ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 22 novembre 2013

Come ti erudisco il pupo/2

PEDAGOGIA E DIDATTICA NEOTERICA:
testi e sussidii per l’insegnamento religioso
nella scuola primaria

Parte seconda 

Mentre nel primo volume (Una strada di stelle – ed. Elledici 2010) gli autori predispongono il materiale, e le fasi del programma, con un approccio fatto di tenerume ideologico, attenuazioni e sviste storiche, il tutto annegato in un afflato didattico materno, mimetizzando le divaricazioni dottrinarie e gli stravolgimenti pastorali nell’intreccio zuccherino e colloso di una ragnatela fatta di affabulazione e reticenza, nel secondo escono allo scoperto, in specie nella parte finale ove, con candida quanto smaccata sfacciataggine e aperta consapevolezza di seminare la zizzania, operano una vera e propria azione di ribaltamento a pro’ di una visione panreligiosa mondialista che altro non è che il disegno massonico d’una chiesa universale – non cattolica – nella quale tutti possono (timeo danaos et dona ferentes!) esprimere la propria personale fede  stante l’equiparazione di tutte le confessioni e la loro riconosciuta valenza soteriologica, con conseguente decolorazione dell’identità della Chiesa Cattolica.
Ne dette esempio Paolo VI quando, in visita all’ONU, il 4 dicembre 1965, da lui definita “palestra di umanesimo”, sostò in preghiera (?) nella “Camera di meditazione” sita nella stessa sede ONU, davanti ad un altare massonico – un blocco di pietra squadrata -  dedicato a un dio di tutti, senza nome. Cosicché non pensiamo di affermare cosa gratuita e inesatta perché l’attributo “Cattolica” figura, nel corso delle pagine, due volte soltanto del che, senza anticipare, parleremo a tempo e luogo con opportuno e circostanziato commento.

Due volte soltanto, diciamo, perché lo stesso acronimo IRC, che starebbe – salvo smentite – per Insegnamento Religione Cattolica, vela, nella sua enigmatica natura di sigla, quasi vergognandosi, la propria identità lasciandosi  al docente, se mai ne sentisse la necessità, di spiegarlo ai fanciulli. Che diamine ci stiano a  fare buddismo, islamismo, induismo, animismo in un corso di studio che si chiama “Religione cattolica” è cosa che soltanto menti omologate al conformismo massonico e invasate e imbevute dal messaggio sincretista vaticanosecondo possono spiegare.
E’ questa la zizzania nel campo del Signore. Si tratta, insomma, di un “trattatello” di  religioni comparate. Si nega, cioè, apertis verbis, non una mera qualificazione di una qual che sia religione, ma la natura metafisica e trascendente di quella rivelata, l’unica e vera che può  definirsi “catholica” e che si eleva, con distanza abissale, dalle altre confessioni. Checché ne dicano i  festival assisiati dei varii GP II, Benedetto XVI, o i Martini, i Ravasi, i don Verzè di turno con le loro “cattedre” o “cortili” dei più accreditati e accademici  noncredenti e gentili.
Ed allora, poiché folto è il catalogo degli errori dogmatici e storici, delle mezze verità che in quanto tali non sono pertanto verità, delle opinabilità o delle cappellate pur anco scientifiche, ci apprestiamo, nel modo seguito nella prima parte, con lo scandire le osservazioni dalle prime sino alle ultime pagine.
  

Pag. 2 – “il Mar Morto, il più grande lago salato del mondo… non ospita alcuna forma di vita”. 

Nozione che è luogo comune  e, perciò, infondata, messa lì a dimostrazione che i nostri autori non brillano nemmeno in scienze fisiche e geografiche. Vorremmo rammentare che, notoriamente, il lago salato che gode del primato di estensione è il Mar Caspio e, a seguire, il lago d’Aral e il Salton Sea.  Semmai, il più salato. In quanto all’assenza assoluta di vita, ricordiamo che nel Mar Morto prosperano colonie di batteri che, fino a prova contraria, sono segni e manifestazioni di vita. Le esplorazioni condotte, nel 2010,  dal dott. microbiologo Danny Ionescu hanno, infatti, rivelato una forte concentrazione di magnesio che permette la proliferazione di colonie di microrganismi  di specie sconosciuta. (National Geographic 29 nov. 2011).
    

Pag. 3 -  “In questa città è stato ucciso, sepolto ed è, secondo la fede cristiana, resuscitato”. 

