ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 14 giugno 2013

Il conto in banca di San Pietro

di Giacomo Devoto


Un lettore ci ha inviato il seguente commento, che pubblichiamo. Ne approfittiamo per dire a nostra volta due parole su questa infelice considerazione di Papa Bergoglio, la cui semplicità di pensiero è talmente disarmante che finisce col destare non poca preoccupazione.  

POPULISMO E UTOPIA:
SAN PIETRO NON AVEVA IL CONTO IN BANCA?

Mantenere uno Stato sovrano con un centinaio di ambasciate o nunziature, decine di ministeri o congregazioni, migliaia di vescovi che governano centinaia di diocesi, centinaia di migliaia di preti che quotidianamente ci somministrano il Pane Eucaristico in altrettante parrocchie, cattedrali, conventi, monasteri, chiese e edifici d’arte bi-millenaria; in cui un miliardo e duecento milioni di credenti pregano e si sentono a casa propria, autentici condómini di quelle “ricchezze” a pieno titolo anche loro, seppur oggi populisticamente dichiarate espropriande nel nome di una rumorosa e malintesa povertà evangelica; centinaia di migliaia di strutture sanitarie e di beneficenza rette da religiosi e religiose che distribuiscono in tutto il pianeta circa un milione di pasti gratuiti al giorno, tutti i santi giorni.

Questa sarebbe la Chiesa, santa istituzione istituita da Dio e retta da uomini, governata sì dall’alto dalla Divina Provvidenza ma con l’“aiutino” necessario anche se non sufficiente di un ceto sterminato di piccoli uomini e donne di buona volontà, questa sarebbe la Chiesa che si vuole senza conti in banca e senza libretti per assegni?

Pensiamo solo alla miracolosa Città della Divina Provvidenza del Cottolengo di Torino, paradigma di quella straboccante carità evangelica organizzata non con le belle parole, ma con instancabile “fare” e santo operoso realismo cristiano. Anche per essa, stupefacente e mirabilmente organizzato microcosmo di solidarietà e assistenza umanitaria a livello planetario, no conti bancari, no assegni?

Anche il buon Samaritano e Giuseppe d’Arimatea, tanto per fare un esempio, non avevano conti in banca? Che caldo mantello e adeguato sacrario funebre avrebbero regalato se non l’avessero avuto?

Per favore BASTA con le note stonate, basta con l’ipocrisia e con l’utopia del pauperismo ecclesiale, che magari guadagna applausi populistici ed entusiastici consensi, ma niente di più.
Quanto alla nota non proprio intonatissima su San Pietro, è vero che San Pietro non aveva conti in banca, ma aveva accanto Qualcuno che provvedeva a tutto e a tutti e valeva molto, molto di più d’un assegno in bianco o di una fidejussione senza limiti di escussione. Qualcuno a gloria del quale era bello, giusto e infinitamente redditizio, per esempio, investire anche in tesori di oli profumati e rarissime tuniche purpuree inconsutili. O no?
ut

Tanto per cominciare, è d’obbligo leggere quanto affermato da Papa Bergoglio l’11 giugno, nel corso dell’omelia della Messa a Santa Marta.

«La predicazione evangelica nasce dalla gratuità, dallo stupore della salvezza che viene, e quello che io ho ricevuto gratuitamente, devo darlo gratuitamente. E dall’inizio erano così, questi. San Pietro non aveva un conto in banca, e quando ha dovuto pagare le tasse il Signore lo ha mandato al mare a pescare un pesce e trovare la moneta dentro al pesce, per pagare. Filippo, quando ha trovato il ministro dell’economia della regina Candace, non ha pensato: ‘Ah, bene, facciamo un’organizzazione per sostenere il Vangelo…’ No! Non ha fatto un ‘negozio’ con lui: ha annunziato, ha battezzato e se n’è andato”. […] Tutto è grazia. Tutto. E quali sono i segni di quando un apostolo vive questa gratuità? Ce ne sono tanti, ma ne sottolineo due soltanto: primo, la povertà. L’annunzio del Vangelo deve andare per la strada della povertà. La testimonianza di questa povertà: non ho ricchezze, la mia ricchezza è soltanto il dono che ho ricevuto, Dio. Questa gratuità: questa è la nostra ricchezza! E questa povertà ci salva dal diventare organizzatori, imprenditori… Si devono portare avanti le opere della Chiesa, e alcune sono un po’ complesse; ma con cuore di povertà, non con cuore di investimento o di un imprenditore, no?»


