ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 12 ottobre 2013

Ciò che l'alter Franciscus neocatecumenalis non può certo capire



Il vero Francesco: ricchezza liturgica e somma riverenza
Proponiamo questa lettura tratta dall’ottima rivista mensile Presenza divina (che ringraziamo), che spiega soavemente come la ricchezza del culto cattolico, dei suoi paramenti come della sua liturgia (antica), siano un tesoro prezioso che veicola ben più alti doni spirituali, utili alla battaglia terrena in vista del premio finale.  

Per esprimere l’altissima dignità del sacerdote, San Francesco di­ceva spesso che se gli fosse capitato di incontrare un Sacerdote ed un Santo del cielo, avrebbe salutato prima il Sacerdote correndo a baciar­gli le mani (F.F. 790), ed ai suoi frati raccomandava di «chinare il capo davanti a loro e baciare le mani; se poi li vedevano a cavallo, esigeva si baciassero addirittura gli zoccoli del cavallo cui stavano in grop­pa» (F.F. 1468).

Comandava tanta riverenza verso i Sacerdoti «non per loro stessi - diceva - ma per il loro ufficio di ministri del Santissimo Corpo e Sangue del Signore Gesù Cristo» (F.F. 194). Né gli Angeli, né i Santi del Paradiso, infatti, ebbero da Dio il potere di consacrare il Corpo e il Sangue di Gesù, di immolarLo sull’altare rinnovando il Sa­crificio del Calvario. Ogni volta che un Sacerdote si appressa all’altare per celebrare la Santa Messa, egli fa discendere Gesù dal Cielo, Lo tiene tra le sue mani, Lo immola sull’altare divenuto un vero monte Calvario. «L’umanità trepidi», esclama ancora San Francesco dinanzi a tanto mistero, «l’universo intero tremi, il cielo esulti, quando sull’al­tare nelle mani del Sacerdote è il Cristo, Figlio di Dio vivo» (F.F. 221). Poiché dunque nel Santo Sacrificio si compie lo stesso Sacrificio che Gesù compì sul Calvario offrendo Se stesso, vero Sacerdote, all’Eter­no Padre per mezzo dell’uomo che compie le funzioni di Sacerdote, la celebrazione richiede che «i calici, i corporali, gli ornamenti dell’al­tare e tutto ciò che riguarda il Sacrifìcio divino devono essere prezio­si» (F.F. 241).

Nello stesso senso, tra gli insegnamenti di morale ed ascetica cri­stiana tratti da un manoscritto risalente al 300 circa (Ammaestramento delli semplici sacerdoti, sac. Luigi Lenzotti), leggiamo come non solo debba essere consacrata la persona del Sacerdote, ma anche l’altare e la chiesa, e i paramenti stessi che indossa il Sacerdote durante la cele­brazione devono essere benedetti, non perché le cose inanimate possa­no ricevere grazia, ma affinché, attraverso la loro consacrazione, ricor­dino ad un tempo al Sacerdote la sua vocazione alla santità, ad imita­zione della santità di Cristo ed, alimentando in lui i medesimi senti­menti di Gesù, gli significhino come egli deve quasi trasformarsi in una nuova creatura per compiere quell’azione così sublime e divina; e nel medesimo tempo stiano a rappresentare la santità della Chiesa e del sacramento stesso che non vengono mai meno anche qualora mancas­se la santità di coloro che vi partecipano.

Così la tonsura clericale a modo di corona sul capo indica che il Sacerdote è segnato con un sacerdozio regale; scoprire il capo dai ca­pelli sta a significare la chiarezza della contemplazione e la purezza delle intenzioni, nonché la necessità di svuotare se stesso da ogni at­taccamento mondano, simboleggiato appunto dalla privazione dei ca­pelli, considerati un ornamento superfluo del corpo.

Seguendo sempre il suddetto manuale di istruzione, apprendiamo che il prete deve avere i piedi calzati in scarpe di pelle di animale, a significare che deve calzare i suoi affetti nella memoria dei buoni esempi dei Santi defunti, allontanandoli dalle sollecitudini terrene. Mentre poi indossa i paramenti sacri, il sacerdote per ognuno di essi deve recitare una preghiera che sta a sottolineare il particolare significato di ogni elemento di questo abbigliamento. Sulle spalle pone l’amitto che è un pezzo di tela di forma rettangolare con una piccola croce ricamata nel centro e con due nastri ai due angoli superiori che servono come legac­ci da incrociare sul petto e fissare intorno alla vita. Nell’amitto è signi­ficata la fortezza della pazienza, che rende capace di abbracciare la propria croce alla sequela di Gesù. Il sacerdote prima bacia la croce, poi pone l’amitto sulle spalle facendolo passare un attimo sul capo e pronuncia queste parole: «Ponete sul mio capo, o Signore, l’elmo del­la salute, affinché io respinga gli assalti del demonio».

