ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 1 gennaio 2013

Ma il vaticanista borderline e violento, non resiste... e svela la sua Legione!

I nuovi crociati

Ultracattolici, una minoranza borderline e violenta che resiste. Don Piero Corsi con le sue tesi è l’ultimo dei loro kamikaze

La colpa è sempre del diavolo, che si traveste da femmina e tenta, abiti discinti, l’uomo. Oppure dei giornalisti, braccio armato del male, reporter senza Dio e buoni a nulla che scrivono in giro che non di solo omicidio può morire un essere umano, ma pure di femminicidio, la violenza sulle donne in quanto donne, l’odio distruttore, sostanzialmente primordiale, contro l’altro genere. Sono, più o meno, le tesi affisse sul portone della chiesa della frazione di San Terenzo di Lerici, diocesi di La Spezia, da don Piero Corsi. Un Lutero al contrario, don Corsi.
Il riformatore tedesco scrisse sul portone della chiesa di Wittenberg il suo diniego per Roma, il potere del clero che si legittimava con le indulgenze. Don Corsi quel potere lo vorrebbe assoluto, fuoco distruttore contro ogni infedele. Ma al di là del vaneggiamento di un ministro di Dio, la storia è anche un’altra. Ed è che queste posizioni – che il parroco di Lerici ha condito anche con accuse pesanti alle donne che non curano i figli, che non cucinano, che non lavano i vestiti e che pure si vestono troppo scollate – albergano non poco in un certo cattolicesimo di stampo tradizionalista, una galassia che sovente fatica a comprendere in quale rapporto debbano stare, su quale equilibrio mantenersi, fede e mondo, sacro e profano. Una difficoltà peraltro già nota a Lerici, quando don Corsi aveva appeso sulla bacheca della sua chiesa alcune feroci vignette satiriche contro l’islam. La comunità locale cattolica si era ribellata ritenendo che la parrocchia non fosse il luogo idoneo per intraprendere una crociata così impegnativa e aspra. Don Corsi si era visto costretto (allora come oggi) a togliere il volantino, ma insieme aveva messo sulla porta della stessa chiesa il disegno di un asino che ride, una contro vignetta dedicata a chi non condivide il suo credo, una fede rigida e sempre tesa ad accusare il diverso piuttosto che accoglierlo.
E se è vero che don Corsi è un caso a parte, “il cui primo responsabile”, come scrive Avvenire, è lo stesso sacerdote perché “quando divampa un disastroso incendio è responsabile chi lo ha appiccato”, è anche vero che esiste una pancia forse piccola ma senz’altro profonda dentro la chiesa che la pensa come lui, una cloaca ascrivibile al mondo tradizionalista di stampo italiano, una fazione con pochi adepti, a onor del vero, ma che quando si mette in moto sa fare male, colpendo con la precisione d’un cecchino.
Pontifex.roma.it è uno dei tanti siti web che rilancia quotidianamente tesi offensive verso chi non condivide i dettami di una fede dal rigore assoluto, totale, un monoteismo verticale. Tante le star di questo piccolo palazzo mediatico, alcuni vescovi emeriti non si sa quanto consapevoli delle parole che buttano sulla Rete, e poi alcuni preti come l’ultratradizionalista don Floriano Abramovich. L’omosessualità? “Un castigo di Dio” dice. E poi le solite tesi negazioniste sulla Shoah, già presenti in frange estreme del mondo lefebvriano. Le camere a gas? “Io so che le camere a gas sono esistite almeno per disinfettare, ma non so dirle se abbiano fatto morti oppure no, perché non ho approfondito la questione”. Tesi non dissimili da quelle di un altro ultrà della destra cattolica più intransigente, don Giulio Tam, talmente di destra da essere stato espulso pure dai discepoli di Marcel Lefebvre, ma ancora padre spirituale dei cosiddetti “nostalgici mussoliniani”. Questa una delle sue tesi: “Gli islamici ci danno un esempio grande, loro si fanno saltare in aria per la fede. Tutti i nostri camerati ci stanno guardando dal cielo. E’ arrivata l’immigrazione, adesso tocca a voi difendere il paese. Dobbiamo attirare le forze divine per fare le prossime battaglie: è un dovere di ogni italiano difendere la propria patria”. Posizioni estreme di uomini ai confini del cattolicesimo, alcuni residenti oltre il confine stesso, altri sul limitare, ma altri ancora dentro, come don Corsi, oggi messo a riposo ma fino a ieri in grande attività.
