ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 15 ottobre 2013

Il domani - terribile o radioso? - del dogma


ENRICO MARIA RADAELLI, Il domani - terribile o radioso? - del dogma, Pro manuscripto, 2013, pp. 262, € 35,00.
Contiene:
· LA PREFAZIONE DI ROGER SCRUTON · 
· INTERVENTO DI S.E.R. MONS. MARIO OLIVERI ·
· INTERVENTO DI MONS. BRUNERO GHERARDINI ·
· INTERVENTO DI ALESSANDRO GNOCCHI - MARIO PALMARO ·
· IL PERCORSO DEL LIBRO E LA SUA LOGICA· 
Il libro è reperibile presso l'autore (info@enricomariaradaelli.it)
presso la libreria Hoepli (http://www.hoepli.it/libro/la-bellezza-che-ci-salva/9786009942039.asp)
presso la libreria Coletti
(http://www.libreriacoletti.it/libro/la-bellezza-che-ci-salva.aspx?p=785685)



Presentazione nostra
Presentazione dell'Autore
Risguardi di copertina
Il percorso del libro e la sua logica


Gli indici si possono consultare sul sito dell'Autore

Si veda in questo sito la recensione del libro scritta da Giovanni T.: 
Verità e Bellezza, Lingua e Volto della Chiesa di sempre


Presentazione

Il Prof. Enrico Maria Radaelli pubblica il suo sesto titolo affrontando questa volta la problematica dell'importanza del pronunciamento asseverativo del Magistero della Chiesa cattolica e realizzando quella che Giovanni T., nel suo articolo Verità e Bellezza, Lingua e Volto della Chiesa di sempre, chiama «Un’opera «critica», dunque, che segna una particolare riflessione sull’essenza della Chiesa uscita dal Vaticano II sotto l’inesplorato profilo della «forma» scelta dall’Assise e dai documenti conciliari che ne uscirono - la pastoralità - che fu anche un modo, e il più immediato ed appariscente, di manifestare un nuovo stile, un nuovo linguaggio ed un nuovo vocabolario per la Chiesa del dopo
Un lavoro che sviluppa anche, in termini applicativi, la sua ricerca sul rapporto tra bellezza e verità, che ha già portato alla pubblicazione dei suoi tre precedenti lavori: Ingresso alla bellezzaSacro al calor bianco e La Bellezza che ci salva.

Allievo del compianto Prof. Romano Amerio, l'Autore ha contribuito primariamente e con lodevole perseveranza a tenere acceso l'interesse del mondo cattolico per questo benemerito studioso delle “variazioni della Chiesa Cattolica nel XX secolo”, espressione che è esattamente il sottotitolo dell'ormai ben noto Iota Unum, il testo che, pur avvolto nel più profondo silenzio per tanti anni, è ormai annoverato, nel mondo intero, tra gli indispensabili testi di riferimento per ogni serio studio su tutta la problematica relativa alla crisi che attanaglia la Chiesa Cattolica da cinquan'anni. Questo è stato possibile anche per il lavoro svolto dal Prof. Radaelli in questi anni: dalla cura del secondo noto titolo di Romano Amerio,Stat Veritas, uscito postumo proprio grazie al nostro Autore, alla pubblicazione dell'interessantissima raccolti di pensieri annotati in quasi 50 anni da Amerio: Zibaldone, all'organizzazione di due importantissime tavole rotonde sulla figura e l'opera di Amerio, a Lugano e ad Ancona. Di quest'ultima sono stati pubblicati gli Atti: Romano Amerio, il Vaticano II e le variazioni nella Chiesa Cattolica del XX secolo.

