ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 3 novembre 2012

Una cum!: le vergogne dei sinodisti che tacciono coi poveri e scodinzolano coi padroni


Il calvario dei cristiani in Siria

Chiesa armena bombardata
CHIESA ARMENA BOMBARDATA

La lenta agonia delle comunità cristiane. Il grido di allarme non giunge alla diplomazia mondiale


Nei giorni scorsi le agenzie hanno battuto una notizia: l’ultimo cristiano presente nel centro di Homs, città “ripulita” religiosamente dai ribelli islamici, è morto. Elias Mansour, di 84 anni, greco-ortodosso, non aveva voluto abbandonare la sua casa a via Wadi Sayeh perché doveva occuparsi di suo figlio, handicappato. Il quartiere dove abitava era teatro di violenti combattimenti. Un sacerdote ortodosso sta cercando il figlio, di cui si ignora la sorte.


E’ uno dei tanti esempi di vite spezzate da questa guerra “senza volto”, come qualcuno l’ha definita. E che nel racconto di una piccola famiglia cristiana fuggita in Francia : Fadi, Myriam e Teresa, (sono nomi falsi), esprime tutta la sua tremenda durezza. Sono riusciti a lasciare il Paese, e aspettano che venga loro riconosciuto lo status di rifugiati. “Aide a l’Eglise en detresse” in Francia ha raccolto la loro testimonianza. Fadi e la sua famiglia abitavano a Bab Touma (la porta di Tommaso) a Damasco; il principale quartiere cristiano della capitale. Bab Touma è un quartiere protetto dai soldati dell’esercito regolare, ma a dispetto di questo la vita è diventata un inferno. “Davanti alle panetterie c’è la coda dalle 6 del mattino  - raccontano . Una volta non abbiamo avuto pane per tre giorni”.

Una parte delle scuole sono ancora aperte, ma per timore di attentati i genitori preferiscono tenere i bambini a casa. “A Jaraman, un quartiere vicino, una mia amica è andata a iscrivere la figlia a scuola, a settembre. Un’auto bomba è esplosa vicino a loro, e le ha uccise”.

I ribelli islamici fanno pressione affinché la vita civile si fermi. Fadi racconta: “Gli oppositori dicono alle scuole di chiudere. Vogliono mettere fine alla vita normale. L’esercito dice alle persone di continuare a vivere normalmente, che ci sono loro a proteggerli. Le persone sono prese fra due fuochi, e devono obbedire a entrambi se vogliono restare vive”.

E poi un racconto terribile: “Mia zia era insegnate a Homs. Diceva ai suoi allievi di continuare a venire a scuola. Voleva che la vita normale continuasse, costi quel che costi. Suo marito l’ha trovata sgozzata. Sul muro, con il sangue, avevano scritto: ‘Allah Akbar’”.

Alla fine della messa, il sacerdote consiglia ai fedeli a Bab Touma di disperdersi in piccoli gruppi, silenziosamente. I gruppi più numerosi di quatro persone devono scindersi. “I cristiani si sentono nel mirino. Su una chiesa hanno scritto: ‘cristiani, è il vostro turno’. All’inizi gli slogan delle manifestazioni erano: ‘Gli alauiti nella tomba, i cristiani a Beirut’. Adesso sono: ‘Alauiti e cristiani al cimitero’”.

Alla domanda sulle forze in campo, Fadi risponde: “molte persone sostengono ancora Bashar al-Assad, anche se tutti sanno di che cosa è capace. Se no, sarebbe caduto da tempo. L’opposizione è diventata troppo violenta. Un giorno un sacerdote maronita, conosciuto come oppositore del regime, è passato in televisione chiedendo che le rfiorme si accelerino. Ha ricevuto delle minacce di morte dall’opposizione epr non essere stato abbastanza duro. L’opposizione è molto eteroclita, non è unita, da’ informazione contraddittorie. Non è facile vederci chiaro. Si sente dire che non è composta che da un 10 per cento di siriani, e che gli altri sono stranieri, mercenari, jihadisti”.