Luca Diotallevi, sociologo, conosce e studia anche le dinamiche ecclesiali. Dice: “In fasi di trapasso da un ‘mondo’ a un altro ‘mondo’, come quelle che stiamo vivendo, il processo di aggiornamento degli schemi cognitivi e dei modelli di comportamento richiede risorse che non tutti hanno. Questi sono tempi che richiedono a tutti una misura maggiore di coscienza, libertà e volontà. Di conseguenza, in queste fasi di passaggio, si creano gruppi marginali, ma anche molto numerosi, di individui segnati da una grande debolezza interiore. Questa si manifesta in una spasmodica domanda di sicurezza che cerca ‘assoluti’ e ‘compensazioni’ di ogni genere. In questi tempi la fede è sottoposta a prove dure, mentre le religioni fanno affari d’oro, gli dèi – anche mondani – godono ottima salute. Queste sacche di individui socialmente e culturalmente marginali cercano rifugio ovunque e finiscono per trovarlo dove capita. In ogni società ci sono residui culturali propri di tempi più semplici e più stabili che fanno alla bisogna: devozioni, mode, ideologie politiche, tradizioni popolari… Nella Russia di oggi possono essere le vestigia superstiti del vecchio comunismo. Da noi, in Italia, è la tradizione religiosa a essere più esposta a questo rischio di saccheggio e strumentalizzazione. In momenti come questi rigattieri senza scrupoli possono costruire una fortuna e un prestigio sociale sulla indigenza spirituale e la paura di tanti. La chiave di spiegazione di questi fenomeni non è ideologica, e tantomeno teologica. Qui semplicemente si specula sulla paura e la fatica di persone spiritualmente e culturalmente meno provviste, e per far questo si usano le idee o i simboli che funzionano. I significati sono un orpello. Mentre la chiesa educa alla maturità umana, gli imprenditori religiosi (fuori, ma a volte purtroppo anche dentro il cattolicesimo) investono sulla permanente dipendenza dei loro fedeli-clienti. Non è come in Francia dove vive ancora un filone di tradizionalismo religioso ultramontanista che – nel bene e più spesso nel male – difende delle ragioni. Da noi ci sono solo operatori del business religioso che arruolano dei deboli dando loro l’opportunità di sentirsi finalmente forti, e magari a volte di schiavizzare spiritualmente altri. Per loro la tradizione religiosa è un pozzo enorme da cui prendere senza scrupoli quello che serve. Sulla carta la fede cattolica ha mille antidoti contro l’idolatria e innanzitutto contro l’idolatria religiosa. Nella pratica però restano punti altamente critici. Uno di questi è costituito dall’abbassamento dei criteri di selezione del clero. Lo si vede bene in materia di liturgia, dove non c’è segno senza significato e dove dunque lo spazio per gli abusi sarebbe minimo. E – magari può sembrar strano – questo spazio per abusi dentro la riforma del Vaticano II è ancor più ridotto di quanto già non fosse nella liturgia uscita da Trento. I tradizionalisti nostrani non sono interessati alla teologia liturgica, bensì solo all’estetica liturgica, a un immenso patrimonio e repertorio di segni da trasformare a piacimento in simboli morti e luccicanti, luccicanti e seducenti perché inerti. Mentre nella liturgia cattolica tutto è ‘segno e strumento’ perché rimanda a qualcosa d’altro, di reale e di efficace, nel tradizionalismo ‘cattolico’ il segno viene trasformato in simbolo e piegato a istanze di rassicurazione, di dominio e di identità. Può avvenire che i tradizionalisti millantino ascendenze nobili e autorevoli. Possono arrivare, ad esempio, a servirsi di Henri-Marie de Lubac, ma tacendo o ignorando – tanto per fare un esempio – che esistono pagine di De Lubac che invitano a riconoscere valore, rischi e limiti oggettivi di una prassi pur preziosa come quella della adorazione eucaristica. Ultimamente, è ‘prendete e mangiate’ che viene comandato dal Signore e non ‘distanziatevi e guardate’. Il cristianesimo non accetta di essere ridotto a rispostine e immaginette, a ideologia e devozione. Può sempre venire una tempesta, e se in quel momento non si disponesse d’altro che di spettacoli e formulette, per la fede sarebbe dura. La fede cristiana, infatti, vive di, anzi vive nei Sacramenti e nella Parola. Essi sono per tutti, non solo per alcuni; essi sono la fonte della forza vera, il vero panis viatorum”.
Certo, c’è tradizionalismo e tradizionalismo. Occorre distinguere bene. C’è, ad esempio, un sano conservatorismo che alberga nel cattolicesimo, con campioni ben piantati anche nel collegio cardinalizio. Ma più a destra di questi resistono frange estreme. Lo spiega Massimo Introvigne, sociologo e storico vicino ad Alleanza cattolica e direttore del Centro studi sulle nuove religioni. Dice che in Italia è vero che “voci come quella di don Corsi si vanno moltiplicando. Voci sguaiate che in passato sono arrivate anche a dire che dietro lo tsunami c’è il castigo di Dio. Sono voci che partono da spunti presenti effettivamente nella dottrina per arrivare però a sostenere tesi provocatorie, controproducenti e di fatto indifendibili. Accanto a illustri sociologi che sostengono con argomentazioni logiche e pensate che una società pansessuale fabbrica crimini a sfondo sessuale, vi sono coloro che cavalcano queste stesse tesi, le trasformano a piacimento fino a sostenere che la causa di certi crimini sono gli abiti succinti delle donne o panzane di questo tenore”.
