ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 11 aprile 2013

Il laico che s'intendeva di Papi meglio della FSSPX


Quello che scrisse il grande scrittore Indro Montanelli, dopo un colloquio che ebbe con Giovanni Paolo II, e dopo averlo detto “un Papa sovvertitore”, chiedendosi: «… ma quale Chiesa ha in mente?.. verso quale tipo di Chiesa, papa …
… Wojtyla intende avviare quella cattolica?..».

Ecco le parole di Indro Montanelli: «In un colloquio avuto con Giovanni Paolo II nel suo appartamento privato (…), capii, o credetti di capire, che quel Papa avrebbe lasciato dietro di sé un cumulo di macerie: quelle della struttura autoritaria e piramidale della Curia Romana.
Ora, mi sembra di capire che quella intuizione vagamente catastrofica peccava, sì, ma per difetto; quelle che Papa Wojtyla si lascerà dietro, non sono le macerie soltanto della Curia, ma della Chiesa, almeno di quella che da duemila anni siamo abituati a considerare tale e ci portiamo anche noi, laici, nel sangue». (Indro Montanelli – “Corriere della sera”, 9 marzo 2000).

Quando il Papa era preoccupato per il Concilio. Da una carteggio inedito tra Roncalli e Montini
E oggi, a cinquant’anni dalla morte di Giovanni XXIII e dall’elezione del successore Paolo VI, nel carteggio del tutto inedito fra i due che le edizioni Studium danno alle stampe curato dall’arcivescovo Loris Capovilla e dal saggista Marco Roncalli, è anche questa tensione a emergere.
Tradizionalisti e innovatori, la curia romana restia al cambiamento e il Papa che spinge consapevole che la dottrina «certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele», deve essere «approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi».
Recita il diario di Capovilla (anch’esso inedito e in parte contenuto nel volume), allora segretario di Roncalli, la sera dell’apertura dei lavori: «Non sono tranquillo, non vedo chiaro circa l’avviamento, la profondità, la serietà dei lavori. Sono convinto che la curia ha cercato d’impadronirsi del Concilio per farne una specie di Congresso. Molti non credevano che si sarebbe celebrato. Ed ora che ci siamo lo vogliono ridurre ad un avvenimento giuridico».
Un po’ come oggi, quando il vento del cambiamento portato da Papa Francesco sembra destabilizzare Roma e le sue gerarchie. Jose Mario Bergoglio non abita le stanze del palazzo apostolico e adotta uno stile di governo più collegiale e orizzontale, in scia agli auspici del Concilio. Auspici sui quali il Papa potrebbe tornare non solo dopo domani, per i cinquant’anni della pubblicazione della “Pacem in terris”, l’enciclica di Roncalli (secondo la vox populi il Papa che più ricorda Bergoglio) indirizzata per la prima volta ai cattolici e «a tutti gli uomini di buona volontà», ma anche domenica prossima quando celebrerà una messa nella basilica di San Paolo Fuori le Mura dove il 25 gennaio 1959 annunciò in modo inaspettato proprio l’intenzione di convocare il Concilio.
Anche Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI, seppure da subito in sintonia con gli intenti che hanno spinto Roncalli a volere un Concilio, nutre qualche perplessità circa «la mancanza di un piano ben delineato e capace di guidare i lavori».
Ne scrive, Montini, nel 1959 all’allora segretario di stato vaticano Cicognani e poi il cardinale Suenenes direttamente a Giovanni XXIII. «Due lettere importanti e angosciose. In sostanza chiedono che il Concilio sappia cosa deve fare, dove vuol andare e con quale linguaggio. Penso che Dio abbia acceso questo fuoco: che permetta ora il tentativo di molti di soffocarlo», è sempre il commento di Capovilla. A differenza dei tanti che provavano a remare contro, Montini è però per Roncalli un amico sicuro e insieme consapevole di quanto Giovanni XXIII sia osteggiato in curia. Ne è prova una lettera scritta da don Giuseppe De Luca a Montini il 6 agosto 1959 nella quale vengono fuori «riserve» e insieme «critiche».
Non è trascorso neppure un anno dall’elezione di Roncalli, e in questo testo l’erudito sacerdote descrive la curia romana, presso la quale gode di autorevoli quanto trasversali agganci, come «il cerchio dei vecchi avvoltoi, che dopo il primo spavento torna. Lentamente ma torna». Aggiungendo: «E torna con sete di nuovi strazi, di nuove vendette. Intorno al carum caput (cioè Giovanni XXIII, Ndr) quel macabro cerchio si stringe. Si è ricomposto certamente».
A differenza di altri Montini è per Roncalli un amico su cui contare. Gli scrive già nel 1925, da assistente ecclesiastico generale della Fuci. E gli scriverà sino alla fine. Così, da arcivescovo di Milano il 25 maggio 1963, quando ormai si sa che Giovanni XXIII sta male: « Le notizie, che corrono sul malessere che insidia la Sua salute, sono anche a Milano, a me fra tutti, causa di filiale apprensione e di cordiale sofferenza. Ci è quasi conforto essere col Padre amatissimo “In passione socii” e unire al Suo dolore fisico il nostro spirituale. Crescono cosi nell’animo i voti, crescono le preghiere per la salute di Vostra Santita… Possa la Santità Vostra cogliere i frutti del Suo apostolico ministero nel Concilio ecumenico, che alla sua prossima seconda sessione desidera averLa in mezzo alla sua grande assemblea, rinfrancato nelle forze del corpo e sempre magnifico in quelle dello spirito».
Parole di amicizia, dunque, all’interno di un carteggio a cui sarà dedicato un convegno venerdì pomeriggio al Centro Congressi Giovanni XIII di Bergamo che sarà aperto dal cardinale Walter Kasper e concluso Paul Poupard. Tema Giovanni XXIII e Paolo VI, I Papi del Vaticano II.