La paura è onnipresente. Teresa, la loro bambina sentiva gli spari: Fadi e Myriam le dicevano che era per festeggiare un matrimonio. Un giorno però lei ha detto: “Questa festa mi fa paura”. E infine ha capito. Poi sono cominciati i rapimenti: il Qatar, che finanzia in armi e soldi la jihad in Siria, ha ridotto gli aiuti, e allora i ribelli rapiscono cristiani, alauiti e drusi e chiedono dei riscatti. “Tutto è distrutto. Non ci resta che la fede. Come per i cristiani che sono rimasti in Siria. Non possiamo sperare che in Dio”.
+
MARCO TOSATTI
ROMA

Sfida Obama-Romney, i cattolici ago della bilancia


Obama vs Romney
OBAMA VS ROMNEY

Il fattore religioso peserà molto nelle contesa per raggiungere la Casa Bianca

GIACOMO GALEAZZICITTÀ DEL VATICANO

Per i padri pellegrini, sbarcati nel Nuovo Mondo in fuga da anglicani e cattolici, è una nemesi arrivata con quattro secoli di ritardo. Nelle presidenziali Usa i cattolici sono l'ago della bilancia tra Obama e Romney.

Merito del massiccio innesto di immigrati ispanici a grande maggioranza cattolici, ma anche di una presenza nella vita pubblica divenuta sempre più incisiva attraverso l'energica presidenza Dolan dell'episcopato statunitense. I seguaci di Roma non erano elettoralmente così influenti neppure quando approdò alla Casa Bianca il cattolico John Fitzgerald Kennedy. Dunque, mai quanto oggi i seguaci della Chiesa di Roma  contano nelle presidenziali e più generalmente nella politica americana. A confermalo a Radio Vaticana è Robert Royal, teologo e politologo cattolico, presidente del “Faith and Reason” Institute di Washington. Negli Stati Uniti, il rush finale dei candidati alla Casa Bianca ha l’impronta dell’elettorato cattolico.

Gli ultimi sondaggi danno in vantaggio il presidente Barack Obama, giudicato positivamente per il suo operato nell’affrontare l’emergenza dell’uragano “Sandy”, il cui bilancio è salito ad almeno 98 vittime accertate. Obama ha incassato anche l’appoggio del sindaco di New York, Michael Bloomberg e gli elogi del governatore del New Jersey, il repubblicano Chris Christie. Stamani, inoltre, sono stati diffusi i dati sull'occupazione nel mese di ottobre: l'economia americana ha creato 171 mila posti di lavoro, nell'ultimo mese, ma il tasso di disoccupazione è salito comunque dal 7,8% al 7,9%. Intanto, sono in molti a chiedersi chi - tra Romney e Obama - otterrà la maggioranza dell’elettorato cattolico. Nelle ultime 10 elezioni presidenziali, solo una volta un candidato è riuscito ad arrivare alla Casa Bianca, senza conquistare la maggioranza del voto cattolico.

“Non è un voto semplice il voto cattolico- spiega Royal-. I cattolici americani sono sempre divisi tra il Partito democratico che, una volta, era il partito degli immigrati e tra i Repubblicani che rappresentano più o meno i valori cattolici nel senso che sono contro l’aborto, contro le unioni gay eccetera... E così, il voto è diviso tra i due partiti. Quando è stato eletto, Obama ha vinto con il 54 per cento dei voti cattolici; adesso il voto cattolico è diviso esattamente al 50 per cento tra Obama e Romney. I cattolici, così si dice qui, in America, sono il "centro del centro" del voto americano”. L’economia è il grande tema di queste elezioni presidenziali. Però, anche alcuni temi cosiddetti morali hanno avuto, hanno un grande ruolo, in particolare l’aborto, la difesa della vita, ma anche la povertà e l’immigrazione. Questi temi conteranno il 6 novembre, conferma all’emittente pontificia presidente dell’istituto “Fede e ragione” di Washington:”Tutti conteranno; ma c’è differenza tra quelli che pendono più verso il Partito democratico e quelli che dicono che i repubblicani rappresentino meglio i valori cattolici”.