Cioè: è storico ed accertato che sia stato ucciso e sepolto ma, in quanto alla Sua Resurrezione, stiamo attenti! Essa risulta soltanto alla fede cristiana, e affermarla come evento storicamente avvenuto – chiosa assai opportuna!! – gli alunni di altre confessioni, presenti in classe, ne sarebbero offesi. Perciò, bambini, quando parlate di Gesù Risorto, dite sempre in premessa: “Secondo la mia fede”. Chiaro?  Insomma, trattandosi di un corso di religione cattolica, che necessità si avverte perché si precisi “secondo la fede cristiana”?  Si avverte la necessità di non contrariare l’altrui opinione, di rispettare l’altrui cultura, di non invadere l’altrui coscienza, di non operare alcuna forma di evangelizzazione, cosa che, a detta del supremo pastore, è “una sciocchezza”,  mentre è molto cristiano camminare insieme.
In pratica, si verifica questa inversione dogmatica: mentre la fede, secondo Gesù (Gv. 20, 27/29 ), e secondo San Paolo, si fonda sull’avvenuta e storica Resurrezione (Ora, se Cristo non è risorto, è  vana  dunque la nostra predicazione, e vana  è pure  la vostra  fede - I Cor. 15, 1/19), per gli autori è la Resurrezione che riceve la sua certificazione dalla fede. Gravissimo il capovolgimento che gli autori hanno operato e più grave il nihil obstatconcesso loro dal cardinale  A. Bagnasco.
Non vi sembra, cari lettori, che quella puntualizzazione, prescindendo da una palese manifestazione di viltà, si conformi alla moderna “teologìa del dubbio” – assai lodata dal presidente repubblicano G. Napolitano nella recente visita quirinalizia di papa Bergoglio - e che si cauteli col mettere le mani avanti?
Ma, come afferma la saggezza antica, il veleno sta nella coda – in cauda venenum – perché, con quel cautelativo/limitativo “secondo la fede cristiana”, ritorna a galla la tesi di Rudolf Bultmann  circa l’esistenza di un doppio Cristo: quello storico dei Vangeli e quello mitico della fede. L’alunno, che beve il messaggio subliminale nascosto in questa pagina, sarà più tardi uno dei tanti “cristiani adulti” che, con esibizione e saccenterìa, confesserà di credere nel Cristo dei Vangeli ma non in quello della Chiesa Cattolica.
Afferma Vittorio Messori, in un’intervista di qualche anno fa, che sono in circolazione teologi cattolici i quali si fregherebbero le mani se si trovasse, un giorno, la tomba di Gesù con le sue ossa!

    

Pag. 18 – “Gesù muore e risorge”, capitolo commentato con la seguente esegesi: “Non tutti però volevano bene a Gesù. I suoi nemici, infatti, lo fecero arrestare e condannare a morte.”. 

Vive, in questa frase, lo spirito del documento “Nostra aetate” che, come è arcinoto, fu concordata segretamente, nel 1962, a Strasburgo, da padre Congar emissario di Giovanni XXIII e del cardinal A. Bea, e dalla locale sinagoga (J. Madiran: L’accord secret de Rome avec les Juifs – Itineraires n° III, settembre 1990, pag. 3 nota 2 – cit. in SI SI NO NO  30 novembre 2011 pag. 7).
Il bambino non saprà mai che i “nemici” di Gesù furono i capi del popolo ebraico e il popolo stesso, anzi, a pag. 47  si dirà che sarà Pilato a condannarlo alla croce mentre i capi del popolo, aiutati da Giuda, saranno responsabili soltanto della cattura. Niente che citi la richiesta del Sinedrio: “Crucifige, crucifige eum… Nos legem habemus et secundum legem debet mori quia Filium Dei se fecit” (Gv. 19, 6/7 ). Non sta, infatti, bene, nel clima di armonia instaurato dalla Gerarchìa con l’Ebraismo mondiale, a cui i papi postconciliari hanno riconosciuto il persistente possesso dell’alleanza, sollevare e mostrare la verità. Ipocrisìa allo stato puro e sacrilego.
    

Pag. 9 -  Attività. “Confronta il disegno della sinagoga con la foto di una chiesa”. 

Gli autori, se avessero avuto a disposizione spazio maggiore nella pagina  avrebbero senz’altro riportato la foto dell’osceno baraccone massonico di San Giovanni Rotondo o quella rosicruciana di Padernone (Bs), o quello scatolone di Foligno e  tante altre, nate dalla mente di architetti atei, massoni, gnostici.
    

Pag. 12 – IL NATALE NELL’ARTE. “Ti presentiamo l’opera di un artista francese che si chiama Jean Marie Pirot, ma che si fa chiamare 'Arcabas'”. 

Gli autori, probabilmente imbarazzati dalla scelta in un patrimonio ricco di capolavori, hanno preferito indicare ai bambini un esempio di arte, se così  può nominarsi, la cui cifra stilistica e semantica è la deformazione della persona umana di deciso stampo gnostico. Dato atto che le figure di Maria e di Gesù Bambino esprimono, tuttavia,  e rispettano, nella semplice formalità di un disegno ordinario, i canoni estetici del decoro, quella di Giuseppe si appresenta tale e quale un incubo, orrido e spettrale che, lungi dall’assicurare tranquillità alla madre e al bambino, sembra incutere terrore in quella allucinata e tetra luce, gettata da una candela, che crea rossi barbagli accecanti e ombre nere  sullo sfondo e su un corpo simile più a un ritaglio di foglio che a una persona in proiezione tridimensionale. Bosch o Balthus non avrebbero fatto di meglio. Luca parla di luce che, dal cielo, illumina la stalla mentre qui, in questa immagine, ci si imbatte in un’oscurità che rammenta l’inferno. Manca, infatti, la stella. Dicevamo, sopra, che gli autori si son sentiti “probabilmente” imbarazzati nello scegliere da una quantità di capolavori tra i quali, citiamo la “natività” di Gherardo delle Notti (Gerrit van Honthorst),  pregevole lavoro di pietà e di tecnica compositiva.
Imbarazzati? Tutto ci autorizza a pensare che questa loro sia stata una scelta ideologica. De hoc satis.
   