In questo suo nuovo lavoro, l'Autore affronta la cosiddetta «crisi formale» della Chiesa, come dicono Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro nell'intervento riportato nel libro stesso “Dalla cultura pop alla Chiesa 'melanchonica'. Il linguaggio dogmatico ai tempi della 'crisi formale'”: «Questa nostra povera Chiesa si trova in una condizione inedita della sua vita e Radaelli la definisce maneggiando con cura termini e concetti acuminati come quello di “crisi” e di “forma”.  Mostra come la Chiesa di Roma sia toccata dalla malattia nell’intimità dell’“essere”, ma senza che ne venga mutata l’essenza poiché la Chiesa cattolica non è passibile di tale mutazione. Basterebbe questa intuizione per giustificare il libro.»
Lo stesso Autore, nel presentare Il percorso del libro e la sua logica, scrive che «l’imperatività dogmatica dell’insegnamento della Chiesa discende direttamente dalla ss. Trinità e la Chiesa ha come linguaggio suo proprio e “tipico” precisamente e non altri che il linguaggio dogmatico.»
Considerazione da cui si può partire per giungere a quello che sostiene Mons. Brunero Gherardini, nel suo intervento riportato nel libro stesso, Perché sono d'accordo con il libro di Enrico Maria Radaelli, «Tenendo presente che quello della “forma”, in effetti, è il valore di fondo che consente all’Autore di sviluppare le sue riflessioni, queste vengon da lui rivolte anzitutto alla soluzione del problema ermeneutico del Vaticano II e quindi ai due modelli in atto dal Vaticano II in poi: l’uno, « ipodogmatico » e disposto perfino a snaturare il contenuto del dogma nel cosiddetto linguaggio pastorale, l’altro autenticamente e tradizionalmente dogmatico come linguaggio proprio dell’insegnamento ecclesiale.»
Riflessione rafforzata da quanto scrive S. Ecc. Mons. Mario Oliveri nel suo Qualche annotazione per il lettore circa il libro di Enrico Maria Radaelli “Il domani del dogma”, anchesso riortato nel libro, «Da cosa sarebbe causato il “domani terribile” che paventa l’Autore? Dall’aver operato in modo (in Concilio e fuori del Concilio) da privare l’Assise Ecumenica del suo carattere più vero, quello più consono alla sua natura, più consono a ciò che un Concilio Ecumenico è sempre stato nella vita della Chiesa, e che non può non essere nella vita della Chiesa, e tale carattere è la qualifica di ‘Dogmatico’

Per offrire un’anticipazione del testo e dello stile dell’Autore, abbiamo riprodotto la prima parte della presentazione del libro, che può leggersi per intero sul sito dell'Autore.

Corre l’obbligo di segnalare anche gli altri scritti di Enrico Maria Radaelli, di cui si può avere ampia notizia nell'apposita pagina del suo sito “Aurea Domus”.



Presentazione dell'Autore
(prima parte)
(Qui l'intera presentazione)

La prima domanda che uno si fa è: perché mai uno che si occupa di estetica si mette a discettare sul dogma? cosa c’entra una cosa seria come il dogma con l’estetica?

Risposta: perché si dà il caso che la bellezza viva di verità. Niente verità, niente bellezza. La bellezza spilla allegra solo dalla fontana della verità. Ma la bellezza oggi è rovinata dalle scorrerie di vandali e arcivandali fin nelle chiese, e ciò perché la fontana della verità oggi si è inaridita, la Chiesa ha stretto i rubinetti della verità, l’ha ipodogmatizzata, dedogmatizzata, con un linguaggio che quasi non è più il suo.

Da quando la Chiesa ha ipodogmatizzato e dedogmatizzato il suo linguaggio? È ciò che si scoprirà nel libro. Di certo si può dire che tutto ruota intorno all’evento culmine del secolo XX: il famoso Concilio ecumenico Vaticano II.  
Parlando però di linguaggio, viene da sé che della cosa se ne debba occupare un filosofo di estetica. Per cui questa è la prima volta che il concilio Vaticano II viene analizzato sotto il profilo della sua forma, che è a dire del suo linguaggio, e Il domani – terribile o radioso? – del dogma è il primo libro che per far ciò usa uno strumento del tutto nuovo, mai usato prima, per quanto sia stato “scoperto” da più di 700 anni, e “scoperto” da un pensatore come san Tommaso, sto parlando di Imago, Immagine (o Volto, Species, Aspetto). 
Imago, che con LogosSplendor e Filius, è una delle quattro qualità sostanziali del Monogenito di Dio, è il formidabile, specialissimo strumento della Filosofia dell’estetica trinitaria, che stringe bellezza a verità, linguaggio a forma, e rende evidente il nesso tra volto e anima, tra bellezza e verità, intuito dai tempi di Platone: il nesso c’è, ed è divino: è Imago.