Per cercare di leggere bene questa disquisizione sulla povertà, è necessario partire dal fondo: “Si devono portare avanti le opere della Chiesa, e alcune sono un po’ complesse; ma con cuore di povertà, non con cuore di investimento o di un imprenditore.”

Non che questa frase sia poi così esplicativa, ma fa capire come Papa Bergoglio voglia suggerire che anche le opere della Chiesa, che sono onerose e dimostrano ricchezza, debbano essere compiute con “cuore di povertà”.  Concetto che è in linea con tutta la predicazione e l’insegnamento di Nostro Signore, e che è stato vissuto proprio così dalla Chiesa per duemila anni. Nulla di nuovo, quindi.
Ma perché allora tutto il resto sulla povertà?
Perché le opere della Chiesa continuano ad essere onerose, come tutte le opere in questo mondo, e continuano, non solo a dimostrare, ma anche ad ostentare la ricchezza.
Perché questo?
Semplice, perché le opere della Chiesa sono tutte realizzate a maggior gloria di Dio, sia quanto sono rivolte ad aiutare chi ha bisogno, con ingenti spese, sia quando sono rivolte a magnificare la maestà di Dio: chiese, monumenti, opere d’arte, e avanti così, e anche queste con ingenti spese e col concorso economico, fisico, mentale e intellettuale dei fedeli, financo dei più poveri, che si privano perfino del necessario per arricchire, abbellire, indorare, ingemmare, tutto ciò che esprime la maestà di Dio e la gloria della Santissima Vergine e dei Santi.

Solo che, tutto questo non è ostentazione della ricchezza, ma espressione della fede in Dio e omaggio alle Sue meraviglie, che per essere rappresentate, per mano dell’uomo e agli occhi degli uomini, abbisognano del meglio che il creato possa offrire in termine di opulenza e di splendore.
Per questo si usano per la S. Messa suppellettili di metallo prezioso; per questo si arricchiscono con le pietre preziose i vasi sacri e gli ostensori; per questo, tanto per fare un esempio “sudamericano”, si riveste il soffitto di Santa Maria Maggiore con l’oro proveniente dall’America del Sud: per questo i diademi della Santissima Vergine portano incastonate gemme preziose di enorme valore; per questo i fedeli, per grazia ricevuta, regalano ex voto  d’oro e d’argento e a volte si privano dell’unico pezzo d'oro che posseggono; per questo le statue dei nostri Santi Patroni sono ricolme dell’oro donato dai fedeli e anche dai fedeli più poveri… perché agli occhi dell’uomo ciò che si addice a Dio, alla Madonna e ai Santi è solo tutto il meglio, tutto il ricco, tutto il prezioso.

Ora, tutta la disquisizione di Papa Bergoglio, pur con qualche elemento risaputo, contiene, nelle parole e nei concetti espressi, un messaggio talmente povero, appunto, che si  può dubitare dell’equilibrio dottrinale e pastorale di questo nuovo Papa. Il tutto sfruttando un luogo comune che ha subissato la Chiesa cattolica a partire dal nefasto Vaticano II: la supposta povertà delle origini!
Supposta… certo… perché nulla di ciò che possediamo in termini di memoria scritta e orale, ci parla di essa, a cominciare dalla supposta nascita in povertà di Nostro Signore Gesù Cristo. Ora, tolta la povertà spirituale, che era ed è propria del Figlio di Dio fatto uomo, Gesù è nato in una famiglia benestante, la famiglia di un noto artigiano, quindi per nulla indigente e morto di fame.
Se il cattolicesimo non fosse stato spinto ultimamente nel mare dell’ignoranza e della retorica del mondo moderno, ci sarebbero ancora tanti che ricorderebbero che la nascita in una grotta e nella mangiatoia ha ben altro e complesso significato in termini spirituali, che non la semplice apparenza della povertà e dell’indigenza; e si ricorderebbero che non v'è contraddizione tra la povertà spirituale e la condizione abbiente.