Pagg. 16-17 – I VANGELI. “Ci si può fidare di quello che raccontano i Vangeli? Sono storia o favolette?” 

Gli autori, dopo aver escusso i più noti documenti comprovanti l’esistenza storica di Gesù e, quindi, per derivazione logica accertata la veridicità del racconto evangelico, se ne escono col “dubbio cartesiano”: ma ci si può fidare di quei racconti?
Essi non scrivono: ci si può credere? No: ci si può fidare?
Poi, quasi per tranquillizzare il pupo, continuano con “ecco qualche buon motivo per prendere sul serio i Vangeli”. Linguaggio e lessico a parte, ci sembra quanto meno inopportuno questo saltabeccare dal  dubbio alla certezza, dall’interrogativo all’affermativo che, in definitiva, si risolve nella dispersione dell’attenzione e della compattezza di pensiero.
Il Cristianesimo nasce dall’incontro [più vero dire: chiamata – nostra nota]di un gruppo di persone con Gesù di Nazareth che nacque in Palestina, predicò in Galilea e in Giudea, fu condannato a morte e crocifisso sotto Ponzio Pilato e, in base alle testimonianze dei suoi discepoli [500 secondo San Paolo – nostra nota], resuscitò da morte… questi libri [i Vangeli] narrano la storia” (Josè Miguel Garcìa – La vita di Gesù - nel testo aramaico dei vangeli – ed. BUR 2005 pag. 311). I Vangeli sono storia e storica è dunque la Resurrezione di Cristo. 

Alla pag. 17, poi, sotto la scheda d’ogni singolo vangelo, si riporta la data presunta di compilazione:  Marco, 60/70 d. C. -  Matteo, 70 d. C. – Luca, 80 d. C. – Giovanni 90 d. C. 
La verità, che recenti studii han posto in evidenza e un qual certo criterio filologico ne postula la fondatezza, è ben altra. I Vangeli sono stati scritti tutti prima del 70, anno della distruzione di Gerusalemme ad opera delle legioni di Tito ed inizio della diaspora. Se i Vangeli fossero stati compilati dopo quella data, inevitabilmente gli autori sacri  avrebbero riportato, più che come  semplice notizia, l’avvenuta  distruzione della città e del Tempio dacché Gesù  ne aveva preannunciata la fine in termini assai precisi e terrificanti. E’ semplicemente assurdo e impossibile  che, dopo quanto di questo si legge –Mt. 24, 15/28 ; Mc. 13, 1/8 ;  Lc. 21, 1/24 – sia calato il silenzio proprio sull’avverarsi d’una profezia così precisa e grave.
    

Pag. 33 – In basso pagina, a sinistra, alla voce ATTIVITA’ si legge: “Fai alla lavagna, insieme ai compagni, un brainstorming sulla parola 'Chiesa'”. 

Becero sfoggio di anglomanìa – e te pareva! - quel brainstorming, quasi che “ricerca di gruppo” valga meno detto in idioma italico. Ma  ciò dimostra come l’inquinamento bastardo che, da decenni, la lingua italiana subisce, sia supina acquiescenza a un Ordine Mondiale che impone, tra le tante condizioni, anche l’uso di un linguaggio unico: l’inglese. Edizione moderna dell’antico tentativo di Babele.
Recenti statistiche dicono che, dal 2002 al 2012 l’afflusso di termini inglesi, penetrati nella lingua di Dante e di Manzoni, è cresciuto di ben 8 volte. A ludibrio e vergogna degli italioti che vezzeggiano esterofilo. Ma è alle viste anche l’arabo…
    

Pag. 34 – GLI ATTI DEGLI APOSTOLI

Si legge che il testo è stato composto, probabilmente, intorno all’80 d. C.  Noi, anche per questo rilievo, rimandiamo a quanto scritto sui Vangeli riguardo la distruzione di Gerusalemme. E’, infatti, noto che il testo si ferma agli avvenimenti del 62/63 d. C. e a monte di ciò “sta il fatto che il silenzio di avvenimenti posteriori (al 63) non permette di procrastinare oltre quella data la compilazione degli Atti che, al massimo nei primi mesi del 64, dovettero essere licenziati al pubblico” (Sacra Bibbia – ed. Paoline 1964 pag. 1154).
    

Pag. 36 -  MARIA, LA MAMMA  DI GESU’. Vi si legge, alla finestraCuriosità. “Maria: lo sai che è molto rispettata anche dai musulmani?”. 

Ma che bello quel “lo sai?”e, soprattutto, assai invitante quell’“anche”. Eppure sappiamo che, dall’Islam,  il Figlio di questa tanto rispettata Madre vien definito “cadaverino”, “obbrobrio” e, come tale, fatto cacciare  da tribunali, scuole, ospedali, uffici pubblici e financo proibito come personale segno esterno.  In pratica si sorride alla Madre ma si prende a schiaffi il Figlio.
Ed anche un bambino capirebbe che  siffatto comportamento mal s’accorda col termine “rispetto”. Ma si tace. E, poi, quale relazione  possa collegare ilrispetto degli islamici alla nostra iperdulìa mariana – massima venerazione – è questione che gli autori non spiegano. Ma intanto, per afflato conformistico e spinta ecumenistica, dicono che, anche presso l’Islam, Maria è figura “rispettata”.

