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lunedì 7 gennaio 2013

Vatileaks atto secondo: quid est veritas? *


La verità, da Pilato a don Georg

La fedeltà del segretario del Papa nel suo motto episcopale



Che cos’è la verità? La domanda di Pilato a Gesù prima dell’inappellabile condanna, emessa dalla folla, alla crocifissione di colui che si presentava come re di un altro mondo, è utile per leggere con uno sguardo sinottico i motti episcopali di Benedetto XVI e del suo segretario particolare e neo arcivescovo Georg Gänswein.
«Il dramma di Pilato - spiega il beato Giovanni Paolo II - si nasconde nella domanda: "Che cos’è la verità?". Non era - sottolinea il grande Papa polacco - una domanda filosofica riguardante la natura della verità, ma una domanda esistenziale riguardante il proprio rapporto con la verità.
Era il tentativo di sfuggire alla voce della coscienza, che ingiungeva di riconoscere la verità e di seguirla. L’uomo che non si lascia guidare dalla verità, si rende disponibile persino a emettere una sentenza di condanna nei riguardi di un innocente». La parola verità compare sia nel motto episcopale di Joseph Ratzinger, dal 2005 Benedetto XVI, sia in quello del suo neo Prefetto della Casa Pontificia e suo segretario particolare dal 2003. Quando Paolo VI lo nomina Arcivescovo di Monaco e Frisinga nel 1977 (nello stesso anno Montini lo creerà anche cardinale), Joseph Ratzinger sceglie come motto "Cooperatores veritatis, cooperatori della verità.
Oggi il suo don Georg, divenuto, in virtù dell’ordinazione episcopale ricevuta direttamente dalle mani del Papa ieri mattina nella Basilica Vaticana, Sua Eccellenza monsignor Gänswein, sceglie come motto "Testimonium perhibere veritati", rendere testimonianza alla verità. In una semplificazione giornalistica, senza tradire lo spirito che ha animato la scelta di don Georg, si potrebbe dire che rendere testimonianza alla verità, o ai cooperatori della verità, significa servire fedelmente e generosamente, forse anche nel segreto per essere evangelicamente coerenti, colui che la Chiesa cattolica definisce il successore in terra della verità, ovvero Cristo. E lo stesso figlio di Dio, infatti, a dire di sé «io sono la via, la verità e la vita» e anche «chiunque è dalla verità ascolta la mia voce».
La missione di don Georg, indossati anello episcopale, croce pettorale, mitria e pastorale, non cambia, rimane la stessa di questi quasi otto anni vissuti accanto a Benedetto XVI, ma, se possibile, diventa ancora più intensa poiché nelle sue mani sono concentrate le responsabilità della segreteria particolare del Papa e della Prefettura della Casa Pontificia. Per tradurre: udienze pubbliche e private, visite ad limina dei vescovi di tutto il mondo e viaggi in Italia. Giovanni Paolo II, venti anni dopo essere stato eletto al soglio di Pietro, ordinò vescovo il suo segretario particolare. Benedetto XVI fa lo stesso sulla soglia del compimento dell’ottavo anno di pontificato. Wojtyła però fu eletto Papa a cinquantotto anni, Ratzinger, invece, a settantotto.
C’è la solita voce controcorrente che parla di un Pontefice ormai blindato e di un segretario con un potere enorme concentrato nelle sue giovani mani (ha cinquantasei anni). Le commozioni di Benedetto XVI e del suo don Georg per la prima volta con la mitria sono i segni più eloquenti che nei prossimi mesi il servizio alla verità che ha contraddistinto, anche nella tormentata vicenda Vatileaks, il segretario particolare del Papa continuerà a essere svolto sempre in modo scrupoloso e con lo stesso generoso amore verso Benedetto XVI.
«Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi», disse Ratzinger il 24 aprile 2005 indossando l’anello del pescatore. Oggi che è lui a mettere al dito di don Georg l’anello episcopale ricorda: «Il coraggio di restare fermamente con la verità è inevitabilmente richiesto a coloro che il Signore manda come agnelli in mezzo ai lupi. “Chi teme il Signore non ha paura di nulla”, dice il Siracide. Il timore di Dio libera dal timore degli uomini. Rende liberi!». Con la mitria e il pastorale il Papa manda il suo don Georg nel mondo come agnello in mezzo ai lupi. Quei lupi che Benedetto XVI conosce fin troppo bene e che non rimarranno a guardare.