La profezia di Montanelli sulla staffetta Roncalli-Montini

Nel volume della Studium «Lettere di fede e di amicizia» (edizioni Studium) che raccoglie 201 missive, un legame fortissimo tra i due Pap

GIACOMO GALEAZZICITTÀ DEL VATICANO

 

Un sibillino scambio alla vigilia del conclave del ´58. L’annuncio e l’avvio tumultuoso del Concilio. Un epistolario lungo quarant'anni descrive due amici destinati al Soglio di Pietro. A mezzo secolo dalla morte di Giovanni XXIII e dell’elezione del successore Paolo VI, un carteggio inedito documenta il sodalizio tra Roncalli e Montini. «Lettere di fede e di amicizia» (edizioni Studium) raccoglie 201 missive. La prima è del 1925 e si conclude con il progetto di predicare insieme ai fucini.

L’ultima, datata 25 maggio 1963, reca la firma di chi nel frattempo è diventato cardinale di Milano e si rivolge all’amico, ormai quasi in agonia, augurandogli di poter essere presente alla seconda sessione del Concilio "rinfrancato nelle forze del corpo e sempre magnifico in quelle dello spirito". Dai rispettivi incarichi a Istanbul, Parigi, Venezia, Vaticano, Milano,  vengono condivise informazioni preziose: sulla persecuzione degli ebrei durante la guerra o la situazione dei vescovi che avevano collaborato con il regime di Vichy nella Francia liberata, le esperienze pastorali sulla cattedra di San Marco e di sant’Ambrogio in anni di grandi cambiamenti, anche politici, nelle comunità dei credenti. Venerdì 7 giugno 1963 il cardinale Montini celebra nel Duomo di Milano una messa di suffragio per Giovanni XXIII, morto pochi giorni prima, il 3 giugno 1963. Nell’omelia l’arcivescovo afferma la necessità di proseguire la linea del pontificato di Roncalli: l’«internazionalizzazione della Chiesa», la convocazione del concilio, la partecipazione dei vescovi «non certo all’esercizio (che resterà personale ed unitario), ma alla responsabilità del governo della Chiesa», l’ecumenismo e la predicazione della pace. «Potremo noi mai lasciare strade così magistralmente tracciate, anche per l’avvenire, da papa Giovanni? È da credere che no! E sarà questa fedeltà ai grandi canoni del suo Pontificato ciò che ne perpetuerà la memoria e la gloria, e ciò che ce lo farà sentire ancora a noi paterno e vicino». La sera di mercoledì 19 giugno 1963, con il canto del "Veni Creator Spiritus", gli 80 cardinali si chiudono nella Cappella Sistina per eleggere il successore di Giovanni XXIII. È il primo conclave in tempo di concilio da quattro secoli a questa parte. Dopo l’“esilio milanese”, Montini è il candidato naturale e il cosiddetto “Partito romano”, l’ala conservatrice della Curia, lo sa bene. Gli ambienti reazionari lo vedono come il fumo negli occhi: Montini parla in italiano, ma pensa in francese e perfino un agente della Cia, fatto venire dal Pakistan per seguire da vicino il conclave, riferisce nei novendiali che questo forte candidato indispone il partito curiale che teme le sue idee e le sue vendette. Per il suo Conclave non ci sono racconti diretti o indiretti delle sedute.