    

Pag. 45 – “Il successore dell’apostolo Pietro, il Vescovo di Roma, è chiamato “Papa” (cioè “padre”), oppure, “pontefice” o “Santo Padre”.   

Sembra che gli autori, con questa sequenza di titoli, abbiamo profeticamente  annusato lo stile del futuro papa, Francesco I il quale, come è noto, usa definirsi “Vescovo di Roma”. Sparita la connotazione metafisica di “Vicario di Cristo”. Si osserva, in questo elenco, come la dignità del Papa sia decaduta lungo il  piano inclinato del democraticismo sicché, da espressione del potere più alto conferito all’uomo, “primus inter omnes” siamo giunti all’omologazione di un “par inter pares”.
Gli autori, poi, senza spiegare il “primato petrino” e il meccanismo della conduzione della Chiesa, informano grossamente il fanciullo che il papa la guida insieme ai vescovi. E’ il trionfo della collegialità orizzontale.
    

Pag.  52  -  DALLE BASILICHE ALLE CATTEDRALI -  Curiosità: “L’idea che volevano esprimere (le chiese di stile romanico) era che il rapporto con Dio si realizza soprattutto attraverso l’impegno nel lavoro e nelle attività terrene”.  

Qui, signori miei, siamo in pieno calvinismo. Non conta, per gli autori, che Gesù ammonisca: “Non affannatevi dunque dicendo: che cosa mangeremo? che cosa berremo? che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani, il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima  il  regno  di  Dio e  la sua giustizia, e tutte  queste cose vi  saranno  date in  aggiunta” (Mt. 6, 31/34), non conta che San Benedetto abbia riassunto la regola dell’Ordine nel motto “Ora et labora” laddove il pregare è premesso al lavorare.
Che nel lavoro debba innestarsi la testimonianza della fede in Dio per esserne santificato – e le maestranze romaniche o gotiche ne erano consapevoli -  è del tutto corretto ma non è corretto scrivere che il rapporto con Dio lo si realizza “soprattutto” nel lavoro e nelle attività terrene. E’, questa, la deriva antropologico/marxista a cui la Chiesa postconciliare è giunta nell’intento di  dialogare col mondo e situarsi in  esso per allacciare un rapporto di collaborazione e di cameratesca comprensione, dato che la “conversione è  una sciocchezza” (parola di papa Bergoglio) e  non per caso la CEI è diventata una centrale sindacale vera e propria.
E’ l’utopìa giovanvigesimoterza  che presumeva di convertire il mondo andandoci a braccetto, col risultato d’esserne stata catturata, analogamente a quanto spiegato dal detto:  “Graecia capta ferum victorem cepit” (Orazio:  Ep. 2, 1, 156) -  la Grecia catturata  fece prigioniero il crudo vincitore.

Pag. 54 – I MONACI. “Monachesimo. Modo di vivere ritirati dal mondo per dedicarsi totalmente a Dio”. 

Definizione corretta che raddrizza quanto affermato a pag. 52.  Ma, non si sa perché, gli autori, nella pagina successiva – la 55 - alla voce ‘Attività’ pongono un’osservazione: “I monaci non esistono solo nella religione cristiana, ma anche presso i buddisti e gli induisti: cerca delle immagini e confrontale”.
Tale informazione, offerta al fanciullo che poco prima ha imparato essere, il monaco, persona ritirata e dedita a Dio, fa passare la sottile e subdola idea che Buddha e  la Trimurti siano “Dio”. Un messaggio, come si vede, che nelle pagine successive sarà amplificato con l’apoteosi della religione universale. E, visto che c’erano, potevano, gli autori, includere nel monachesimo anche quelle controfigure che si ritrovano nella comunità di Bose ove, l’autoproclamatosi “priore”, il “fratel” Enzo Bianchi ha realizzato il conglomerato del più spettacolare eretico  e melmoso sincretismo, vera accolta di tutte le distonìe dottrinarie a sfondo gnostico mondialista. Raccomandiamo ai lettori di riguardarsi l’articolata e acuta apostrofe  santamente mossa  da mons. Antonio Livi a questo esemplare di pseudo-frate.

Pag. 56 – I FRATELLI ORTODOSSI. “Divergenze teologiche e accuse reciproche accrebbero tale separazione fino a provocare lo scisma nel 1054: la cristianità occidentale prese il nome di Chiesa cattolica, la cristianità orientale divenne la Chiesa Ortodossa”.  

E’ questo il primo e forte camuffamento della realtà e della gravità dello scisma. La faccenda, legata al rifiuto del “Filioque” da parte di Michele Cerulario, praticone di corte fatto patriarca di Bisanzio, nel 1043, dall’imperatore Costantino IX Monomaco, non può essere liquidata come una “divergenza” dacché negando la processione dello Spirito Santo “dal Padre e dal Figlio” si nega il dogma della S. S. Trinità. Gli autori, però, possono ben dire di essere autorizzati ad attenuare e svalutare questa vicenda dato che lo stesso Mons. Angelo Roncalli – il futuro Giovanni XXIII -  delegato Apostolico in Bulgaria nel 1926, la considerava né più né meno che una quisquilia, una carabattola se è vero, come dicono i documenti che, richiesto da un giovane seminarista ortodosso bulgaro desideroso di entrare in seminario cattolico, amabilmente invitò lo stesso a rimanere nella propria chiesa scismatica non esistendo particolari differenze tra le due confessioni. 

