tenuta da Mons.Eric de Moulins-Beaufort, il 24 marzo 2012, per il raduno nazionale diocesano a Lourdes, in occasione del 50° anniversario di apertura del concilio Vaticano II, ne sarà l'esempio(19) : « Nel collegio dei Vescovi, nel corso della storia, si manifesta ciò che non è ancora visibile ma che è già acquisito da Cristo morto e risorto per noi : l'aggregazione di tutti gli uomini che Dio chiama alla salvezza nell'eterna unità della carità ». Questa prima affermazione potrebbe non sorprendere per il suo richiamo alla internazionalità dell'episcopato come specchio dell'universalità della Chiesa ; ciò in un certo modo appiattisce, secondo un criterio sociologico, quella che è la nota di cattolicità della Chiesa o la qualità del Vaticano II come concilio ecumenico… a meno che il vescovo ausiliare di Parigi non intenda situare la sua idea « nel corso della storia ». La concatenazione dei concetti che abbiamo annunciato è dunque stabilita. Su un simile fondamento, il primato e la dimensione carismatica su ogni altra – istituzionale, tradizionale – non tarda affatto a venire, a quanto ci appare, nelle frasi seguenti : « La Chiesa non è una realtà già data, una istituzione che non dovrebbe che sforzarsi di perpetuarsi senza cambiamenti attraverso il tempo. Essa, al contrario, è innanzitutto un dono ricevuto dall'alto, da ricevere sempre di più attraverso la storia, perché è lo Spirito Santo all'opera all'interno del corpo che è la Chiesa […] affinché il dono del Cristo penetri sempre più l'umanità e vi porti maggiori frutti » Come non potrebbe essere frontale e rude il colpo inferto a « l’unico soggetto-chiesa, che il Signore ci ha dato ; […] soggetto che cresce e si sviluppa nel tempo restando tuttavia sempre lo stesso, l'unico soggetto del popolo di Dio in cammino » (Benedetto XVI, discorso alla Curia, 22 dicembre 2005) ? Saremmo ormai solo un passo per cadere nell'autoritarismo ; eccolo, in alcune frasi: « Tutto ciò che proviene da noi non ha il suo pieno valore davanti a Dio e per l'eternità se non si inserisce nella comunione concreta della Chiesa.
Ora, cari amici, a questa comunione, Cristo Signore non ha dato quaggiù che la forma più inglobante e più solida del collegio episcopale […] Ogni vescovo nella sua diocesi  non è il delegato del Papa, ma è lui stesso l’inviato di Gesù Cristo, come ogni prete o diacono nella parte di missione che gli è affidata, ed è proprio per questo che nessuna iniziativa come pure nessuna autorità possono essere totalmente feconde se non conducono verso una unione dei cuori più forte e più fiduciosa. I fedeli laici […] devono accettare che il loro comportamento corrisponda alla modalità che coloro a cui appartiene decidere lo vogliono in quel momento per la chiesa ». Si può certamente comprendere che l'autore di questo discorso sfumato cerchi di rimettere al loro posto certi laici che dimenticano l'esistenza della gerarchia ecclesiale. Ciò che noi qui rileviamo, sono gli argomenti, la cui chiave sembra trovarsi nelle ultime parole, di stampo hegeliano « in quel determinato momento ».
Come ultima risorsa e come rimedio alle distorsioni che sono state rilevate, tutti gli autori a cui ci siamo riferiti sono d'accordo nell'affermare la necessità dell'esercizio di un magistero ecclesiastico finalmente chiaro  ; e sempre nel contesto di una bella unanimità, solo la forma solenne che il Papa gli potrebbe dare sembra loro essere all'altezza della gravità delle difficoltà presenti e del loro carattere apparentemente insolubile attraverso procedure ordinarie. In effetti sembra proprio che  « l’esame delle differenti posizioni adottate da più di 45 anni nell'interpretazione teologica del Vaticano II proseguire indefinitamente, dato che il campo d'indagine è molto vasto e non cessa d'altra parte di ampliarsi col tempo; ma in questo caso non si farebbe altro che ripetere un esercizio che ha senza dubbio già prodotto i frutti che poteva dare »(20).
Certo, alcuni pensano che cercando di ovviare con palliativi ad una carenza pedagogica nel dibattito sul concilio tanto a livello del suo contenuto come a quello del suo grado di autorità, e reprimendo gli abusi di un certo spirito del concilio si arriverebbe ad una soluzione soddisfacente. Ma sembra mancare in essa - è vero come negli altri pensieri - qualche cosa che porta l'adesione sia perché è postulata una parte di quel che si pretende dimostrare sia perché una estensione o un ampliamento dell'infallibilità del magistero ingloba tutto. Richiama l'attenzione, tra le pubblicazioni recenti, un lavoro di don Lucien: con la precisione e la scienza che gli si riconoscono egli vuole dare un quadro sufficiente al giudizio sui testi del concilio, quello della loro autorità in base a criteri strettamente interni. Diciamo troppo sommariamente senza dubbio - che si fatica a mettere totalmente tra parentesi dichiarazioni tanto numerose del concilio di Paolo VI - per non parlare di altri - precisamente su quei gradi di autorità ; ora il risultato del presente lavoro non sembrano concordare con queste dichiarazioni. Al che bisogna aggiungere che l'autore deve postulare un grado magisteriale che al momento resta indefinito e che lui definisce da parte sua magistero « pedagogico ». Indubbiamente ciò si può accostare a una proposizione di cui padre Lanzetta si fa eco: quella di vedere a volte nel Vaticano II un munus praedicandi più che docendi stricto sensu22.

