ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 11 luglio 2013

Tradizione non tradita

“Il termine «tradizione», sotto il punto di vista che ci po­niamo - mettere in luce l’ampiezza che ha a disposizione un chierico piuttosto che un artista per esprimere nel proprio ambito di chierico o di artista nella più abbagliante e imme­diata bellezza una certa verità da trasmettere —, è ricco di una ricchezza inaspettata e davvero esuberante; il termine «tra­dizione», che i relativisti vogliono vedere irrimediabilmente appesantito da ragnatele e archeologismi pietrificanti, è, al­l’opposto, un termine ridondante vita in quantità insospetta­ta, è un termine in verità progrediente al massimo.
Cominciamo col dire che «tradizione» è parola che, dal la­tino tradere, sta a significare in prima istanza non già qualco­sa di fisso, fermo e stantio, ma uno spostamento, una varia­zione, una dinamica, un moto: il moto di dare, consegnare, affidare, trasmettere, tramandare qualcosa, dunque un moto necessariamente intelligente che ha per oggetto la conoscen­za o ciò che attiene alla conoscenza: «tradizione è il vivo ri­portarsi — scrive il Moschetti in Enciclopedia filosofica — 20 di tutto il passato di una cultura, o di singoli settori di essa, o di un popolo, o in genere di una comunità, nel suo presente, nel quale soltanto — si noti bene — tale passato esiste ancora».
Va sottolineato: il passato esiste soltanto allorché, e, come si dice, ‘nella misura in cui’, viene trasmesso al presente, a ogni presente-, e qui, per non restare nell’astratto, basti pensare a come nessu­no di noi, nessun uomo dico, sia senza padre e senza madre: senza una genealogia, nessuno di noi è presente.
Cos’è per noi un’eredità? Ecco: la tradizione è la consegna dell’eredità. Con tutto ciò che comporta: diritti, ma anche doveri. E la cosa più significativa è che l’eredità che in ultimis­simo riceviamo non è di cose, o leggi, o concetti culturali, ma è: 1), una dottrina, 2), un sentimento, 3), una Persona: la dottrina cristiana, l’amore di dedizione e Cristo GESÙ. E que­sto ciò che si troverà in queste come nelle precedenti pagine.
«[La tradizione] è quindi - continua la voce - la conserva­zione e il possesso di tutto l’ambito di acquisizioni di un’en­tità storica, come base per il suo attuale essere [corsivo mio, nda]».
Dunque l’essere attuale di un’entità storica, così come di noi stessi, riceve il suo fondamento dalla memoria che si fa e che si tramanda dell’essere passato e riceve il suo fondamento da quanto e da come ciò si tramanda: il fondamento del presente è ricevuto dalla perfetta consegna della sua storia pregressa all’attuale. Senza consegna del passato, e consegna fatta per bene, niente presente. Si pensi solo al Dna.
Si intende: niente presente ben fondato, niente presente cioè vero, buono e bello, ma presente falso, cattivo e brutto.
Se l’entità di cui si tramanda la tradizione è una certa espressione, un certo modo di esprimere una verità, per esem­pio il vangelo, un concilio, un dipinto dell’Annunciazione, ta­le espressione troverà nella «tradizione» il modo di essere trasmessa di generazione in generazione attraverso documen­ti, copie, testimonianze, racconti, riproduzioni, foto, e ogni cosa che ne delinei i caratteri, le modalità e ogni circostanza che la definisce. Senza il necessario e completo passaggio di carte dal passato al presente, quei vangelo, concilio o Annun­ciamone saranno mancanti di ciò che li pone nella verità.
E, il fatto descritto, la memoria identitaria delle cose: nes­suno si può permettere di rompere questo passaggio fondati­vo dell’identità di un ente quale che sia: una sedia, un indi­viduo, una società, una civiltà, una verità, la stessa Chiesa, senza incorrere in un atto di per sé violento e contro natura tanto quanto invece è di natura perseguirne l’integrità.
L’identità di un ente è la prima cosa da preservare allorché ci si appresta, come si fa in ogni minuto secondo, a vivere, a fare cioè, ciascuno nel suo piccolo, un po’ di storia, a pro­gredire nel passaggio di attimo in attimo nel proprio futuro.”
[E. M. Radaelli – La bellezza che ci salva]

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