Cattolici e ortodossi non sono nemici, ma fratelli. Hanno la stessa fede, partecipano agli stessi sacramenti, soprattutto alla medesima eucaristia. Ci separano alcuni malintesi intorno alla costituzione divina della Chiesa ( ! ) di Gesù  Cristo. . . lasciamo le antiche  controversie. . . più tardi, benché partiti da vie diverse, ci si incontrerà nella Unione delle Chiese per formare tutti insieme la vera ed unica Chiesa di Nostro Signore Gesù Cristo” (lettera del 27 luglio 1926 a C. Morcefki in : Francesca della Salda  “Obbedienza e pace / il vescovo A. Roncalli tra Sofia e Roma – 1925/1934” Ed. Marietti, 1989, pag. 48/49 – Citato in “ Sac. Andrea Mancinella: 1962 RIVOLUZIONE NELLA CHIESA -  ed. Civiltà, Brescia 2010 pag. 78 ). 
Negare la Processione dello Spirito Santo è, per il vescovo Roncalli –  prossimo santo - un “malinteso”, lo scisma non  punto di rottura di una precedente unità ma  momento di partenza da vie diverse, la questione dello Spirito Santo taciuta a pro’ di  “malintesi intorno alla costituzione divina della Chiesa”, la Chiesa Cattolica non  vera Chiesa  ma una delle tante che, una volta convenuta e confluita con le altre, formerà, allora sì, la Chiesa di Cristo. Sembra di ascoltare un G. M. 33.
Sicché, alla luce di simili dichiarazioni, non è difficile concludere  perché  un Concilio, da lui indetto come pastorale, ne abbia, nel corso del suo svolgimento, demolito il dogma, annacquandola nel “subsistit”. E si capisce perché, in questi  due libri in esame, soltanto due volte, la prima in questo passo, la Chiesa unica di Cristo è detta “cattolica”.

Pag. 59 -  I FRATELLI PROTESTANTI. L’argomento è preceduto, a pag. 57 da un profilo di San Francesco d’Assisi con l’evidente scopo di avviare gli alunni, con adeguata melassa didattica, ai concetti di pacifismo, di accoglienza, di ecologìa e di fraternità, di unità nella diversità, concetti/totem  della moderna teologìa arcobaleno, e traghettarli verso la comprensione e l’accettazione del protestantesimo quale “chiesa” separata, sì, ma facente parte di quella di Cristo.  Come si accordi tutto ciò con la logica è un mistero! 

Lutero non è, qui, colui che ha scisso la tunica inconsutile di Cristo, non è  lo smodato “porcus Saxoniae”, il violatore di suore, il carnefice di contadini o l’ex frate agostiniano omicida in gioventù e suicida in morte. Qui, è colui che, con l’aura del ribellismo intellettuale, “giunse a negare alcuni principii importanti del cattolicesimo”. E di Enrico VIII Tudor, l’anglicano, si tacciono le mattanze di frati, suore e cattolici, per una forma di  voluttà, ubriaca del nuovo clima di ipocrita fraternità.

Pag. 61 -  UN CONCILIO… PER CAMBIARE. Si parla del Concilio di Trento, delle riforme apportate, degli arricchimenti spirituali della Chiesa e  dei contrasti con i protestanti. Cioè. Le guerre di religione.

E quale sarà l’illustrazione in tema? Non qualche immagine di santo o di taluna grande istituzione. No, perché, naturalmente, viene riportata, quale esempio, la “strage di San Bartolomeo” del 23/24  agosto 1572,  condotta dal re di Francia Carlo IX e dalla madre Caterina de’ Medici, e conclusa con l’uccisione di migliaia di ugonotti. Gli autori, per una sindrome di eterna colpa, continuano a pestare sulla solita storia dimenticando, però, che non molto prima del 1572, ed esattamente dal 1560, gli ugonotti avevano iniziato una sistematica e prolungata campagna di eliminazione fisica dei cattolici, di cui  evento di forte risonanza era stata la “strage di San Remigio” – 31/8/1567 -  quando, nel vescovado di Nimes, furono catturati e trucidati 72 fra religiosi e laici, e i loro corpi gettati nei pozzi della zona. Né vanno dimenticate le sanguinose “michelades”, carneficine di cattolici condotte dai protestanti, sempre in quel periodo, nella festa di san Michele aizzati da un Lutero che aveva incitato “ad estirpare con le armi l’intero cancro della Sodoma di Roma, ad uccidere i cattolici e a lavarsi le mani nel loro sangue”.
Furono gli anticipi delle “noyades” di Nantes, gli annegamenti in massa di migliaia di cattolici vandeani, legati mani e piedi e gettati nella Loira, con cui i giacobini, più tardi, 1793, sfogarono con ferocia l’odio contro il cattolicesimo; furono gli anticipi dei massacri compiuti dal cialtrone dei due mondi, il massone Giuseppe Garibaldi, nei giorni nefasti della Repubblica Romana del 1848, allorché, insieme al suo luogotenente, il tagliagole  Callimaco Zambianchi,  scannò decine e decine – oltre 50 - di frati e suore del convento di Santa Sabina e San Callisto (Patrick Keyes O’ Clery: La rivoluzione italiana – ed. Ares 2000 pag. 216 ); furono gli anticipi delle distruzioni apocalittiche di Montecassino e delle cattoliche città come Dresda, Hiroshima e Nagasaki. Insomma, si continua con le leggende nere, con i sensi di colpa e con una CEI prolassata e presa da beghe materiali, che concede il “nulla osta” a libelli di sì omertosa e cialtronesca idealità.