Il domani del dogma è il primo saggio che, muovendo dalle antiche e severe stanze della filosofia della conoscenza, per salire (come insegna la metodologia esigente e angolare di Antonio Livi), ai piani alti della teologia, ciò compie con gli occhi, per così dire, della conoscenza estetica, ossia attraverso l’analisi del linguaggio e della forma di insegnamento utilizzati dal magistero della Chiesa a partire dal Vaticano II. 
È così che, col rigore scientifico massimo, si può giungere a enunciare: la presente grave e pericolosa crisi che sta soffocando la verità nella Chiesa è una crisi ‘formale’.
Dichiarare che la crisi della Chiesa è formale, e portarne le cause, è decisivo, perché senza la giusta diagnosi non si guarisce dal male, ma lo si aggrava: individuare la diagnosi giusta è essere già a metà dell’opera.

Ma come fa una crisi della Chiesa a essere ‘formale’ senza intaccare la sopravvivenza della Chiesa? Non si rende conto forse l’autore della contraddizione in termini? Ed è qui che, allievo di Romano Amerio, posso calare quel che si direbbe il primo carico da undici, e mettere finalmente a nudo la più vera verità mostrando che, a riguardo del Vaticano II, non esistono solo, come dicono, ‘un’ermeneutica della rottura’ e ‘un’ermeneutica della riforma nella continuità’, ma una terza ermeneutica, individuata da quel grande filosofo cattolico, la quale terza è però un’ermeneutica, ahimè, schizoide, dubbia, schizofrenica: de voce (a parole) tutta in continuità con la Tradizione, ma de facto (nei fatti) in totale rottura.
Questa impietosa, ma assolutamente necessaria e chirurgica sollevazione dei lembi della pelle del linguaggio (o forma) sulla carne viva della Chiesa, compiuta sull’infezione ‘formale’ e dunque totale che ha intaccato il corpo storico della Chiesa col Vaticano II, è il cuore del cuore del libro.



Risguardi di copertina


Il percorso del libro e la sua logica
(dal sito dell'Autore)

I capitolo. Ogni ente ha il suo essere nella forma. Se dunque si dimostra (§§ 1-9) che la forma di un certo ente è in qualche modo mancante, lo sarà anche il suo essere e quell'ente è nullo. Si applica qui dunque per la prima volta il processo ‘formale’ al Vaticano II, tanto più se per ‘forma’ si può intendere, come qui si dimostrerà corretto intendere, sia il nous o contenuto di un ente che il suo aspetto o linguaggio.

In particolare, si potrà capire che tutti i mali di cui oggi soffre la Chiesa in ogni ambito dipendono da un ‘male totale’ che tutti li origina: il male formale, il male della Chiesa di essere da cinquant’anni forzata a presentarsi per una Chiesa che, svuotata di sé, né è, né può essere; forzata a presentarsi, vano ma ostinato tentativo, 'Chiesa pastorale’ (ma è ‘finto-pastorale’: è iperpastorale) invece che Chiesa dogmatica, invece cioè che quella Chiesa dogmatica che metafisicamente sempre è stata e che, salvo por mano dogmaticamente alla sua dedogmatizzazione, sempre e necessariamente sarà (§ 5).

Per prima cosa va verificata (§§ 10-15 b) l’esistenza della correlazione biunivoca tra nous e aspetto, che è a dire tra Verità e Bellezza. La si trova nella ss. Trinità, dove Logos e Imago coincidono nel Figlio. A Logos si dimostra corrispondere la Verità come a Imago la Bellezza, e a tutti e quattro una certa interscambiabilità. La conclusione (§ 16-16 a) è che la forma del Vaticano II può essere giudicata dal linguaggio dei suoi documenti, conformi alla sua essenza come la Verità alla Bellezza, cioè il contenuto al suo aspetto: se esso è “proprio”, anche la forma del Vaticano II sarà “propria”; se non lo è, non lo sarà neanch’essa.