Nel noto discorso delle beatitudini, Nostro Signore dice “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”, dove i poveri in spirito non sono i poveracci costretti a vivere nelle baraccopoli suburbane, ma coloro che, pur essendo benestanti, non agognano la ricchezza, ma la povertà spirituale del Regno dei Cieli. Di contro, i poveracci costretti a vivere nelle baraccopoli, allorché andranno alla ricerca delle ricchezze del mondo, non entreranno nel Regno dei Cieli, come sta scritto: “è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli”; e questi ricchi sono proprio coloro che agognano la ricchezza di questo mondo, non come si vorrebbe retoricamente oggi, coloro che semplicemente posseggono, perché questi, anche possedendo, se cercano solo le ricchezze del Cielo, le avranno.

Essere costretti noi, che siamo nessuno, a ricordare certi insegnamenti elementari del cattolicesimo, ed essere costretti noi, che non contiamo niente, a ricordare che bisogna fuggire la retorica e i luoghi comuni correnti, è cosa che lascia l’amaro in bocca, anche perché siamo spinti a tanto dalla leggerezza e dalla pochezza di questi moderni chierici che avrebbero, loro, il dovere di insegnare senza equivoci e senza infingimenti.

Perché sia meglio chiarito il pensiero di Papa Bergoglio, riportiamo una risposta da lui data nel corso dell’udienza generale del 7 giugno.
Ad una signora che ha chiesto:
«perché Lei – cioè tu – hai rinunciato a tutte le ricchezze di un Papa, come un appartamento lussuoso, oppure una macchina enorme, e invece sei andato in un piccolo appartamento nelle vicinanze, oppure hai preso l’autobus dei Vescovi. Come mai ha rinunciato alla ricchezza?»

Il Papa ha risposto:
«Ma, credo che non sia soltanto una cosa di ricchezza. Per me è un problema di personalità: è questo. […] E poi, credo, che sì: i tempi ci parlano di tanta povertà nel mondo, e questo è uno scandalo. La povertà del mondo è uno scandalo. In un mondo dove ci sono tante, tante ricchezze, tante risorse per dare da mangiare a tutti, non si può capire come ci siano tanti bambini affamati, ci siano tanti bambini senza educazione, tanti poveri! La povertà, oggi, è un grido. Tutti noi dobbiamo pensare se possiamo diventare un po’ più poveri: anche questo, tutti lo dobbiamo fare. Come io posso diventare un po’ più povero per assomigliare meglio a Gesù, che era il Maestro povero. Questa è la cosa. Ma non è un problema di virtù mia personale, è soltanto che io non posso vivere da solo, e anche quello della macchina, quello che tu dici: non avere tante cose e diventare un po’ più povero. E’ questo

Dal che si evince che le beatitudini evangeliche, per Papa Bergoglio, corrisponderebbero al farsi più povero, come fa lui che non abita nell’appartamento del Papa, sia perché vuole stare in mezzo agli altri, sia perché bisogna diventare un po’ più poveri.
Ora, per certi aspetti, il ragionamento è comprensibile, per esempio si potrebbe prendere come riferimento lo stesso San Francesco d’Assisi, ma per altro verso, lo stesso ragionamento è contraddittorio e senza senso compiuto.
Contraddittorio, perché se diventassimo tutti poveri, non ci sarebbero più ricchi e… quindi, inevitabilmente… neanche più poveri… è la vecchia utopia dell’ebreo Carlo Marx.
Senza senso compiuto, perché la scelta di San Francesco, di spogliarsi di ogni ricchezza e vivere d’elemosina, è quella che lui fece per se stesso, ed è per questo che è santo, ma non è quella che raccomandò e raccomanda a tutti, che infatti non siamo santi.
Anche per San Francesco un ricco che viveva la povertà di spirito entrava nel Regno dei Cieli!