Pag. 70  – “ BEATI…”. 

Ecco finalmente l’apoteosi della santa laicità e della laica santità!
Compreso tra un elenco di beati e di santi: Marcello Candia – Massimiliano Kolbe – Piergiorgio Frassati – Charles de Foucauld –  Martino di Tours – Gianna Beretta Molla –  Lucia – Mons. Oscar Romero – don Pino Puglisi – chi c’è? Se dovessimo lanciare un concorso tra i lettori siam certi che sarebbero legione quelli bravi ad azzeccare. Ma c’è, ovviamente,  Mohandas  Karamchand  Gandhi, il “mahatma”: grande anima.
Naturalmente, gli autori reputano la morte del personaggio, ucciso perché propugnatore e difensore della indipendenza indiana – causa nobile ma umana -  una testimonianza di fede, un vero martirio.
Noi vorremmo portare alla tribuna il grande dottore della Chiesa,Sant’Agostino che, in proposito, così si esprime: 

1 - Non fa diventare martire la pena, bensì la causa… 3 - Bisogna distinguere chi soffre e per chi egli soffre, e in particolare saranno veri martiri se lotteranno per la verità, che è CRISTO, e allora riceveranno il giusto premio” ( Discorso 94/A – Sul martirio di Giovanni Battista e sulla persecuzione che debbono sopportare i cristiani anche in tempo di pace). 
Il santo Dottore altro non afferma se non quanto Gesù ha predetto ai suoi discepoli: “Vi perseguiteranno… a causa del mio Nome. Questo vi darà occasione di rendere testimonianza (eis martyrion )… sarete odiati da tutti per causa del mio Nome (dià to ònoma mu )” (Lc. 21, 13-17 ).
Solo in questi termini, nel nome di Gesù, si può parlare di martirio. Dobbiamo, perciò, denunciare questa illecita commistione di santità laica che, pur degna di ammirazione e di rispetto, è del tutto estranea al profilo che, del martirio, la Chiesa ha fissato e reso unico. Ne consegue che, deviando, come fanno gli autori, dal rigo del canone, si crea nella mente del fanciullo la convinzione che ogni morte, subìta per  qualsiasi causa buona, possa essere compresa nell’ambito del martirio. Il quale, infine, stante l’etimologìa, significa: testimonianza. Sì, ma della fede in Cristo.

Pag. 71 - …I SANTI: STELLE CHE BRILLANO. Gli autori stilano, in questa pagina, il criterio con cui vien facile distinguere i santi. Ed ecco il parametro: “Essere santi non significa realizzare qualcosa di straordinario e lontano dalla vita di tutti i giorni, bensì impegnarsi seriamente nelle cose quotidiane (in famiglia, nello studio, nel lavoro, nelle attività sportive, ricreative o di volontariato) cercando di testimoniare l’amore verso Dio e verso il prossimo… Tutti possono essere santi”. 

Banalità simili non ce le saremmo aspettate da studiosi, quali si pregiano d’essere gli autori.
Che la pratica di una vita, condotta nell’osservanza della legge di Dio e nella fede in Lui, mediante il lavoro e i doveri, possa meritare la salvezza è dottrina corrente e acclarata. Ma la santità vera e propria, riconosciuta e venerata, è tutt’altro. Basta gettare uno sguardo, anche distratto, su San Francesco, su Santa Teresa di Lisieux, su Santo Stefano, su San Pio da Pietrelcina, ecc. per comprendere quanto non sia affatto sufficiente, a diventar santi, svolgere per bene il lavoro o l’attività sportiva.
La Santa Chiesa ne ha stabilito a scanso di equivoci, nella sua bimillenaria storia, criteri e segni di particolare chiarezza come, ad esempio, la morte per martirio, la pratica di virtù eroiche e la concessione di un miracolo per  intercessione. Una santità generica, quale quella che gli autori segnalano, con l’affermazione “tutti possono essere santi”, facilmente deborda verso la  dottrina protestante, calvinista e luterana  che, per l’appunto, non riconosce la canonicità dei santi proclamati dalla Chiesa, identificando, invece, con “santo” ogni qualsiasi credente tale “soltanto per grazia di Dio”.
Peraltro, c’è da tenere  in debito conto  quanto, a proposito, Gesù precisò: “Molti sono chiamati, ma pochi gli eletti” (Mt. 22, 14).

Pag. 72 – CRISTIANI IN DIALOGO. I protestanti, scrivono gli autori, da “nemici” sono diventati “fratelli separati”, e legittimano questa affermazione con l’autorità di Giovanni XXIII. Dopo un breve panegirico del dialogo ecumenico, così concludono: “La Chiesa cattolica abbraccia con fraterno rispetto e amore quelli che appartengono alle comunità separate poiché sono con Lei in comunione sebbene imperfetta”. 