C’è un altro fattore, ed è questo: Obama, nell’Obamacare, la riforma sanitaria, “ha approvato una serie di disposizioni secondo cui le istituzioni cattoliche, le università, gli ospedali, le scuole, sono tenuti a pagare - attraverso l’assicurazione sanitaria - la contraccezione, la sterilizzazione e, in certi casi, perfino l’aborto”. Questo ha ingenerato, in America, “una controversia su Obama, perché se lui resterà alla Casa Bianca queste disposizioni entreranno in vigore e le istituzioni cattoliche dovranno affrontare questa sfida ai valori morali”. Quando le disposizioni sono state approvate, il 56 per cento dei cattolici era contrario ad Obama; adesso che le questioni economiche sono diventate ancora più rilevanti, questo problema, questa controversia sull’Obamacare è uscita dall’ambito dell’attenzione dell’opinione pubblica e “non si sa se potrà essere un fattore di rilievo nell’elezione”.

Ci sono sicuramente molti cattolici preoccupati per le posizioni abortiste del Partito democratico; dall’altra parte, ci sono anche molti cattolici preoccupati per le posizioni ritenute poco solidali rispetto ai più deboli e agli immigrati da parte del Partito repubblicano. “Ma per quanto riguarda la solidarietà, se ne può discutere; ci si può appellare a necessità di sicurezza sociale- precisa Royal-.E questa discussione si verifica in ogni Paese. Ma i nostri vescovi hanno detto molto chiaramente che bisogna capire che l’aborto è una questione assoluta per quanto riguarda la morale; le questioni che riguardano la tutela della vita non si possono mettere sullo stesso livello con le altre questioni”.

L’arcivescovo di New York sta con i repubblicani, ma per i cattolici americani conta più l’aborto (Romney) o la povertà (Obama)?

