ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 26 luglio 2013

La nuova religione (cercasi Gesù di Baires..)

Il pop e lo spirito, le due anime di Francesco che convivono (felici) a Rio

Cori gospel, luci stroboscopiche, palchi che sembrano navicelle spaziali per quello che gli organizzatori avevano pensato come “un grande show del futuro”. E’ questo il lato pop della prima Giornata mondiale della gioventù di Francesco, il Papa argentino che dopo una rapida occhiata al programma abbozzato per Joseph Ratzinger ha deciso di intensificare gli appuntamenti pubblici,
per stare un po’ di più in mezzo a quel gregge che deve essere sempre il primo riferimento per il pastore, il vescovo (di Roma o della più sperduta e piccola diocesi sulla Terra). C’era curiosità e attesa per vedere il Papa – che lo scorso maggio, durante la veglia per i movimenti ecclesiali redarguiva la piazza che scandiva il suo nome “anziché quello di Gesù” – alle prese con un evento che rischiava di spostarsi più sul lato mondano che su quello spirituale. Niente latino, niente canti gregoriani, paramenti un po’ così, fatti con materiale di recupero. E la spianata di Guaratiba dove si celebreranno la veglia e la messa conclusiva: con quelle strane forme appuntite e i mezzi corni a circondare la grande croce, sembrava tutto tranne che un altare. Su tutto, poi, il fatto che a Bergoglio l’aspetto liturgico interessi marginalmente. Musica sacra, candelieri e arredi vari non sono in cima ai suoi pensieri, lo ammisero qualche mese fa perfino dal Vaticano.
L’esordio della Giornata mondiale dava credito alle perplessità e ai timori di chi vede nello stile di Francesco l’archiviazione del paziente recupero avviato da Ratzinger di elementi liturgici caduti in disuso o abbandonati dopo il Concilio. E anche ad Aparecida, mercoledì, quella sfilata di bandiere all’offertorio ha ricordato a più d’uno le coreografie wojtyliane. D’altronde, il confronto con Madrid 2011 parla chiaro: per dirne una, dal “Tu es Petrus” di Bartolucci si è passati al “Francisco, Papa Francisco” che della sacralità aveva ben poco. Sono tutti aspetti cui Bergoglio non dedica la minima importanza. L’accento vuole metterlo sull’elemento spirituale, e non a caso ai momenti pop e agli show si stanno affiancando la visita all’ospedale per abbracciare i tossicodipendenti, la mattinata spesa nella favela in mezzo agli ultimi, i lunghi minuti di silenzio e preghiera davanti all’Immagine della Vergine, ad Aparecida. E Bergoglio, in tutti e tre i casi, si è commosso. Volto tirato, sguardo fisso all’icona, alla croce, grande o piccola che fosse. Momenti che, come ricordava su questo giornale il professor Roberto de Mattei, sono e valgono più di un discorso. Francesco vuole mischiarsi alla gente, vivere con il popolo la sua missione. Incontrando i giovani argentini giunti a Rio, ha detto di sentirsi “in gabbia”, di voler essere loro “più vicino” ma che “per motivi di sicurezza non è possibile”. E’ questo che conta per il vescovo che si dispera per non poter uscire dal Vaticano e andare a confessare nelle chiese di Roma. E’ ben più importante dello show rutilante, dei momenti discotecari e dei cori gospel a Copacabana.
Ma c’è il rischio che dei due piani su cui si muove Francesco, alla fine a prevalere sia quello esteriore, delle chitarre, del Papa che va in giro a bordo di una jeep scoperta oppure su una vecchia utilitaria grigia. Il messaggio pop e giovanilistico esasperato, usato quasi come strumento per recuperare proprio in Brasile il terreno perduto nei confronti degli evangelici, forti, ricchi e affascinanti, le cui file vedono ogni giorno arrivare sempre più cattolici insoddisfatti, tristi e annoiati. E’ questo il cuore della missione di Bergoglio: far capire che “un cristiano non può essere triste, non ha la faccia di chi sembra trovarsi in un lutto perpetuo”. Lo ha ripetuto anche l’altro giorno ad Aparecida, nelle pieghe di un’omelia che aveva il concetto della gioia tra i suoi tre cardini fondamentali.