Per secondo si verifica (§§ 17-18) se esista e che linguaggio sia un linguaggio divino, un linguaggio cioè intrinseco all’essere e alla ss. Trinità. Esso esiste, si chiama “Linguaggio dogmatico” e serve a far conoscere il Padre alle creature (e, nella Trinità, a contemplarlo, §§ 19-20). Da esso discende ogni altro linguaggio umano: tutti meno perfetti ma tutti necessari alla completezza della conoscenza delle cose, fino all’ultima: quella del Padre. Esso è dato da Imago, il linguaggio di Logos, che è a dire la Bellezza della Verità; dunque è lo stesso Cristo, incarnazione di Logos/Imago (§§ 21-21 c).

Si può (si deve) concludere il I capitolo con la constatazione che (§ 22) l’imperatività dogmatica dell’insegnamento della Chiesa discende direttamente dalla ss. Trinità e la Chiesa ha come linguaggio suo proprio e “tipico” precisamente e non altri che il linguaggio dogmatico.

II capitolo. Originalità totale del linguaggio dogmatico della Chiesa nell'infinita varietà delle sue specifiche modalità manifestative; sua specifica caratura (§ 23). Analisi di alcuni aspetti salienti del linguaggio dogmatico, da distinguere dal teologico (§ 24): è il più tipico linguaggio dell'amore (§ 25); è naturale e non artefatto (§ 26); è sommamente cristico (§ 27); è per natura autoritativo e obbligativo (§§ 28-32).

Riconosciute le basi teologiche, anzi tomistiche, del “linguaggio tipico” della Chiesa (dogmaticoasseverativo e obbligativo), eccone i fondamenti scritturali, limitati al NT (§ 33).

Mostra della diversità di linguaggio usato nella Chiesa dal Vaticano II in qua e di quanto la sua natura, anche a parere degli stessi novatori, incida sulla forma dello stesso (§ 34) e persino sull’ordine logico-normativo della realtà (§§ 35-6); infatti tutti i concili ecumenici della Chiesa hanno costantemente usato una forma e un linguaggio sempre e solo dogmatici (§ 37), mentre la forma e il linguaggio del Vaticano II non sono propriamente nemmeno “pastorali” (§ 38).

Opposizione dei due modelli teoretici di Chiesa presenti dopo il concilio, il dogmatico e il non-pastorale (§§ 39-41).

Si possono così illustrare le cause per cui sono state congetturate la forma non-pastorale e le sue risultanze del tutto vane, che pongono la Chiesa in un vicolo cieco (§§ 42-5).

Illustrazione della fondamentale tesi di Romano Amerio sul rapporto Chiesa/Verità, tesi che è a base dell’individuazione della via – dell’unica via – per far uscire la Chiesa dalla crisi che la sta stringendo da cinquant’anni (§ 46) tra i due cippi liberali chiamati « Dislocazione della divina Monotriade », e « Ambiguità tra rottura de voce e continuità de facto » (§ 46 a), posto che né si può cancellare il “vecchio” modello teoretico, basato sul linguaggio dogmatico, né formalizzare il nuovo, basato sul non-pastorale (§ 47), possibile esito, questo, di peccati contro la verità – verificandone la possibilità almeno teorica – compiuti anche dagli ultimi Papi (§ 48).

Per tirare alle conclusioni, è rivisitato in chiave estetico-linguistica il nesso uomo/realtà dato dalla nota affermazione aristotelico-tomista « veritas est adæquatio rei et intellectus » (§§ 49-9 b), così da mostrare in tutta la sua forza la necessità del ritorno a un munus docendi impostato sul dogma (§§ 50-2), anzi, propriamente – posto che il vero responsabile della crisi è il linguaggio –, sul linguaggio del dogma (§ 53).