Intanto ci sembra superficiale, ma astuta, l’adozione del termine “appartengono”, come se questo sia l’espressione di un ovvio modo d’essere, di uno stato naturale  e non la conseguenza d’una ribellione, e scorretto quel “poiché” messo lì, quasi sigillo di un discorso precedente da cui  debba discendere quanto in seguito asserito. E, poi. L’abbraccio fraterno  e amorevole presuppone che l’errante sia rientrato nell’ovile, cosa che non risulta ad alcuno.
Il padre abbracciò ed accolse il figlio prodigo solo quando questi ritornò a lui, contrito e pronto ad accettare l’umiliazione. Ma consideriamo: se la comunione è imperfetta, non si dà logica che possa includerla, tuttavia, nella “comunione” vera e propria, quella nella Chiesa cattolica. O la cosa è perfetta o non lo è. Un detenuto, pur appartenendo alla specie umana, non è in perfetta comunione col mondo dei liberi. Lo sarà allorché rientrerà dopo l’espiazione della pena. Così possiamo dire di tutti gli scismatici che, senza attenuazione lessicale, sono dei detenuti nel peccato. Solo riconoscendo la colpa d’origine e, rientrando nell’unica Chiesa di Cristo, quella di Pietro, potranno dirsi in perfetta comunione. Pertanto, quel “sebbene” – tipico linguaggio vaticanosecondo, circiteristico e  basculante – non sana una situazione che, de jure e de facto, è scismatica.
Non aveva, Gesù, parlato dei tralci e della vite? Non aveva detto esplicitamente che ogni tralcio, che non dà frutto, viene staccato? Non aveva detto che i rami secchi verranno bruciati? Non aveva ribadito che solo in Lui e in Lui rimanendo, possiamo dirci suoi discepoli? (Gv. 15, 1/8). Non  disse, forse, che “Chi non è con  Me  è contro  di  Me, e chi  non raccoglie con  Me, disperde”? (Mt. 12, 30) e non disse a Pietro “Su questa Pietra edificherò la mia Chiesa”? (Mt. 16, 18). Quando Gesù afferma il ME, la MIA CHIESA, afferma in modo categorico  l’esclusività della  Chiesa cattolica, fuori della quale non c’è salvezza. Ad onta di quanto possano pensare le anime candide alla Giacomo Canobbio.

Pag. 73 – CREDENTI IN DIALOGO: proclamazione del deismo ed esplosione della cialtroneria e del dolo. 

Si apre con l’apologo dell’elefante, che già Don Curzio Nitoglia ha analizzato con sottigliezza e severità. Per i lettori che ci seguono, lo riassumiamo per somme linee. In un villaggio di ciechi arriva, su un elefante, un  re. L’ animale, naturalmente, è a loro sconosciuto. Chi ne tocca la coda, chi le zanne, chi la proboscide, chi le zampe, chi la pancia. Sicché ciascuno ritiene essere l’elefante ciò che ha toccato. Il solito saggio spiega loro che l’elefante è l’insieme di tutte le parti toccate. Ognuno, a ragione, ne ha avvertito una parziale verità. Il subdolo trasferimento sul territorio teologico porta a dimostrare, agli alunni, che Dio è presente in ogni religione poiché esse sono, anche e soprattutto singolarmente, proiezione e manifestazione di Lui. E così, gli autori, con questa sineddoche – la parte per il tutto - credono di aver dimostrato la liceità e il valore di tutte le religioni così come il “culturalmente corretto” impone.
Il Dio della Rivelazione, per costoro, è anche il dissoluto Shiva, è il Tao, è il Brahman, è il Karma, è lo sciamanico e satanico spirito degli antenati. E’ tutto meno che “cattolico”, così come infelicemente papa Bergoglio ha ammesso, confessandosi a quel papa laico che è Eugenio Scalfari.
Si predispone, quindi, tutto il discorso successivo per inondare gli alunni di nozioni che, in un corso di religione “cattolica”, sono del tutto inopportune ed inquinanti. Un corso di storia delle religioni che porterà inevitabilmente gli alunni a erronee ed eretiche future derive. Ci viene alla memoria l’ammonimento forte del Signore degli eserciti: “Quando il Signore, Iddio tuo, t’avrà introdotto nel paese al quale sei diretto… demolite i loro altari, spezzate i loro cippi, abbattete i tronchi raffiguranti Ascera, date alle fiamme i loro idoli” (Deut. 7, 1/5) e la sua inequivocabile severità. Ma gli autori di questa strada fra le stelle han deciso che la parola di Dio, con l’introduzione della democrazia nella Chiesa, non sia più valida per lo “spirito del tempo”. A lode e gloria di Kant, Hegel, Cartesio, Rahner, Martini, Forte, Paglia, Mancuso e Scalfari.

Le pagine successive - PER CAPIRSI MEGLIO - illustrano, con esaltato buonismo ed enfasi commossa, Ebraismo, Islam, Induismo, Buddhismo, Animismo/Religioni (!) tribali, con straripante  abbondanza di informazioni sui templi sacri – gli uomini di Dio (compreso il monaco buddista) – i testi sacri – i luoghi sacri – le regole – le preghiere – i simboli
E, in riferimento a questo ultimo tema – il simbolo – gli autori, con palese ignoranza e sciatteria, vi collocano anche la “Croce”, che, contrariamente al simbolo che oscilla sul versante ambiguo del negativo/positivo, si pone come “segno” distintivo, come unico ed univoco riferimento sacro davanti al quale anche il demonio fugge.
A seguire, nelle pagg. 86/87, la presentazione dei “libri sacri”e i testi delle preghiere, di tutte le preghiere, compresa quella cattolica di cui si cita non ilPater noster – la preghiera per eccellenza - ma un brano dell’Ave Maria.
Osserviamo, a proposito di questa antologia eucologica, come gli autori siano arrivati in ritardo. Già nel 1989, nei libretti per le cerimonie della “Domenica delle Missioni” di Aix-la Chapelle e di Monaco, letti in tutte le chiese della Germania, si riportava la seguente preghiera:

