ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 15 gennaio 2014

Oggi non l'avrebbero MAI fatto nemmeno cardinale..!



LEVAZIONI D’ANIMA: “Se non provi dispiacere per i peccati tuoi e degli altri, non ami Dio” – di San Roberto Bellarmino


Il fuoco è un elemento tanto puro e nobile, che Dio stesso volle appellarsi fuoco, come disse Mosè: «Il nostro Dio è un fuoco consumatore» (Deut. 4, 24). E la prima volta che apparve a Mosè, si fece vedere in un roveto che ardeva e non si consumava. «Apparve il Signore – scrive Mosè – nella fiamma del fuoco in mezzo al roveto: e vedevo che il roveto ardeva senza consumarsi» (Ex. 3, 2). E quando Dio volle dar la legge al suo popolo, venne in forma di fuoco, come racconta lo stesso Mosè: «Tutto il monte Sinai fumava perché il Signore era apparso sopra di esso nel fuoco» (Ex. 19, 18).

Parimenti quando si trattò di promulgar la legge nuova, lo Spirito Santo apparve agli apostoli in lingue di fuoco. Finalmente, gli Spiriti celesti che stanno più vicini al Signore sono chiamati Serafini, cioè ardenti od infuocati, perché partecipano più da vicino dell’ardentissimo fuoco che è Dio.
Stando così le cose, non sarà difficile a noi, dallo studio della natura e dalle proprietà del fuoco, formarci un gradino per ascendere colla meditazione e la contemplazione sino a Dio.
Ci sarà senza dubbio più facile salire a Lui sul cocchio ardente di Elia, che spiccare il volo dallo studio della terra, dell’acqua e dell’aria.
Accingiamoci dunque a considerare le proprietà del fuoco.
Il fuoco è di tale natura da operare in modo diverso e anche contrario sui vari oggetti. Divora immediatamente la legna, il fieno, le stoppie; rende più puri e più belli l’oro, l’argento, le pietre preziose.
Il ferro poi, per sua natura nero, freddo, duro e pesante, lo trasforma in guisa da renderlo in breve tempo lucido, pieghevole, leggero; lo fa risplendente come le stelle, bruciante come il fuoco, liquido come l’acqua e docile tanto che il fabbro ferraio può dargli la forma che più gli piace. Tutte queste cose servono benissimo a sollevar il nostro pensiero a Dio. In primo luogo, la legna, il fieno, le stoppie, secondo l’Apostolo, sono figura delle opere cattive che non possono resistere al fuoco del divino giudizio (I Cor. 3, 12). È incredibile quanto i peccati dispiacciano a Dio che è fuoco purissimo, e con quanto zelo Egli li consumi e distrugga, se il peccatore sia in stato di pentirsene. Il pentimento cancella tutti i peccati.
Che se il peccatore non è in stato di pentirsi, come sono i demoni ed i dannati; l’ira di Dio si rivolge contro di loro che dice il Savio: «Sono in odio a Dio l’empio e la sua empietà» (Sap. 14, 9). Quanto poi sia grande e veemente quest’odio, lo dimostra il diavolo il quale dopo il peccato, benché fosse Angelo nobilissimo anzi, come pensa S. Gregorio, Principe del primo ordine degli Angeli, e la più nobile creatura di Dio, fu immediatamente cacciato dal cielo, spogliato di ogni bellezza di grazia soprannaturale, cangiato in creatura mostruosa e condannato alla pena eterna.
Lo dimostrò Gesù Cristo il quale discese dal cielo per distruggere l’opera del diavolo, cioè i peccati, e perciò è detto l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo.
Ma chi può immaginare quanto Cristo abbia patito per distruggere l’opera del diavolo e dar piena soddisfazione alla giustizia di Dio? «Essendo nella forma di Dio (cioè vera ed espressa immagine del Padre, Dio come il Padre e lo Spirito Santo) non credette che fosse una rapina quel suo essere eguale a Dio; ma annichilò se stesso, presa la forma di servo» (Phil. 2, 7) ed «essendo ricco, si fece povero per noi» (II Cor. 8, 9); non ebbe dove posare il capo, Egli che creò il cielo e la terra; «venne nella sua casa ed i suoi non lo ricevettero» (Jo. 1, 11); «maledetto non malediceva, strapazzata non minacciava, ma si rimetteva nelle mani di chi ingiustamente lo giudicava; portò egli stesso nel proprio corpo sopra del legno (della croce) i nostri peccati» (I Petr. 2, 23-24); «umiliò se stesso fatto obbediente sino alla morte e morte di croce» (Phil. 2, 8) e «colle sue piaghe ci ha sanati» (I Petr. 2, 24). Beffeggiato, sputacchiato, flagellato, coronato di spine, inchiodato sulla croce con massimo disonore e dolori acerbissimi, diede fino all’ultima goccia il sangue e con esso la vita.
E tutto ciò per disfare l’opera del diavolo e per cancellare i nostri peccati.
Quanto il peccato spiaccia a Di, ce lo dice anche la sua legge che proibisce e punisce ogni trasgressione e non lascia senza castigo nemmeno una parola oziosa. E se non può sopportar una parola oziosa, quanto non odierà i delitti e le scelleratezze? La legge di Dio immacolata e il comando del Signore senza ombre sono avversi alle macchie ed alle tenebre e non ci può esser relazione della luce colle tenebre e della giustizia con l’iniquità.
La gravezza del peccato si può anche arguire dall’inferno che Dio tien preparato agli empi ed ai peccatori che, pur avendo avuto la possibilità di lavarsi nel sangue dell’Agnello, o non lo vollero fare o trascurarono di farlo. Ed è giusto che durando in essi eternamente il peccato,anche il supplizio sia eterno. Quanto sia orrenda la pena dell’inferno, è una pena pensarlo. Ne riparleremo trattando dell’ultimo gradino.
Riflessioni e conseguenze.
Perciò, anima mia, essendo tanto grande l’odio che il Signore porta al peccato, se ami Dio sopra ogni cosa, devi anche sopra ogni cosa odiare il peccato. Bada di non lasciarti sedurre da coloro che diminuiscono la bruttezza del peccato e lo scusano; bada di non ingannare te stesso con false ragioni. Se non provi dispiacere per i peccati tuoi e degli altri, non ami Dio; e se non ami Dio sei perduta. Ma se ami Cristo, e non vuoi essergli ingrata, come ti devi sentir debitrice al suo amore! Se Egli ti ha lavata dal peccato e riconciliata con Dio, ti sarà grave da qui innanzi patir qualche cosa per Lui e per suo amore e colla sua grazia, resistere al peccato sino allo spargimento del sangue?
Se non potresti soffrir con pazienza il fuoco dell’inferno, non devi nemmeno poter soffrire il peccato; dovresti fuggire da esso, anzi da ogni sua apparenza, come dalla faccia del serpente. Tienti dunque ferma nel proposito di unire il massimo odio al peccato col massimo grado di amor di Dio.
Fonte: “Elevazione della mente a Dio” di San Roberto Bellarmino – trad. di Mons. L. de Marchi – Ist. Miss. Pia Soc. S. Paolo, pagg. 104-108 – 1940 Roma.
http://www.lucisullest.it/elevazioni-danima-se-non-provi-dispiacere-per-i-peccati-tuoi-e-degli-altri-non-ami-dio-di-san-roberto-bellarmino/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=elevazioni-danima-se-non-provi-dispiacere-per-i-peccati-tuoi-e-degli-altri-non-ami-dio-di-san-roberto-bellarmino

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.