Peraltro, sempre nell’omelia dell’11 giugno, Papa Bergoglio, forse preso dall’entusiasmo per le sue belle parole, spinge il suo ragionamento fino ad affermare:
«E quando troviamo apostoli che vogliono fare una Chiesa ricca e una Chiesa senza la gratuità della lode, la Chiesa invecchia, la Chiesa diventa una ong, la Chiesa non ha vita.»

Ci si chiede: qual è il rapporto tra la ricchezza e la mancanza di gratuità nella lode?
Forse che una Chiesa ricca darebbe lode al Signore solo a pagamento?

E anche qui ridonda il motivetto scemo della Chiesa giovane e povera contro la Chiesa ricca che invecchierebbe… una Chiesa ricca che diventa una ong… che muore.
È evidente che si tratta di pura retorica anticattolica, fatta propria da un papa che è stato allevato con nutrite dosi di “teologia della liberazione”, ma proprio per questo è il caso di ricordare a Papa Bergoglio che la Chiesa non è dei preti, né dei vescovi e dei papi, ma la Chiesa è di Cristo, e se è ricca è ricca per Cristo, a maggior gloria di Dio.
Solo con l’avvento del clericalismo vaticanosecondista è stato possibile far passare l’idea che la Chiesa sia degli opulenti cardinali… inaccettabile! Ma la Chiesa, con tutta la sua ricchezza è espressione della volontà di Cristo, e Cristo, che è Dio, non merita niente di meno di tutto l’oro del mondo. Senza contare, come dice l’amico UT, che senza soldi la Chiesa, non solo non avrebbe di che mantenere i preti, ma non avrebbe di che aiutare i poveri e i bisognosi.
Qualcuno farebbe bene a rileggersi gli Atti degli Apostoli, dove si apprende che le ricchezze personali passavano in toto alla Chiesa, fino al punto che quando qualcuno cercava di fare il furbo, come Anania e la moglie, San Pietro, il primo Papa, li fulminava a morte senza misericordia (Atti, 5, 1-11).
Altro che Chiesa giovane e… povera! Questa fantasia è solo della mente malata dei preti moderni, profondamente affetti dal virus sovversivo della spoliazione ad ogni costo, che, questa sì, abbandonerebbe la Chiesa nelle mani delle ong e dell’ONU.

Questa idea esasperata della povertà, supposta derivante dalla povertà evangelica, fa parte di quella tendenza deviante e deviata che è sempre stata presente nella Chiesa.
San Matteo (19, 11-12) riporta queste parole di Gesù: «Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca».
Ma c’è sempre qualcuno che capisce a modo suo, come ricorda la vicenda personale di Origene, uno dei Padri della Chiesa del III secolo, che pensò bene di evirarsi, così da subire reiteratamente la scomunica. Origene non era certo uno sprovveduto e tuttavia peccò d’eccesso, volendosi sostituire a Dio stesso, dimentico del proprio dovere di stato e dei conseguenti sacrifici.
Lo stesso sembra accadere a certi chierici di oggi, …la Chiesa dev’essere povera… tuonano… dimentichi che ognuno deve fare il proprio dovere di stato, foss’anche il Papa, non pretendendo una Chiesa di suo gradimento, ma servendo quella che per duemila anni hanno retto i suoi predecessori: la Chiesa di Cristo, ricca dei tesori del Cielo, che vengono da Dio per gli uomini, e ricca dei tesori della terra, che vengono dagli uomini per Dio.
Non è poi così difficile da capire!

Piuttosto, è bene che qualcuno ricordi che, come per il caso di Origene, certi zeli fuorvianti si ritrovano fin nel Vangelo.

Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui gli fecero una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse: «Perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?». Questo egli disse non perché gl’importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me».
 (Gv. 12, 1-9)

In questo passo del Vangelo di San Giovanni si trovano tutte le risposte a tutte le perplessità che potrebbero sollevare le nostre povere e difettose considerazioni.
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV526_San-Pietro_conto-in-banca.html

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