Che mondo è quello di don Corsi? “E’ un mondo molto borderline nel cattolicesimo italiano”, nota Introvigne. “Disse Karl Marx che la storia si ripete sempre due volte: come tragedia e come farsa. Se da una parte esiste un mondo tradizionalista, e in particolare quello che ruota attorno al mondo del defunto Marcel Lefebvre, che ha articolato una critica al mondo conciliare seria per quanto possa essere per molti aspetti discutibile anche per il fatto di aver portato a uno scisma drammatico e ancora non risolto all’interno della chiesa, dall’altra esiste un tradizionalismo becero, che oggi di fatto altro non è che una farsa dello stesso tradizionalismo. Ci sono antisemiti dichiarati, coloro che vedono la massoneria ovunque, il diavolo in ogni luogo, macchiette che non hanno nessun retroterra culturale nobile ma soltanto insulti e accuse gravi. Attaccano Giovanni XXIII perché ha osato aprire il Concilio, Paolo VI perché l’ha continuato, perfino Giovanni Paolo II, distorcono il loro pensiero ai limiti dell’assurdo come dimostra il volantino di don Corsi che legge ‘pro domo sua’ la Mulieris dignitatem di Wojtyla. Quando un prete dà del ‘frocio’ a un giornalista – come ha fatto don Corsi in queste ore – cosa resta da dire? Quando vediamo certi preti ultratradizionalisti che tuonano contro gli ebrei siamo tutti disarmati”. Quanti sono in Italia i tradizionalisti di questo tipo? “Alle loro messe vanno poche centinaia di persone in tutto. Davvero un numero irrisorio. Mentre esiste una sensibilità per la tradizione più seria e che fa più adepti. Un esempio che mi sembra positivo in questo senso è il pellegrinaggio organizzato in Vaticano da alcuni tradizionalisti per ringraziare il Papa del Motu proprio Summorum Pontificum sulla messa in latino”.
Don Giovanni Nicolini, mantovano, fu a Bologna che conobbe e frequentò Giuseppe Dossetti. E’ dall’amicizia con Dossetti e da una comunione profonda con lui e i suoi che don Nicolini ha fondato le Famiglie della Visitazione. Dice: “Certe parole così violente fanno parte a mio avviso di una sottocultura che certamente non riesce a guardare serenamente alla modernità, al suo volto, alle sue caratteristiche e ai suoi problemi. Non avendo un pensiero forte col quale leggere la modernità, dunque la contemporaneità, scadono in una involuzione culturale che credo in fondo altro non sia che un grande pessimismo”. Ma questa involuzione fa parte anche della chiesa. Come è possibile? “Difficile rispondere. Però ci sono dei segnali su cui riflettere. Guardiamo ad esempio alla celebrazione che ha avuto luogo quest’anno in occasione dei cinquant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano II. C’è stata molta gioia ma anche grande imbarazzo a testimonianza delle diverse resistenze verso le nuove acquisizioni del Concilio stesso. Credo che le novità del Concilio abbiano trovato sul loro cammino degli ostacoli che probabilmente lo stesso Concilio non poteva prevedere. E’ stato un errore forse anche nostro: avevamo pensato di aver vinto, che fosse prevalsa insomma la nostra linea, ma purtroppo non è stato così. Il Concilio è stato una grande profezia di fronte alla quale però la chiesa, o almeno una parte di essa, si è spaventata. Si è ritratta, timida, di fronte alla novità. Una ritrosia che poi può anche portare alle derive che in questi giorni sono sotto gli occhi di tutti, a una paura verso il mondo al limite dell’assurdo. Dispiace molto perché in realtà la mia esperienza è di grande bellezza e possibilità d’incontro col mondo contemporaneo, anche con le sue ferite e i suoi problemi. Trovo una freschezza e una novità nelle parole evangeliche anche oggi, parole valevoli per la contemporaneità. Penso, ad esempio, al dono del femminile. Perché tanta paura? C’è forse in una certa parte di chiesa un senso d’inferiorità. La donna si è molto affermata a livello professionale, anche nell’assistenza spirituale – il grande ospedale di Bologna è in larga parte condotto dalle donne – e c’è, dunque, paura da parte di certi uomini anche di chiesa. La violenza maschile in questo campo mi sembra nasca dalla fragilità di persone che si sentono umiliate dalla crescente affermazione del femminile in molti ambiti e su molti piani. La secolare maschilità reagisce con violenza davanti all’affermazione del mistero del femminile. Eppure quando c’è la presenza del femminile le cose assumono una piega nuova, diversa. Nella comunità cristiana se non ci fossero le donne non si andrebbe avanti. Il Concilio preparava una chiesa che viene dopo il regime di cristianità, ma oggi ancora la comunità ecclesiale fa fatica a pensare che la cristianità sia finita e che non vi sia più coincidenza culturale fra chiesa e società. La chiesa è oggi una realtà piccola, eppure abbiamo ancora palazzi, strutture che sembrano musei… Non siamo pronti a rivalutare ogni cosa: la realtà della chiesa di oggi e dentro questa realtà la preziosità del mondo femminile. Non siamo pronti a considerare il fatto che in realtà anche tutto questo mistero del femminile che nella sapienza biblica ha rilevanza straordinaria andrebbe rimesso al centro”.

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