Sopra l’amitto indossa il camice o alba, che è una lunga veste di tela bianca che copre tutta la persona. Essa rappresenta il compimento delle opere buone e, per la sua bianchezza, sta a significare che le ope­re devono essere sincere e pure per la santa e retta intenzione e per la perfezione della carità. Mentre indossa il camice, il Sacerdote così pre­ga: «Rendetemi candido, o Signore, e purificate il mio cuore, affinché io, fatto candido nel Sangue di Gesù, possa godere dei gaudi eterni».

Il cingolo è un cordone con due fiocchi alle estremità, che serve a stringere il camice ai fianchi, a simboleggiare che, come il camice sen­za di esso non si congiunge al corpo, così le buone opere non si posso­no realizzare senza la custodia delle passioni. Mentre il Sacerdote met­te il cingolo dice: «Cingetemi, o Signore, col cingolo della purezza e spegnete in me la fiamma del vizio, affinché in me sia la virtù della continenza e della castità».

Il manipolo è una striscia di stoffa ricamata, che si allarga legger­mente verso le due estremità che terminano con una frangia. Esso si può paragonare ad uno scudo contro le tentazioni. Il Sacerdote prima lo bacia, poi lo poggia sul braccio sinistro e, mentre un aiutante ne annoda i legacci, recita questa preghiera: «Possa io meritare, o Signo­re, di portare il manipolo delle lacrime e del dolore, affinché con gioia io riceva il premio delle mie fatiche».

La stola è una striscia di stoffa somigliante al manipolo ma molto più lunga, che si pone intorno al collo mentre i lembi si lasciano scen­dere sul petto incrociati e fermati alla vita con le estremità del cingolo: essi simboleggiano la croce che, portata nel cuore, estende i suoi brac­ci all’esterno manifestandosi nelle opere. Il Sacerdote prima di indos­sarla bacia la croce che sta nel mezzo e poi pronuncia la preghiera seguente: «Rendetemi, o Signore, la stola dell’immortalità, che ho per­duto nella prevaricazione del primo padre Adamo, e sebbene io sia indegno di avvicinarmi al vostro santo Mistero, possa tuttavia merita­re il gaudio eterno».

La pianeta, infine, è una ricca veste aperta ai fianchi che scende in due parti uguali sul davanti e sul retro della persona fin quasi al ginoc­chio. I ricami formano sul davanti una larga croce che, passando sulle spalle, percorre tutta la parte posteriore. Essa sta a significare che il Sacerdote, avendo in sé sentimenti di compassione e pietà verso tutti i peccatori, si fa carico della moltitudine dei peccati, offrendo le pre­ghiere, le sofferenze e soprattutto la Santa celebrazione per la salvezza eterna dei fedeli. Mentre il Sacerdote indossa la pianeta, rivolge a Dio la preghiera: «O Signore, che diceste: “Il mio giogo è soave e il mio peso è leggero ” fate che io possa portare questo in modo da consegui­re la vostra grazia».

Tutti i paramenti sacri, inoltre, rimandano simbolicamente anche agli oggetti della passione di Gesù e ricordano al sacerdote che, nell’appressarsi all’altare, egli si sta appressando alla croce di Cristo af­finché, a Lui conformato, sia insieme il Sacerdote che offre il Sacrifi­cio e l’Ostia offerta.

Così l’amitto rappresenta il velo con il quale i soldati coprirono gli occhi di Gesù mentre gli domandavano: «Indovina chi ti ha percos­so?» (Le 22,64); l’alba raffigura la veste che gli fece indossare Erode per scherno (Le 23,11); il cingolo, il manipolo e la stola adombrano rispettivamente i legacci con i quali fu legato Gesù alla colonna e quando fu catturato nell’orto; la pianeta simboleggia la veste rossa che gli fe­cero indossare i soldati per schernirLo quale re (Me 15,19); il calice rappresenta il sepolcro nel quale Gesù Cristo fu posto; la patena che si pone sul calice significa il coperchio del sepolcro; il corporale, la pic­cola tovaglia inamidata che si estende nel mezzo dell’altare, rimanda al sudario nel quale fu avvolto il corpo di Gesù.

Quanta sarà allora la devozione e la riverenza con cui dobbiamo assistere alla Santa Messa, perché essa si celebra in memoria della pas­sione di Gesù. Allorché il prete sale all’altare, animati da queste sante riflessioni, facciamo nostra la raccomandazione dell’autore del già ci­tato manuale: «Tu entra nel tuo cuore e nella tua mente, cacciane fuori ogni pensiero vano, indirizza il tuo cuore a Dio e pregarLo che coman­di all’Angelo custode di conservare la purezza della tua mente», per conseguire quei frutti divini di grazie che il Signore nella Santa cele­brazione ci ha riservato, facendoci gustare fin d’ora la gioia che piena­mente otterremo nella vita eterna. «Ognuno dunque esamini prima se stesso, e così mangi di quel pane e beva del calice; perché chi mangia e beve indegnamente, senza discernere il Corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna» (I Cor 11,28-29).
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