Ma la Chiesa non può ritrovare la pace senza recuperare la sua nota di “unità di spirito”, per cui tradizionisti e novatori debbono sapersi incontrare nella carità, ossia combattere le proprie idee senza sbranarsi a vicenda (§ 54).

III capitolo: conclusioni. Si articolano in una considerazione generale e in quattro specifiche: dimostrato che un linguaggio della Chiesa esiste, che è di origine divina, che è stato volutamente tralasciato dal Vaticano II in poi optando per una forma linguistica (e, da ciò, sostanziale) radicalmente inadeguata al grado del suo magistero, bisogna riconoscere che il primo strumento che muove e cambia la Chiesa, e da essa il mondo, è il linguaggio, sicché la Chiesa deve riprendere a parlare col suo linguaggio d’amore, il dogmatico, abbandonando la “lingua di legno” artefatta e ingannevole usata in sua vece (§ 55), giacché i due modelli teoretici di Chiesa sortiti dal Vaticano II sono irriducibili uno all’altro (§ 55 a), per cui si renderà necessario che il magistero del Papa torni al suo stato ordinario, al primo modello, tutt’uno col dogma (§ 55 b); ciò egli può fare attraverso la via, qui vista unica per validità intrinseca ed estrinseca, dedotta dalla tesi di Amerio, (§ 55 c); si spera siano presto molti i vescovi che auspichino venga percorsa tale via e che, per il bene della Chiesa e come unico vero servizio all’alto magistero del Papa, ne incoraggino la migliore e più celere riuscita (§ 55 d).

Conclude una riflessione “fuori campo”, per la quale quello illustrato parrebbe il solo modo per prepararsi ad affrontare (e non sarà fra un secolo) un Vaticano III, sapendo che la forma non-pastorale con cui i novatori lo vorranno aprire andrà rigettata in toto come del tutto impropria al munus del suo insegnamento, dunque invalidante il medesimo (§ 56).
Illustrazione infine (§ 57) dei motivi per cui il libro è stato dedicato alPontificium Consilium de Cultura.

http://www.unavox.it/Segnalazioni_Rete/Radaelli_Domani_dogma.html
Verità e Bellezza, Lingua e Volto 
della Chiesa di sempre

(Osservazioni sul libro
«Il domani – terribile o radioso? – del dogma»,
di Enrico M. Radaelli)

di Giovanni T. - Firenze

L’ultima opera del filosofo milanese Enrico Maria Radaelli ha l’effetto di quel tuono estivo che, solitario, è però capace di incrinare il sereno e di risvegliare i sensi dal torpore evocando lontane turbolenze.

In questo meriggio dorato della Chiesa, che segue alla mattinata delle scintillanti novità di cui essa si è rivestita, con cui si è abbellita e per cui si è creduta ringiovanita, l’ultima opera del filosofo milanese Enrico M. Radaelli,Il domani – terribile o radioso? – del dogma, è il tuono solitario che, in lontananza, è capace di incrinare tanta fissità di luce e di certezze.
In realtà il libro di Radaelli ha la potenza del tuono ma la finezza d’ordito del ricamo e tutta la trattazione segue un percorso metafisico che vaglia di fino il volto nuovo della Chiesa, principalmente il suo linguaggio che ne riflette il suo Magistero.
Un’opera «critica», dunque, che segna una particolare riflessione sull’essenza della Chiesa uscita dal Vaticano II sotto l’inesplorato profilo della «forma» scelta dall’Assise e dai documenti conciliari che ne uscirono - la pastoralità - che fu anche un modo, e il più immediato ed appariscente, di manifestare un nuovo stile, un nuovo linguaggio ed un nuovo vocabolario per la Chiesa del dopo.
Secondo la regola di verità della Scolastica che la forma determina la sostanza delle cose, era però inevitabile che anche in questo caso quella che si pensava un’operazione di mero lifting ecclesiastico finisse poi per diventare un’imponente riforma ecclesiologica dalla portata incalcolabile per l’essenza stessa della Chiesa, dal momento che la Chiesa può «divenire» ma non mutare, mentre un intervento generale e profondo come quello del Concilio non poteva che riflettersi sulla natura stessa della Chiesa, alterandola.