Timothy Dolan, cardinale, arcivescovo di New York e capo dei vescovi americani, il 18 ottobre a Sinodo dei vescovi in corso lascia il Vaticano per qualche ora. Destinazione New York, per incontrare Obama e Romney alla tradizionale cena di beneficenza della Alfred E. Smith foundation.
Non una cena qualsiasi, scrivono diversi osservatori, bensì un termometro per valutare poco prima delle elezioni verso quale candidato pende il cuore del capo dell’episcopato americano. Davanti a ospiti importanti, da Michael R. Bloomberg ad Andrew Cuomo, da Henry Kissinger a Brian Moynihan, Dolan rimane fino all’ultimo prudente salvo una sbavatura nel finale piccola ma significativa.
Al termine di un breve discorso nel quale riconosce elementi positivi in entrambi i candidati tanto che spiega che “bisogna stare sempre dalla parte dei più deboli, i bambini nascituri (Romney si dice alleato dei cattolici perché difende la vita), come i poveri senza assicurazione sanitaria (Obama punta di più sui temi sociali)”, affonda a sorpresa il coltello difendendo la libertà di religione offesa dalla riforma sanitaria di Obama, quella riforma che “obbliga i datori di lavoro a includere contraccezione, sterilizzazione e medicine che possono causare l’aborto nelle polizze di sicurezza che devono obbligatoriamente pagare ai loro dipendenti”. Parole dure che scuotono i presenti e provocano un lungo applauso. Troppo poco per dire che è verso Romney che batte il cuore di Dolan? Probabilmente no, anche se non è affatto scontato che ciò che pensano le gerarchie sia sulla stessa linea di ciò che pensa il popolo.
Sono circa 77 milioni i cattolici negli Stati Uniti e a chi decidono di indirizzare il proprio consenso è sempre un grande enigma. Quattro anni fa, ad esempio, furono in 35 milioni a recarsi alle urne e il 54 per cento dei loro voti andò a Obama.
E oggi è ancora l’incertezza a regnare. Secondo il recente sondaggio America values survey realizzato dal Public religion research institute, infatti, una leggera maggioranza di cattolici bianchi (54 per cento) dichiara di preferire Romney, mentre una netta maggioranza di ispanici (70 per cento) sostiene Obama. Tra i cattolici che vanno in chiesa una volta la settimana, sei su dieci dichiarano di votare per l’ex governatore del Massachusetts, mentre tra quelli che vanno in chiesa una volta al mese o anche meno, sei su dieci appoggiano Obama. Dati difficili da decifrare che sembrano suffragare la tesi esposta da uno degli autori del sondaggio, Robert P. Jones: “I dati confermano che non esiste il cosiddetto ‘voto cattolico’. Ci sono tante divisioni importanti tra i cattolici, compresa una divisione importante tra cattolici per la ‘giustizia sociale’ e quelli per il ‘diritto alla vita’”.
Che ci siano divisioni fra l’elettorato cattolico è fuori di dubbio. Ma il punto è un altro: per i cattolici conta di più la difesa della vita che Romney promette di non disattendere oppure le aperture sociali già dimostrate da Obama? I vescovi è da tempo che hanno fatto la loro scelta. E non è poi così vero, come sono stati più volte accusati dalle migliaia di suore americane che a suo tempo appoggiarono la riforma dell’attuale Amministrazione, che non hanno dietro un popolo. L’asse anti Obama nasce dall’alto, è vero, dai vescovi spinti dal Vaticano e dal gruppo che anche oltre il Tevere vanta un certo potere: i Cavalieri di Colombo di Carl Anderson. Sono loro a premere oltre Tevere perché dal Papa in giù sia chiaro che certi valori non possono essere traditi in cabina elettorale. “E’ importante che i cattolici quando votano si accertino di non sostenere mali intrinseci come l’aborto, che è male in tutte le circostanze”, ha non a caso detto recentemente l’arcivescovo di Philadelphia Charles Chaput. Ma esiste un popolo che si riconosce nelle gerarchie e i Cavalieri di Colombo, coi loro milione e ottocentomila seguaci – una rete poderosa che lo scorso anno ha raccolto offerte per opere di carità stimabili in circa 158 milioni di dollari – non ne sono che una parte. Anche perché come spiega, citato da Avvenire, Mark Gray del Centro per la ricerca applicata sull’Apostolato della cattolica Georgetown University, “l’identificazione in massa dei cattolici con il partito dell’asinello si è verificata per l’ultima volta con l’elezione di John Kennedy ma non più dagli anni Sessanta”.
Già, eppure sono in diversi che firmerebbero nero su bianco il bruciante commento che la presidente della Leadership Conference of Women Religious (Lcwr), suor Pat Farrell, ha fatto dopo che il Vaticano ha annunciato la volontà di commissariarle sostanzialmente a seguito del loro esplicito appoggio all’Obamacare: “Sostenere la vita, tutta la vita” ha detto “significa occuparsi anche di coloro che stanno ai margini della società: i disprezzati, i malati mentali cronici, gli anziani, i carcerati, quanti sono nel braccio della morte. Noi abbiamo alzato la voce nei confronti della pena di morte, della guerra, di chi soffre la fame anche qui. La chiesa parla a favore del feto, certo, ma tace su altrettante questioni vitali, ed è una distorsione”. Una posizione fatta propria anche dai gesuiti della rivista newyorchese America che hanno scritto più volte che “difendere la vita è una questione assai più ampia delle campagne contro l’aborto o l’eutanasia”.
Poco tempo fa la Conferenza episcopale del paese ha pubblicato un duro documento, intitolato “Our first, most cherished liberty” (La prima e più cara delle libertà), firmato da monsignor William E. Lori, arcivescovo di Baltimora e presidente del Comitato per la libertà religiosa, in cui i cattolici e gli americani vengono invitati a “stare in guardia, perché la libertà religiosa è sotto attacco, sia in patria sia all’estero”. Come esempio di questo attacco, i vescovi citano la politica nei confronti di contraccezione e aborto di Obama. Il Pew Research Center, istituto di ricerca di Washington, ha provato a misurare il “gradimento” della Conferenza episcopale e di Obama proprio in base all’idea che la libertà di religione sia sotto attacco negli Usa. Le risposte dicono che non sono pochi coloro che la pensano come le suore. Alla domanda: “Quale dei due candidati riflette meglio le vostre idee sui problemi sociali, incluse questioni come aborto, diritti dei gay…?”. Il 51 per cento dei cattolici ha risposto Obama, il 36 per cento Romney e il 14 per cento né l’uno né l’altro.
http://www.paolorodari.com/2012/11/02/larcivescovo-di-new-york-sta-con-i-repubblicani-ma-per-i-cattolici-americani-conta-piu-laborto-romney-o-la-poverta-obama/?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+PalazzoApostolico+%28Palazzo+Apostolico+-+Diario+Vaticano+di+Paolo+Rodari%29&utm_content=Netvibes




Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.