ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 26 settembre 2013

Church show&musical per la gioia di Papa2 e Papa-1

La Stampa 25.9.13
Iniziativa dei gesuiti nell’ambito di Torino Spiritualità:
«Il corpo in movimento torna nel rito cattolico»
Domenica debutta la messa ballata
di Sandro Cappelletto


Non sarà uno spettacolo durante la Messa. Ma una coreografia che accompagnerà la Messa, un rito che si unirà a un altro rito.
Domani e domenica 29, in due incontri promossi da Torino Spiritualità, la danza tornerà a essere parte integrante di una funzione liturgica della Chiesa cattolica. «Non accade da secoli, da quando la fisicità e la corporeità della fede sono state come imprigionate. Pensi ai banchi delle chiese: rendono impossibile qualsiasi movimento, qualsiasi gestualità che non sia stare in piedi, seduti, in ginocchio».
Eugenio Costa, genovese e gesuita, musicista e liturgista, una lunga esperienza di parroco a Torino e Milano prima di venire chiamato a lavorare nella casa generalizia dell’ordine fondato da Ignazio di Loyola, ammette: «Ci stiamo pensando da anni, Roberta e io, ma abbiamo preso coraggio dopo aver visto i vescovi accennare dei passi di danza, per la verità un po’ goffi, durante la recente visita del Papa in Brasile».
«Il momento è finalmente arrivato - dice padre Costa - però non abbiamo ancora detto nulla ai nostri vicini di casa», confida, con soave astuzia, indicando col braccio alla sua destra: a pochi metri dalla sede centrale dei Gesuiti a Borgo Santo Spirito a Roma, inizia il territorio dello Stato del Vaticano.
Roberta, è Roberta Arinci: studi di danza classica occidentale da bambina e poi molti anni passati a scoprire la danza classica indiana, per imparare a comprendere la ritualità, la sacralità dei movimenti. «Entrare a capo chino, eseguire in silenzio e per amore, uscire in punta di piedi»: questo il motto di Ars Bene Movendi, il gruppo, milanese e tutto femminile, di danza liturgica da lei fondato e attivo già da alcuni anni nella Parrocchia di San Fedele.
Il gesuita e la danzatrice sanno di non avere precedenti ai quali ispirarsi; detestano «le sbandierate, le lenzuolate, lo sgraziato sgambettare, l’atmosfera da stadio dei gruppi carismatici che nulla hanno a che fare con la sacralità di una funzione». Padre Costa ricorda, quasi come unico esempio superstite, i «dodici Kyrie» del rito ambrosiano, quando i celebranti assumono atteggiamenti che richiamano dei gesti coreografici. Sanno anche che le gerarchie ecclesiastiche europee «hanno imposto una secolare rimozione della fisicità, per il prevalere di una cultura che ha penalizzato il corpo. Ma che pericolo c’è se riportiamo il nostro corpo nella preghiera, come già accade in tante funzioni celebrate in Africa e in Sud-America? »
E dunque sono consapevoli dell’opportunità che viene ora offerta al loro lavoro. Giovedì sera, alla Cavallerizza Reale, la Arinci, accompagnata da musica e canto, interpreterà danzando quattro temi biblici: la Genesi, l’Annunciazione, il miracolo del cieco di Gerico, la Passione. Domenica, durante la messa delle 11,30 nella chiesa di San Filippo, lei e il suo gruppo, indossando un sari arancione e una stola che richiama il prescritto colore liturgico, «con movimenti sobri, eleganti, dignitosi», scandiranno cinque momenti della Messa: Gloria, Alleluja, Sanctus, Agnus Dei, Inno dopo la comunione.
«Vogliamo evitare che la nostra preghiera - perché questa danza è una preghiera - venga percepita come un corpo estraneo. Il desiderio è che un domani tutta l’assemblea dei fedeli accetti di fare un passo, di unirsi a noi».
Perché questo accada, bisognerà rivoluzionare la disposizione attuale: via i banchi, tutto lo spazio occupato dall’assemblea lasciato libero perché i fedeli possano muoversi, danzare il rito. Se c’è un Papa che può capire la sfida, sembra proprio l’attuale: gesuita, argentino, molto fisico nel modo di porsi, spregiudicato e stratega quanto occorre.