La Chiesa di Francesco conquista i ragazzi del Sudamerica

Giovani in festa a Copabana
GIOVANI IN FESTA A COPABANA

Le nuove generazioni del Continente lo considerano come una guida spirituale, sociale e culturale

È un caso che la prima Gmg di Francesco stia avvenendo in America Latina. Un caso che assume però il significato di una profezia. Dopo la visita a Lampedusa, nel cuore del Mediterraneo ferito, lo sbarco in Sudamerica, il continente dove povertà e disagi sociali vanno di pari passo. Questo è il mondo che il Papa intende cambiare dal di dentro.

A riempire le strade di Rio è la Chiesa chiamata, come scrisse Bergoglio stesso nel documento finale dell'incontro coi vescovi sudamericani avvenuto ad Aparecida nel 2007, ad abbandonare «tutte le strutture caduche che non favoriscono la trasmissione della fede». È una chiamata a «uscire fuori» quella di Bergoglio, a fare sì che la Chiesa non sia più autoreferenziale ma abbandoni le proprie certezze per farsi ultima fra gli ultimi. Si dice che il testo di Aparecida fu ciò che di fatto lo lanciò al pontificato. Ed è proprio così, se è vero che durante le Congregazioni generali che hanno preceduto il Conclave egli parlò della necessità che la Chiesa arrivi ovunque, financo in quelle periferie esistenziali dove l’uomo è solo con se stesso e senza Dio. Uscire da se stessi significa prendere su di sé tutti i problemi dell’uomo.

Era questa la spinta teorizzata dal meglio della teologia della liberazione che proprio nel continente sudamericano è esplosa negli anni dopo il Concilio. È la stessa spinta che il Papa vuole i giovani facciano propria: il mondo va riportato a Cristo, certo, e insieme va cambiato sporcandosi le mani, come fece San Francesco, l’alter Christus, secoli prima l’avvento al soglio di Pietro del primo Papa argentino.

Disse Bergoglio sei anni fa ad Aparecida: «Celebrare l’eucaristia insieme al popolo è diverso che celebrarla tra noi vescovi separatamente. Questo ci ha dato vivo il senso dell’appartenenza alla nostra gente, della Chiesa che cammina come popolo di Dio, di noi vescovi come suoi servitori». Il documento finale di Aparecida, spiegava il futuro Papa, «per la prima volta» non partiva «da un testo base preconfezionato ma da un dialogo aperto», per «ricevere quello che veniva dal basso».
GIACOMO GALEAZZIRIO DE JANEIRO
  