Nel frattempo, indipendentemente dalle riflessioni fatte su di esso, il discorso del 22 dicembre 2005 conserva la sua forza liberatoria e ha già prodotto anch'esso dei frutti. Tutti i suoi frutti? Certamente. secondo coloro che entrano e perseverano in questa doppia via ricordata da padre Lanzetta contemplatio e traditio.
Laurent Jestin

1. Claude Barthe, Per una ermeneutica di tradizione. A proposito de l’ecclesologia del Vaticano II, Muller, 2011, 58 p., p. 7. Il sotto-titolo di questo « carnet » indica che il corpo del testo propone i lineamenti di un'applicazione di questa ermeneutica di tradizione all'ecclesiologia dell'intero concilio. 
2. Oltre alla recente riedizione delle sue opere, che ha provocato incontri, pubblicazioni, perfino un articolo elogiativo su L'Osservatore Romano, si pensa e ci si riferisce qui al libro di Maria Guarini : La Chiesa e la sua continuità. Ermeneutica e istanza dogmatica dopo il Vaticano II, Diffusioni Editoriali Umbilicus Italiae, Rieti, 2012, 240 p., 21 €. Da esso sono estratte le citazioni del presente paragrafo ; traduzione a cura nostra, come per tutto il resto.
3. Oltre all'opera citata nella nota precedente, si fa eco qui all'interessantissimo e corroborativo libro del padre Serafino Maria Lanzetta : Iuxta modum. Il Vaticano II riletto alla luce della Tradizione della Chiesa, Cantagalli, Siena 2012, 184 p., 15 €. Si ritorna più lontano sull'autoritarismo magisteriale.
4. Paolo Pasqualucci, « Herméneutique de la continuité ou continuité de la doctrine ? Remarques de méthode », Catholica n. 100, été 2008, pp. 130-134.
5. Brunero Gherardini, La Cattolica. Lineamenti d’ecclesiologia agostiniana, Lindau, Torino 2011, 203 p. Il prologo di quest'opera, comme le chapitre I du suivant, sont particulièrement intéressants parce qu’ils esplicitano la metodologia dell'autore, e attraverso questa affermano e giustificano la necessità di una scienza teologica .
6. Id., Quaecumque dixero vobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia, Lindau, 2011, 208 p., 18 €.
7. Id., Il Vaticano II. Alle radici d’un equivoco, Lindau, Torino, 2012, 412 p. ; ici p. 104. Quest'ultima opera si colloca a seguito delle due precedenti sul concilio Vaticano II (2009 et 2011) ; ma poiché la sua supplica di uno studio approfondito del concilio non ha ricevuto la risposta che avrebbe voluto e per difendersi non solo dalle critiche ma dagli attacchi, egli esplicita e sviluppa alcune delle sue analisi in questo voluminoso lavoro.
8 S. M. Lanzetta, ibid., p. 8.
9. B. Gherardini, Il Vaticano II, p. 36.
10. Cf. S M. Lanzetta, op. cit., p. 23.
11. Ce que ne sont pas, selon Mgr Gherardini, la plupart des textes magistériels postérieurs au concile, puisqu’ils en sont issus ; l’auto-référence n’est pas alors rompue.
12. B. Gherardini, Il Vaticano II, p. 337.
13 S. M. Lanzetta, op. cit., p. 51.
14. Walter Brandmüller, « Una nuova edizione dei decreti conciliari », in Walter Brandmüller, Agostino Marchetto, Nicola Bux, Le « chiavi » di Benedetto XVI per interpretare il Vaticano II, Cantagalli, Siena, 2012, 112 p., 10 € ; pp. 31-40. Quest'opera collettiva si pone risolutamente in una ermeneutica della continuità. La chiavi d’interpretazione annunciate dal titolo sono la storia e la fede. L’articolo di Mons. Bux (« La chiave della Fede per capire il Vaticano II », pp. 91-110) è significativo di una volontà di rilettura tradizionale dei testi conciliari : Egli mostra che in questi testi si trovano tutti gli elementi di una teologia sistematica sulla fede, ed attraverso questa il concilio permette di entrare pienamente nell'Anno della Fede ; l'impresa sembrerebbe aver a che fare con una operazione artificiale, specialmente per il fatto di mettere tra parentesi, senza alcuna forma di spiegazione, gli elementi antropocentrici e mondani dei testi conciliari.
15. Cf. S. M. Lanzetta, op. cit., p. 158.
16 Maria Guarini, op. cit., p. 119.
17. Cf. S. M. Lanzetta, op. cit., pp. 156 ss.
18. Sul legame tra qìueste affermazioni e la seguente, la sacramentalità della Chiesa, il breve studio di don Barthe, già citato, offre una visione molto pedagogica.
19. Mgr Eric de Moulins-Beaufort, « L’Eglise, signe de Dieu et annonciatrice de la paix ». La cofmerenza è riprodotta in La Documentation catholique, n. 2489, du 6 mai 2012.
20 Joseph Famerée : « Introduction. Le style comme interprétation », in Joseph Famerée (dir.), Vatican II comme style. L’herméneutique théologique du Concile, Cerf, coll. Unam Sanctam Nouvelle série, 2012, p. 9.
21. Bernard Lucien, « L’autorité magistérielle de Vatican II. Contribution à un débat actuel », Sedes sapientiae n. 119, mars 2012, pp. 9-80.
22. Cf. S. M. Lanzetta, op. cit., p. 155.

Catholica  n.117 — Autunno 2012 [Traduzione a cura di Chiesa e post concilio]

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