Francesco Grana





La Chiesa dopo Vatileaks: più potere a padre Georg

Ha trascorso gli ultimi giorni in ritiro, all’interno del Vaticano. Niente lavoro, dispacci da sbrigare, lettere a cui rispondere. Piuttosto diverse ore dedicate alla preghiera, al silenzio, e a ringraziare Dio.
Nei suoi pensieri, probabilmente, anche la riconoscenza per Benedetto XVI che dopo il caso Vatileaks – il furto di documenti riservati dall’appartamento nel Papa da parte dell’allora maggiordomo Paolo Gabriele – ha voluto tenere distante dalle sue stanze diverse persone ma non lui, il fedele segretario particolare Georg Gänswein.
La preghiera a Dio, in questo tempo di «clausura», è anche richiesta di aiuto per il nuovo delicato compito che il Papa ha voluto affidargli, un caso di predilezione unico che non ha precedenti nei recenti papati: arcivescovo – l’ordinazione ha luogo oggi in Vaticano – e nuovo prefetto della Casa pontificia, mantenendo contestualmente la direzione della segreteria particolare dello stesso Benedetto XVI, un incarico a cui non arrivò nemmeno Stanislaw Dziwisz, il potente segretario di Karol Wojtyla, nominato soltanto prefetto aggiunto in aiuto di James Harvey.
In queste ore sono in tanti a tessere le lodi di Gänswein. Fra questi anche il quotidiano Die Welt che durante Vatileaks aveva alzato il tiro sull’entourage tedesco intorno a Benedetto XVI. «Il servo più potente», titola il quotidiano che aveva accusato di complicità in Vatileaks l’ex governante di Ratzinger, Ingrid Stampa, e il precedente segretario Josef Clemens.
Per Die Welt il nuovo incarico di Gänswein non è soltanto l’ennesima conferma del buon operato di padre Georg in questi anni, ma è anche un segnale circa il potere che egli assume all’interno del Vaticano. Un potere che a onor del vero nasce da prima di Vatileaks.
Nei mesi precedenti lo scoppio dello scandalo, infatti, Gänswein ha fatto quadrato con il segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone. Ha speso parole in difesa del cardinale salesiano, contro i detrattori esterni, ha fatto insomma asse con l’«altra segreteria» la quale, se è vero che gestisce i rapporti internazionali della Santa Sede, è altrettanto vero che per volere di Papa Montini è e resta una segreteria «personale» e cioè di supporto all’attività del Pontefice. I due, Gänswein e Bertone, si sono aiutati a uscire dalle secche di Vatileaks e oggi navigano più forti verso l’anniversario degli otto anni di pontificato di Ratzinger (19 aprile).
Ma quella di Gänswein è anche una vittoria contro i media che molto superficialmente all’inizio del pontificato si erano soffermati sul suo aspetto fisico arrivando a descriverlo come una sorta di padre Ralph De Bricassart, il giovane prete ambizioso protagonista di «Uccelli di rovo».
La verità era ed è un’altra. Don Georg ha dimostrato d’essere un fedele servitore del Papa, con un curriculum importante: laureato in diritto canonico alla Katholisch-Theologische Fakultat della Ludwig-Maximilians-Universitat di Monaco, dopo essere stato giudice del tribunale diocesano e collaboratore personale dell’arcivescovo di Freiburg im Breisgau.
Nel 1995 l’arrivo in Vaticano alla Congregazione per il culto divino. Poi il trasferimento alla Dottrina della fede, dove diviene segretario personale dell’allora prefetto Ratzinger.
La fedeltà al Papa di Gänswein ha un’eco anche nello stemma episcopale da lui scelto. Per metà è una riproduzione esatta dello stemma di Benedetto XVI con la conchiglia di sant’Agostino, l’orso di san Corbiniano e il moro incoronato dello stemma dei vescovi di Frisinga, che per Ratzinger è espressione dell’universalità della Chiesa. Sulla destra c’è il drago in campo azzurro con la stella.
Scrive il sito korazym: «Il campo azzurro con la stella di Betlemme è un chiaro riferimento mariano. Il drago è usato in araldica per rappresentare la fedeltà, la vigilanza e il valore militare. Il drago sputa fuoco verso la «casa» del Papa, ma viene trafitto da una lancia che proviene dalla stella di Betlemme».
Il motto è «Testimonium perhibere veritati», «Rendere testimonianza alla verità». Tutto, insomma, lascia intendere che Gänswein voglia dare al suo ministero episcopale l’impronta di Benedetto XVI e l’idea «di un collaboratore fedele, leale e vigile».

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