Il viaggio del Pontefice

Nella favela brasiliana riparte la Chiesa di Francesco

Nelle parole del Pontefice la scommessa sulla Chiesa e sulla ripresa di vitalità delle sue comunità
Papa Francesco con la ghirlanda regalatagli nella favela Varginha di Rio de Janeiro (Luca Zennaro/Afp)
«Nessuno sforzo di “pacificazione” sarà duraturo, non ci saranno armonia e felicità per una società che ignora, che mette ai margini e che abbandona nella periferia una parte di se stessa». È nel giorno in cui visita la favela di Rio che papa Francesco piazza il primo serio colpo di questo viaggio brasiliano. Bergoglio è andato a incontrare la comunità di Varginha-Manguinhos che fa parte di una più ampia favela di Rio de Janeiro definita “pacificata” nel 2012, dopo numerose operazioni di lotta al narcotraffico e di promozione sociale. Accolto da una folla che gli si è stretta attorno, nel campo di calcio ha pronunciato un discorso quasi programmatico sui temi che gli sono più cari e che ha posto al centro del suo magistero: la condizione umana vista attraverso le lenti della solidarietà e della giustizia; quindi si è rivolto ai governanti e all’intero corpo sociale.
Francesco ha descritto un modello alternativo di convivenza civile venato dalla spiritualità cristiana, ha chiamato la Chiesa ad essere «avvocato della giustizia e difensore dei poveri», ha pronunciato di nuovo la parola disuguaglianza, ha elencato i beni immateriali della fede che devono essere al centro del vivere comune, ha dato il suo appoggio alla visione progressiva del Brasile di Lula e Rousseff ma non ha rinunciato a dire ai giovani che devono alzare la voce.
È un fatto che Bergoglio, in questi mesi, si sta affermando come uno dei pochi leader mondiali in grado di sollevare criticamente un simile grumo di questioni che ribaltano il flusso di pensiero dominante o quanto meno oggi prevalente; qualcosa in questo senso, ha provato a fare anche un presidente come Barack Obama – su immigrazione, sanità, tasse – ma certo la parola del Papa è svincolata dalle tensioni e dai limiti imposti dai problemi di una politica nazionale e di forze economiche di prima grandezza come quelle americane.
Nemmeno può essere dimenticato che Bergoglio è un leader religioso e che la sua parola s’inserisce in una visione trascendente dell’uomo, quindi non per forza condivisa da altre correnti di pensiero. Eppure il suo discorso, oggi, pone di nuovo in modo dirompente la messa in discussione dei principi del liberismo economico. «La misura della grandezza di una società – ha detto il Papa – è data dal modo con cui essa tratta chi è più bisognoso, chi non ha altro che la sua povertà!». Sembrano affermazioni per un manifesto politico cristiano del nuovo secolo, e anche la Chiesa è chiamata in causa, quest’ultima viene definita «avvocata della giustizia e difensore dei poveri contro le disuguaglianze sociali ed economiche intollerabili che gridano al cielo», non solo; il suo offrire la sua collaborazione ad ogni iniziativa che possa significare un vero sviluppo di ogni uomo e di tutto l’uomo».
E poi ancora torna fondamentale il principio della solidarietà quale vero regolatore delle relazioni sociali. Da questo punto di vista il popolo brasiliano, secondo Bergoglio, «può offrire al mondo una preziosa lezione di solidarietà, una parola spesso dimenticata o taciuta, perché scomoda». Ma il discorso si estende anche al piano politico e collettivo: «Vorrei fare appello a chi possiede più risorse, alle autorità pubbliche e a tutti gli uomini di buona volontà impegnati per la giustizia sociale: non stancatevi di lavorare per un mondo più giusto e più solidale! Nessuno può rimanere insensibile alle disuguaglianze che ancora ci sono nel mondo!», di più «ognuno, secondo le proprie possibilità e responsabilità, sappia offrire il suo contributo per mettere fine a tante ingiustizie «Non è la cultura dell’egoismo, dell’individualismo, che spesso regola la nostra società, quella che costruisce e porta ad un mondo più abitabile, ma la cultura della solidarietà; vedere nell’altro non un concorrente o un numero, ma un fratello».
Ancora non può passare inosservato il sostegno che nemmeno tanto velatamente il Papa ha voluto dare all’attuale dirigenza brasiliana, quella di Lula e di Dilma Rousseff: «Desidero incoraggiare gli sforzi che la società brasiliana sta facendo per integrare tutte le parti del suo corpo, anche le più sofferenti e bisognose, attraverso la lotta contro la fame e la miseria». In questo passaggio si sente anche l’eco del ruolo che hanno svolto i cardinali brasiliani nel costruire il consenso intorno all’elezione di Bergoglio, il rapporto privilegiato con porporati come Claudio Hummes ex arcivescovo di San Paolo e di Raymundo Damasceno Assis, arcivescovo di Aparecida. Bergoglio ha però anche invitato i giovani a non rassegnarsi di fronte ai tanti episodi di corruzione perché «la realtà può cambiare, l’uomo può cambiare». Infine il Papa ha elencato qui “beni immateriali” proposti dalla fede cristiana al vivere comune, e cioè la tutela della vita, la famiglia “fondamento della convivenza”, l’educazione integrale della persona che non è finalizzata solo al profitto, la salute e la sicurezza contro la violenza.
È un progetto di società articolato di cui il Pontefice non indica i principi legislativi ma il possibile insieme di riferimenti sociali e di valori da condividere. Da un punto di vista ecclesiale, infine, il Papa prova a fare una scommessa sulla Chiesa e sulla ripresa di vitalità delle sue comunità, per questo anche ieri ha chiesto ai cristiani di stare nel mondo, di fare rumore, di dare fastidio. Del resto Bergoglio è chiamato a fermare il declino del cattolicesimo e a suscitare forze nuove per la Chiesa. Se questa strategia otterrà un risultato positivo è cosa ancora tutta da verificare e però di certo Francesco ha deciso di giocare fino in fondo la sua partita. 

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