    Che Tu sia benedetto Signore, Dio d’Israele,
    Tu conduci per terreni impervi
    Tu liberi dalla schiavitù e dall’oppressione,
    Tu prometti un mondo nuovo.
    Che Tu sia benedetto Signore, Dio di Maometto,
    Tu sei grande e augusto,
    Incomprensibile e inaccessibile,
    Tu sei grande nei tuoi profeti.
    Che Tu sia benedetto Signore, Dio di Buddha
    Tu abiti nelle profondità del mondo,
    Tu vivi in ciascun uomo,
    Tu sei la pienezza del silenzio.
    Che tu sia benedetto Signore, Dio dell’Africa,
    Tu sei la vita negli alberi,
    Tu sei la forza del padre e della madre,
    Tu sei l’anima del mondo.
    Che tu sia benedetto Signore, Dio di Gesù Cristo,
    Tu ti offri nell’amore,
    Tu ti dai nella bontà,
    Tu vinci la morte. 
(cit. in “La teologia di GP II e lo spirito di Assisi” – J. Dorman - I v. pag. 3 – Ed. Ichthys.

Non v’ha chi non colleghi questa ultima strofa con lo strano libro, scritto dall’emerito papa cardinal Ratzinger “Il Dio Di Gesù Cristo – ed. Queriniana” in cui sembra formarsi l’idea che Gesù, vero Dio perché Seconda Persona della Trinità, abbia invece sopra di sé un altro Dio. Ambiguità non da poco.

Accenniamo, di passaggio alle pagine 94/95 ove, con stolida e fuorviante creatività, gli autori buttan giù un racconto che ha per protagonisti gli “extraterrestri” i quali, more solito, intenzionati ad invadere la terra, se ne astengono perché i loro ambasciatori, andati in avanscoperta, riferiscono che sulla terra tutti gli abitanti si amano, si rispettano, intendono essere e rimanere uomini, vogliono essere liberi di annoiarsi, di ridere, di arrabbiarsi. Sono, insomma, saggi. Diversi uno dall’altro ma tutti con cuore, testa, mani, piedi, cuore. E ciò, grazie – sembra intendersi – alla saggezza che spira da questi due testi. 

Al di là della sciapa e insulsa trama dove l’umanità vive un’età dell’oro, ciò che a noi appare deleterio è il ricorso ai cosiddetti, inesistenti extraumani che, nella moderna produzione letteraria e filmica, si connotano in larga parte per magìa e  violenza. Ciarpame della più becera fantascienza, per non  dire che, con tale didattica, si inocula l’insensata convinzione di un universo abitato da altri esseri intelligenti, con conseguente demolizione del dogma dell’unicità della Creazione dell’uomo e dell’Incarnazione di Cristo.

Ecco: un guazzabuglio melmoso, appiccicoso e, soprattutto, velenoso che, con fare e dire suadente, entra e pervade le semplici e candide menti dei piccoli predisponendo in essi i meccanismi per una futura apostasìa o per una visione darwinista, olistica e  panreligiosa.
Insomma: invece di ottemperare al comandamento di Gesù e al preciso incarico di approntare, per i docenti interessati, testi di “religione cattolica”, gli autori, confezionando un vero corso di “religioni comparate”, han preferito  obbedire alle istanze di una cultura mondialista e  massonica che tutto riduce all’immanenza e al senso di una fratellanza sciropposa, quale quella propugnata dall’ONU, disobbedendo colpevolmente a Dio. Ma saremmo stati anche disposti ad accettare questa impostazione solo che vi avessimo letto un benché minimo cenno di vis apologetica, solo che le differenze tra induismo e cattolicesimo, ad esempio, fossero state esposte con chiarezza evidenziando l’inconciliabilità tra Shiva e Cristo e la tinta satanica di quel pantheon. E’ un completo inno alle somiglianze e alle interazioni talché anche le poche difformità accennate diventano congrua e innocua idealità nel magma dell’ecumenismo irenico.

Taluni autori e cronisti martellano, da diverso tempo, l’opinione pubblica sostenendo che la figura e la pastorale di papa Bergoglio han prodotto un massiccio ritorno alla preghiera e al confessionale. Questi “normalisti”  - gli Introvigne, i Caverzan, i redattori della Nuova Bussola quotidiana  - non si rendono conto che la pastorale e la dottrina di questo papa, del tutto parallela ai testi che abbiamo esaminato, potrà forse riportare nelle chiese coloro che ne erano usciti, ma sulla qualità della loro fede, stando al presente clima culturale che sigla questi ritorni, il dubbio è legittimo.
 
Ma “Non praevalebunt” perché, come bene afferma anche il poeta “Vendetta di Dio non teme suppe” (Pg. XXXIII, 36), il castigo di Dio non conosce dilazioni od ostacoli.

NEQAM  ADONAI !!!

di L. P.

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