Sugli scrutini, necessari per raccogliere almeno 54 voti attorno al cardinale di Milano, girano molte voci: a posteriori l’ambasciata di Francia giudica i propri connazionali parte della maggioranza montiniana; fra i porporati, con cui Montini ha parlato durante i novendiali (come Lercaro), ci sono certo elettori che hanno raccolto pacchetti di voti e poi li hanno ceduti; e forse è vero che il cardinale Frings (quello che si era portato a Roma come teologo di punta il giovane professor Ratzinger) ha fatto di tutto per evitare che un duello fra Lercaro e Montini avvantaggiasse pallidi rincalzi moderati, come Antoniutti. Ciò che è chiaro è che, come scrive l’ambasciata del Belgio all’indomani dell’habemus Papam, "è il Concilio che ha fatto il Conclave": infatti, ancora prima di aprire le porte della Sistina, il nuovo Papa annuncia la continuazione del Vaticano II, come documentato dallo storico del cristianesimo Alberto Melloni.  «L’elezione di Montini rappresenta un’indubitabile affermazione della maggioranza del Vaticano II nel conclave. Tuttavia, in questa area, Paolo VI rappresenta la personalità meno esterna all’universo del governo centrale del cattolicesimo», commenta lo storico Andrea Riccardi. In un articolo pubblicato il giorno d'apertura del conclave del Corriere (intitolato “Montini figura centrale del Conclave”) a sbilanciarsi in un pronostico fu Indro Montanelli: «Dio ci guardi dalla tentazione di formulare oroscopi: non c’è Conclave che non li abbia sbugiardati. Però una cosa si può dire con fondata possibilità di essere nel vero: e cioè che il protagonista almeno delle votazioni iniziali sarà il cardinale Montini. La prima domanda a cui il Conclave risponderà è se il nuovo Papa deve essere lui o no. Solo in questo secondo caso si procederà alla scelta di un altro, magari della sua stessa tendenza». Dopo tre giorni di conclave, il cardinale Giovanni Battista Montini viene eletto papa e prende il nome di Paolo VI, come l’apostolo delle genti. «Alla fine Montini apparve il candidato in grado di assicurare la continuità con Roncalli e di sostenere la maggioranza conciliare non soltanto agli elettori a questa vicini- afferma Giovanni Maria Vian, direttore dell'Osservatore Romano-. Nonostante questi consensi più larghi della sua base elettorale, il cardinale arcivescovo di Milano dovette comunque superare con ogni probabilità antiche e tL’annuncio dell’elezione fu immediatamente seguito, secondo la consuetudine, da quello del nome scelto dal nuovo papa, che aveva deciso di chiamarsi Paolo VI ispirandosi all’apostolo che era stato il più grande annunciatore di Cristo, e poco dopo dalla sua prima benedizione dalla loggia centrale della basilica di San Pietro".Ora vengono pubblicate queste duecentouno lettere che sono al contempo la testimonianza di un’amicizia discreta tra due ecclesiastici, la conferma di una fede granitica e di un forte amore per la Chiesa, lo specchio di un servizio ecclesiale dove le ragioni pastorali e religiose prevalgono dentro ogni impegno, anche diplomatico, politico, culturale. Il carteggio tra Roncalli e Montini, nello spessore di molti scambi di informazioni, nelle convergenze di pensieri, offre interessanti tasselli per la storia della prima metà del Novecento in alcuni suoi snodi cruciali, aggiungendo nuovi e significativi dettagli sui percorsi biografici dei due corrispondenti e delle tante persone citate.

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