Non si riconosceranno mai abbastanza, sostiene l’Autore, le conseguenze che questa alterazione estetico-formale apparentemente innocua porta all’essenza della Chiesa, e quindi ai fedeli, al mondo, ma anche a tutto il clero e ai religiosi.
Fin dalle prime pagine, Radaelli ci accompagna attraverso le acque sicure del mare tomista per spiegarci che la Forma è il linguaggio della Sostanza e cheLogosVerbumParolaVerità (Sostanza) ed ImagoVolto e Bellezza(Forma) sono alcuni dei Nomi del Figlio di Dio (s. Th.de Trinitate, quae. 34 e quae. 35), anzi «sono» il Figlio di Dio: Verità e Bellezza hanno dunque la medesima origine in Dio e coincidono e sono entrambe perfette in Gesù Cristo.
Questo è di fondamentale importanza perché in questa compenetrazione perfetta di Sostanza e Forma, di Verità e Bellezza – che Radaelli definisce «ultrarelazione» - e che è compiuta in Gesù Cristo, vi è “«la scaturigine prima» di ogni relazione che si ha nel creato”, e pertanto anche di quella particolare relazione fra contenuto e sua manifestazione che si ottiene attraverso il linguaggio umano, che in ogni sede e in ogni tempo deve rispondere a verità e bellezza, memorabili le parole di Amerio: “Noi siamo fatti per il vero e non per il falso e perciò restare nel falso ci riesce difficile” (Zibaldone, aforisma 587).

Su queste fondamenta ha sempre poggiato il linguaggio della Chiesa, che è maestra di Verità e che pertanto ha sempre insegnato con linguaggio certo, dogmatico, autorevole ed asseverativo, bello, come conviene alla professione di Verità Rivelata. Ma che nello stesso tempo è un linguaggio d’amore perché è fondato unicamente su Cristo, che insegna con autorità ma non costringe, che si rivolge agli uomini di buona volontà ma li lascia liberi di scegliere.
Col Vaticano II la prospettiva si è precisamente capovolta e la struttura della Chiesa da verticale è diventata repentinamente orizzontale. Comunione, collegialità, pastoralità, dialogo, ecumenismo, opinabilità: un vocabolario tanto vasto ed impegnativo quanto mai incerto nella sostanza (ricordo, fra gli altri, l’inestricabile ed insoluto nodo dei rapporti fra Collegio episcopale e Romano Pontefice, vale a dire fra i due soggetti titolari della suprema autorità sulla Chiesa universale); e fluido e ondivago nella forma (ricordo le esitazioni lessicali sulla questione dei “due soggetti inadeguatamente distinti” e tutte le aporie dei vari documenti così puntualmente illustrate dal teologo Gherardini specie nel suo trattato Quod et tradidi vobis).

Lo stile, la lingua, con cui esprimere tale capovolgimento doveva per forza adattarsi alle nuove esigenze ma, attenzione, l’operazione non poteva esser condotta in modo così clamorosamente antitetico alla forma, alla sostanza, agli insegnamenti della Chiesa precedente. Niente di meglio che utilizzare un linguaggio dimostrativo, allusivo, ambiguo, l’opposto del linguaggio metafisico così reale, esatto ed oggettivo e così poco amato dalla maggioranza dei Padri.
Si arriva in questo modo ad uno dei punti centrali (molti ve ne sono) dell’opera di Radaelli, quello della questione del Magistero conciliare: questa Chiesa che guardò se stessa e il mondo con occhi e con linguaggio così diversi, determinò una interruzione con la Chiesa precedente («rottura della continuità»), oppure si trattò di semplice trasformazione («riforma nella continuità»)?
Nessuna delle due strade è praticabile, risponde Radaelli: nel primo caso perché, se si ammettesse la rottura la Chiesa attuale sarebbe privata dell’assistenza dello Spirito Santo e dovremmo ammettere che la Chiesa è un semplice elemento in natura, ciò che non è. Nel secondo caso, perché le filosofie religiose, le pseudo dottrine che invadono oggi il campo della Chiesa non sono formalmente individuabili in nessuna delle due fonti della Rivelazione, anzi “sono dottrine che una per una, vere e proprie eresie, non reggerebbero alla prova del fuoco del dogma”.