La Stampa 25.9.13
Il debutto fra tre mesi, ad aprile l’arrivo a Roma nei giorni della canonizzazione
E San Wojtyla diventa un musical
di Giacomo Galeazzi


Sul palcoscenico le memorie in musica del Papa che ha abbattuto il Muro di Berlino e che in gioventù aveva calcato le scene nel teatro clandestino, forma di resistenza culturale all’occupazione nazista. Sette decenni dopo, la storia di Giovanni Paolo II scorrerà sotto i riflettori durante i giorni della canonizzazione creando una coincidenza particolare, quasi un segno che invita all’ascolto. La narrazione parte dall’attentato a San Pietro. Sospeso tra la vita e la morte, i ricordi riaffiorano riportando il Papa all’infanzia. In 120 minuti si snodano gli episodi più significativi.
La biografia del neo-santo diventa musical («Karol Wojtyla - La vera storia»), per la regia di Duccio Forzano, le musiche originali di Noa, Gil Dor e i Solis String Quartet e le coreografie di Marco Sellati. L’opera, che debutterà tra tre mesi toccando anche Torino, Palermo, Milano, Bologna, chiuderà il tour ad aprile al Brancaccio di Roma, in contemporanea con la cerimonia in Vaticano, forse concelebrata da Ratzinger, con cui Francesco eleverà agli onori degli altari il predecessore polacco.
«Ho incontrato Wojtyla solo una volta: un’esplosione di luce», racconta Duccio Forzano. Un’energia trasmessa a un’opera in due atti tra proiezioni, parti recitate e tanta musica. Oltre ai venti pezzi dei Solis String Quartet, cinque saranno i brani originali scritti da Noa, più l’«Ave Maria» di cui l’artista israeliana ha modificato il testo. «Ho cantato per il Papa 19 anni fa - rievoca Noa -. Poi lo ho rivisto molte volte: mi chiedeva della situazione in Israele e legava la pace al dialogo tra i popoli. Non sono religiosa, credo nei valori laici umani. Spesso le fedi sono andate in direzioni distruttive, ora la musica può riportarle alla generosità e alla bontà».
Tra i pezzi che Noa ha scritto anche «Love», uno struggente inno all’armonia globale. «Mi ha ispirato la capacità di Giovanni Paolo II di valorizzare gli elementi che uniscono invece di quelli che dividono». Gli episodi di vita del bambino «Lolek», come veniva chiamato in famiglia, e quelli del giovane Karol che lo porteranno a sentire la chiamata di Dio, sono stati ricostruiti con l’aiuto di Paloma Gomez Borrero, al seguito del Papa nei 104 viaggi compiuti nei 27 anni di pontificato. «Era un esperto in umanità - sostiene le giornalista spagnola -. Appena arrivò disse: “Voglio diventare lo spazzino del mondo, lasciare le strade pulite affinché possano entrare l’amore e la pace”».
Dopo l’Italia, lo spettacolo raggiungerà il Sudamerica. «Affrontiamo la storia con un approccio laico - puntualizza il produttore Mauro Longhin -. Ricostruiamo le vicende di un ragazzino di 9 anni, nato in un momento storico particolare, che ha preso i voti perché ispirato non da un sacerdote ma da un sarto. Racconteremo gli aneddoti della sua vita, cercando di trasmettere il messaggio di fratellanza e unità dei popoli».
Del giovane Karol vengono approfonditi gli affetti, la guerra, la mamma Emilia, il padre militare, il fratello Edmund che lo abbandona per andare a fare il medico. Tutti elementi che lo hanno formato, fino a condurlo sulla strada del Soglio di Pietro. Wojtyla verrà interpretato da tre attori in tre età diverse: a 9 anni sarà il piccolo Alessandro Bendinelli, a 20 Mike Introna e infine a 50 Massimiliano Colonna. La mamma sarà interpretata da Barbara Di Bartolo, il padre da Simone Pieroni e il fratello da Roberto Rossetti. Nella natia Wadowice dove «tutto è cominciato», sulle note della musica «Lolek» torna in scena.
http://spogli.blogspot.it/

«Papa Wojtyla approvava il ballo liturgico»

Giovanni Paolo II
GIOVANNI PAOLO II

L'arcivescovo Piero Marini, ex cerimoniere di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI: «Il futuro beato ripeteva: bello, bello!»

