ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 9 gennaio 2013

Gioco delle parti?


Continua il gioco delle parti e la commedia degli equivoci. Una questione seria.


Riprendo dall'edizione francese di Radio Vaticana (su quella italiana c'è solo lo scarno ma decisamente defilato comunicato di padre Lombardi, che ha dichiarato impossibile parlare degli ebrei come nemici) alcuni spunti della reazione suscitata dalla ormai note urbi et orbi parole di Mons. Fellay che ha osato nominare gli ebrei, insieme a massoni e modernisti, tra i nemici della Chiesa. E ritengo utile non far passare sotto silenzio alcune puntualizzazioni.

L'emittente Vaticana si affretta a ricordare due pilastri delle recenti posizioni della Chiesa al riguardo: rifiuto dell'antisemitismo e intangibilità della Nostra Aetate.
È l'occasione per ricordare che nel 2009, nel corso della sua visita in Israele, Benedetto XVI aveva qualificato l'antisemitismo come totalmente inaccettabile. Esso « continua a mostrare il suo volto ripugnante in molte parti del mondo ». L’anno precedente a Parigi, incontrando i rappresentanti della comunità ebraica aveva affermato che essere antisemita è essere anticristiano.
1. Rifiuto dell'antisemitismo

Bene, credo che noi cattolici, compreso Mons. Fellay e la Sua Fraternità, siamo perfettamente d'accordo col Papa e non ci piace questa commedia degli equivoci che fa diventare antisemita qualunque espressione che ricordi la differenza sostanziale tra ebraismo e cristianesimo: il rifiuto della divinità di Cristo Signore; il che di certo non vede gli ebrei come nostri fratelli nella fede! Ma questo non comporta né rappresenta alcun odio nei confronti delle persone; anzi un cristiano si distingue per l'amore al nemico e per la preghiera nei suoi confronti, anch'essa abbiamo visto non gradita: si ritengono non bisognosi di conversione - che del resto nessuno vuole né può imporre - e la Chiesa glielo conferma (!?). 

Però non confondiamo l'antisemitismo con il riconoscimento serio delle differenze che connotano le due fedi che, nonostante altisonanti e sempre più reiterate affermazioni, non adorano lo stesso Dio. Il che non deve produrre né inimicizia né disprezzo, ma realisticamente può comportare dialogo e collaborazione soltanto in ordine a questioni pragmatiche e culturali, dal momento che le fedi non possono dialogare. È dannoso diffondere equivoche possibilità su questo, altrimenti si produce solo omologazione e perdita di identità da parte nostra; il che equivale a rinnegare Chi il Signore è e ciò che Egli ha fatto e opera per noi fino alla fine dei tempi. Il problema è che l'affermazione della differenza, che non esclude il rispetto e che dovrebbe essere ovvia per chiunque, viene arbitrariamente e strumentalmente etichettata come istigazione all'odio.

2. Intangibilità Nostra Aetate
Continua Radio Vaticana:
Lo scorso mese di novembre, nelle colonne de L’Osservatore romano, il quotidiano del Vaticano, il cardinal Kurt Koch, presidente del pontificio Consiglio per l'unità dei cristiani e della Commissione per i rapporti con l'ebraismo, ci ha tenuto a sottolineare come il dialogo con gli ebrei sia fondamentale per il Papa. Gli sforzi dispiegati per far rientrare i Lefebvriani nella Chiesa – ha precisato il cardinal Koch – non significano alcuna rimessa in causa della dichiarazione conciliare Nostra Aetate.
Questa storica dichiarazione esprimeva il rispetto della Chiesa nei confronti delle religioni non cristiane, ma essa aveva soprattutto l'intendimento di metter fine nella Chiesa ad ogni atteggiamento antit-ebraico e anti-semita. « Nei confronti degli ebrei – ha dichiarato il cardinal Koch - il Santo Padre mi ha incaricato di presentare la questione in maniera corretta : Nostra Aetate non è per nulla al mondo rimessa in discussione da parte del Magistero della Chiesa, come lo stesso Benedetto XVI ha più volte dimostrato nei suoi discorsi, i suoi scritti ed i suoi gesti pastorali ».
E inoltre:
«È impossibile parlare degli ebrei come di nemici della Chiesa», ha assicurato il 7 gennaio all'Agenzia I.MEDIA Padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa della santa Sede. Ha riaffermato che la Chiesa è «profondamente impegnata nel dialogo» e che è dunque «impossibile» formulare una simile affermazione nei riguardi dei rappresentanti dell'ebraismo. Ripete che la posizione della Santa Sede sulla questione è «chiara» e «ben conosciuta» ed espressa non solo nella Nostra Aetate, ma anche attraverso le diverse visite dei sovrani pontefici nelle sinagoghe.
Ci sembra che troppe cose sono impossibili per i cattolici in questa nostra Chiesa post-conciliare; mentre risultano possibili molte altre che sviano dalla retta fede.

In ogni caso non può non sconcertarci quest'assurdo gioco delle parti che vede i nostri Pastori prostrati davanti alle rappresentanze ebraiche che si fanno sempre più esigenti: si potrebbero ricordare le pressioni e gli interventi dei più influenti rabbini del mondo nonché dei rappresentanti di organizzazioni ebraiche a livello mondiale di casa in Vaticano molto più dei Tradizionisti. Di interventi ne ricordiamo uno per tutti: quello del Rabbino Di Segni :
"Se la pace con i lefebvriani significa rinunciare alle aperture del Concilio, la Chiesa dovrà decidere: o loro o noi!" [sembra quasi rivendicare un riconoscimento che non gli appartiene e che invece  appartiene a pieno titolo alla Tradizione]: in un passaggio di un'intervista al mensile 'Il consulente Re' uscito il giorno prima della giornata della memoria del 2010 (26 gennaio). Di Segni rievoca, in proposito, il discorso pronunciato in sinagoga in occasione della visita del Papa, quando, in riferimento alle "aperture" del Concilio vaticano II, ha affermato: "Se venissero messe in discussione, non ci sarebbe più possibilità di dialogo". Ora il rabbino spiega, in riferimento al discorso del giorno prima del Papa alla congregazione per la Dottrina della fede: "È stata l'ultima aggiunta al discorso, dopo che venerdì mattina 15 gennaio c'è stata una strana apertura ai lefebvriani...".
Non è dunque strano né così riprovevole che Mons. Fellay possa essersi riferito al fatto che importanti organizzazioni ebraiche, dopo il caso Williamson, hanno fatto pressione sul Vaticano perché la FSSPX non fosse reintegrata canonicamente. Inoltre egli non fa altro che ricordare la rivalità, a livello spirituale, ineludibile a rischio del rinnegamento dell'identità cristiana, tra Chiesa e Sinagoga...
La fretta del Vaticano a prendere le distanze dalle dichiarazioni del Monsignore non fa che dimostrare la consistenza e l'entità delle pressioni che riceve nonché, in aggiunta, il rischio della diluizione e l'oltrepassamento del fondamento della nostra Fede.

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