La chiave di lettura dell’evento conciliare ultimo, l’aveva già individuata Amerio nella sua opera maggiore – afferma Radaelli – e l’aveva fissata col nome di legge di conservazione della Chiesa: la Chiesa potrebbe “perdersi” solo quando la corruzione pratica e dottrinale, ecclesiologica, sacramentale, liturgica, si alzasse “tanto da intaccare il dogma e da formulare in proposizioni teoretiche le depravazioni che si trovano nella vita”.
Ecco che l’intangibilità del dogma diventa il caposaldo che misura il livello di guardia, che però rischia di essere superato per l’arretramento del Magistero che nella forma e nella sostanza, nel linguaggio e nei suoi contenuti ha abbandonato la dogmaticità per la pastoralità ed ha assunto la dialettica al posto del rigore.
In questa situazione, la «dedogmatizzazione», la relativizzazione anche del dogma potrebbe essere il prossimo passo. Si potrebbe davvero arrivare a quella “perversione dedogmatizzante” - già segnalata dal filosofo Antonio Livi a proposito dei nemici esterni alla Chiesa (illuminismo, romanticismo, modernismo in Vera e falsa teologia) – anche sul versante del foro interno? Una Chiesa cioè stretta fra due fuochi: dall’esterno per l’assedio del laicismo, della secolarizzazione, del progressismo; dall’interno, dalla proliferazione incontrollata di tutte le filosofie religiose che si appropriano indebitamente della veste di teologie e che mirano direttamente al cuore della Chiesa, col risultato di rendere profetiche le parole di Ernesto Bonaiuti: “Non contro Roma, né senza Roma, ma con Roma e in Roma”?

Radaelli, che è un cattolico autentico e vero innamorato della Chiesa, chiude il suo lungo e dotto discorso nella fede e nella speranza. La Chiesa è assistita dallo Spirito Santo, ed è agli uomini di Chiesa, ai Vescovi, Giudici e Maestri della fede, che egli chiede di rinunciare “ai cinquant’anni di balbettii ecumenisti” e di ritornare al “linguaggio infuocato del cielo”.
Il discorso, che si apriva all’inizio dell’opera coi Nomi del Figlio che sonoLogosVerbumImagoSplendorFilius, (Sostanza). E Logos, Parola di Dio,Volto, Manifestazione Incarnata (Forma) del Figlio, il Salvatore, la Parola di verità che rende testimonianza al padre (Gv. 19,37), si chiude così – tracciando un cerchio perfetto - con un appello accorato e veemente, da vero figlio della Chiesa, ai Vescovi, cioè ai Successori di quei Dodici che il Signore volle con Sé.
Quest’opera – che durante tutto il suo tragitto non manca di farsi debitrice del migliore spirito tradizionalista rappresentato da Amerio, Gherardini, Livi, de Mattei, O’Malley, Scruton, Gnocchi e Palmaro – può apparire nei suoi primi capitoli di difficile impatto per la ferrea struttura filosofico-metodologica impressagli dall’Autore, ma essa è chiaramente strumentale e finalizzata al successivo scorrimento del discorso sui binari dritti e chiari di una inequivoca epistemologia, strumento di cui l’uomo è dotato per tentare di arrivare alla Verità con l’aiuto indefettibile dei dogmi e del Magistero, allo stesso modo dell’alpinista che si procura arpioni, picchetti e corde per fissarsi strettamente al fianco della montagna e poi salire, salire....

Uno dei più grandi mistici del Novecento – don Divo Barsotti – soleva ripetere che non si è teologi se non si è mistici, se la Divina Presenza non è vissuta nel mondo, e personalmente.

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