SIMONA MARCHETTI

«Ma lei a cinquantatre anni fa ancora il chierichetto? Io ero già arcivescovo, e lei fa ancora il chierichetto». Monsignor Pietro Marini, maestro delle celebrazioni pontificie dal 1987 al 2007,  ricorda del beato Giovanni Paolo anche il senso dell’umorismo, che in questa battuta appare anche un po’ corrosivo.  «Sono rimasto in silenzio – ha raccontato monsignor Marini sabato scorso a Parona, un piccolo centro non lontano da Vigevano, ospite della Caritas parrocchiale – ma dentro di me dicevo: basterebbe che lei lo volesse…». Era il 1995: tre anni dopo è stato effettivamente consacrato vescovo titolare di Martirano, e nel 2003 è diventato arcivescovo.
  
Benedetto XVI lo ha nominato presidente del Pontificio Comitato per i Congressi Eucaristici Internazionali, incarico che mantiene tuttora.  La sua lunghissima attività a fianco del futuro santo lo ha portato  in ogni parte del mondo: sono ottanta i viaggi all’estero al suo seguito, «tutti fatti due volte» aggiunge, visto che per la preparazione doveva recarsi prima sul luogo, oltre a quelli in Italia  e nelle diocesi romane. Per lui, esperto di liturgia,  già nell’organismo voluto da Paolo VI per l’applicazione della riforma  decretata dalla costituzione conciliare Sacrosantum Concilium, il ruolo di maestro delle celebrazioni pontificie ha costituito un lungo  cammino che gli ha consentito di applicare efficacemente le  indicazioni del Vaticano II: «Basta inserire alcuni elementi,  all’ingresso, all’offertorio che fanno parte della vita del Paese di  cui si è ospiti, perché la messa diventi subito familiare a chi vi  prende parte. Anche i canti, a volte anche le danze: a Giovanni Paolo  II tutto questo piaceva, voleva sempre condividere usanze e  tradizioni».
  
In alcuni casi, la danza è già entrata a far parte della liturgia: «Eravamo in Brasile, e ci era stato chiesto di consentire la partecipazione delle danzatrici del balletto locale: abbiamo acconsentito, e sono salite sulle due rampe di scale che contornavano  l’altare. Durante la danza si è levato un po’ di vento, e i loro abiti sottili si sono appiccicati al corpo: qualcuno dei prelati  presenti ha manifestato disapprovazione. Ma non avevano sentito il  Pontefice che ripeteva “Bello, bello”. Non aveva occhi di malizia, guardava all'essenza». E aggiunge: «In seminario ci hanno sempre insegnato a mortificare il corpo, ma è con il corpo che ci salviamo». 
  
C’è anche un altro episodio successivo di cui è protagonista il cardinale Camillo Ruini, allora a capo della Cei, che non aveva gradito l’inserimento nella liturgia per i giovani di alcuni ragazzi che agitavano le braccia durante la celebrazione, e lo aveva fatto  notare al Santo Padre: «Anche in quel caso Giovanni Paolo II fece capire di aver gradito questa presenza, non ne era affatto infastidito».
  
Con il Papa, hanno celebrato ovunque, davanti a centinaia di migliaia, a milioni di fedeli. Molto spesso, quasi sempre, all’aperto: «Per lui, che veniva dalla Polonia comunista dove il cristianesimo era confinato dentro le chiese, con il divieto di   uscire, stare fuori era essenziale per farsi vedere, per esserci. Ricordo una volta, in una parrocchia romana, che avevamo dovuto restare all’interno, perché mancava lo spazio, non c’era il sagrato: Giovanni Paolo mi disse che dovevamo celebrare comunque fuori». L’episodio è illuminante: «Gli ribattei che non si poteva, c’era la  strada – racconta ancora l’arcivescovo, originario di Valverde – “Dovevamo celebrare fuori lo stesso”, mi rispose». C’è anche un altro aspetto: «L’Eucaristia è nata nelle case, per un piccolo gruppo di  persone. Gesù la istituì davanti ai dodici apostoli, poi, nei primi anni del cristianesimo, si spezzava il pane in piccole comunità, nelle abitazioni. Certamente non per milioni di persone. È stato però inevitabile arrivare a questo, e abbiamo dovuto adattarci perché la situazione lo richiedeva».

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