ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 23 gennaio 2014

Scelesta turba


Riflessioni su alcuni aspetti della crisi della società moderna alla luce degl’insegnamenti del Concilio Vaticano II. 
DOCUMENTI e le allocuzioni papali degli ultimi decenni hanno spesso avuto come destinatari non solo i Sacri Pastori e per loro tramite il popolo cristiano, ma anche e – si potrebbe dire – specialmente i non cattolici, rispondendo ad un malinteso confronto con il mondo moderno, presto convertitosi in un’apertura alle idee del secolo ed in una sostanziale abdicazione al proprio ruolo di condurre tutti i popoli all’unica Chiesa di Cristo. E come questa nacque con la discesa del Paraclito sui Dodici e sulla Beatissima Vergine, così la nuova chiesa può dirsi nata con il Concilio Vaticano II, durante il quale lo spirito del mondo discese sui Padri conciliari [1].

L’assise romana – la cui denominazione di Concilio può essere accolta in quanto entrata nell’uso comune, come avvenne per quello di Pistoia negli anni che precedettero la sua condanna da parte di Pio VI – diede l’occasione a non pochi lupi travestiti non solo da agnelli, ma anche da pastori, di redigere una congerie inaudita di documenti, dichiarazioni, costituzioni ed istruzioni, la cui produzione fu pari alla loro inconsistenza teologica ed alla loro inefficacia disciplinare. Il Vaticano II fu l’unico “concilio” che seppe – grazie ad una serie di manovre, sotterfugi, trame e complotti dei modernisti – stravolgere il suo schema preparatorio, partorendo veri e propri capolavori di equivocità, quando non contenenti proposizioni eretiche o sospette d’eresia, le più audaci delle quali furono poi frettolosamente ricondotte ad una formale ortodossia con note previe o ristampe. 

Ha ammesso sfrontatamente quest’opera di vera e propria consorteria anche un campione del progressismo quale fu don Giuseppe Dossetti, all’epoca del Concilio scelto come esperto dal Card. Lercaro: 

«Abbiamo in qualche modo contribuito con la nostra azione precedente anche all’esito del Concilio. Si è potuto fare qualcosa al Concilio in funzione di un’esperienza storica [da me] vissuta nel mondo politico, anche da un punto di vista tecnico assembleare che qualcosa ha contato. Perché nel momento decisivo proprio la mia esperienza assembleare, sorretta da[l giurista Costantino] Mortati, ha capovolto le sorti del Concilio stesso. [Il cardinale Leo] Suenens mi disse un giorno: “Ma lei è un partigiano del Concilio!” Io agivo come partigiano. Ma a parte certi problemi tecnici, assembleari, eccetera, si portò al Concilio – anche se non fu trionfante – una certa ecclesiologia che era riflesso anche dell’esperienza politica fatta e della necessità di non impegnare la Chiesa nelle cose mondane, la Chiesa in quanto tale»[2].

E mentre i Concili della Chiesa si erano sempre distinti per la loro chiarezza nell’esposizione della verità, accompagnata dalla condanna degli errori ad essa contrari, il Vaticano II si guardò bene dall’insegnare alcunché di cattolico, e tanto meno dal formulare qualsivoglia condanna, presi com’erano i suoi fautori dalla smania di compiacere i Luterani, gli Ebrei, i pagani, i Massoni, gli atei, i Comunisti.

Questo comportamento non può non ricordare l’odioso servilismo dei Sommi Sacerdoti dinanzi al governatore Pilato, per i quali la forzata sottomissione all’Imperatore era preferibile al riconoscimento del Messia ed all’abdicazione dei loro privilegi, primo fra tutti il potere politico che la loro casta aveva usurpato. Allo stesso modo, la chiesa conciliare [3] ha rinnegato nuovamente e pubblicamente i diritti di Dio, facendo proprio il Non habemus regem, nisi Cæsarem dei loro fratelli maggiori [4] e condannandosi ad una servitù al limite della cortigianeria, le cui conseguenze non avrebbero tardato a manifestarsi, come non tardò per i capi della Sinagoga la distruzione del Tempio, per mano di un altro Cesare, nell’anno 70 dell'era cristiana.

I vessilli dell’armata ottomana conquistati a Lepanto vengono restituiti per smania di servilismo da un indegno successore di San Pio V; i pavimenti di un’antica basilica cristiana vengono donati per la costruzione di una moschea in Roma, quella Roma un tempo felix perché battezzata nel sangue dei Santi Apostoli Pietro e Paolo; la tiara viene deposta, non per abdicare al proprio orgoglio luciferino, ma per spodestare con enfasi la sovranità del Romano Pontefice sui Tre Regni e negare implicitamente al Papato la sua Regalità vicaria: tradidit in indignatione furoris sui regem et sacerdotem [5]; gli altari delle nostre chiese vengono profanati con sacrifici agli idoli e riti pagani: Manum suam misit hostis ad omnia desiderabilia ejus, quia vidit gentes ingressas sanctuarium suum, de quibus præceperas, ne intrarent in ecclesiam tuam [6]; l’unica vera Religione viene avvilita al livello delle sette e delle superstizioni più raccapriccianti: Princeps provinciarum facta est sub tributo [7]; i capi della Sinagoga si abbracciano ipocritamente con il Vicario di Colui che hanno crocifisso duemila anni orsono, dopo aver ottenuto la negazione delle loro responsabilità nel deicidio [8] ed essersi visti più recentemente riconoscere la validità di un'alleanza soppressa con la venuta del Salvatore; abbiamo visto Giovanni Paolo II baciare il Corano e le irriferibili bestemmie delle sue sure: quoniam omnes dii gentium dæmonia [9]; i gran maestri delle società segrete vengono ricevuti nei Sacri Palazzi con mille onori, assieme ai dittatori comunisti ed ai persecutori della Chiesa; le leggi concordatarie delle Nazioni un tempo cristiane vengono modificate in senso laicista su richiesta della stessa Santa Sede, rinnegando e violando i sovrani diritti di Cristo  Re sulla società.

Sarà facile notare che, sull’esempio dei più insigni maestri del modernismo, la setta conciliare si è ben guardata dal formulare chiaramente proposizioni eretiche, prima che il sensus fidei non fosse indebolito o definitivamente scomparso, e prima che le Romane Congregazioni non fossero state infeudate dai suoi gregari. Essa ha atteso, ha insinuato; ha usato le cattedre degli Atenei pontifici per instillare l’errore, per lasciarlo infettare le menti dei giovani chierici; ha contagiato i fedeli in decenni di celebrazioni protestantizzate. E come Enrico VIII aveva assicurato – in occasione dello scisma anglicano – che la liturgia non avrebbe subito variazioni, così i corifei della riforma hanno lasciato intendere che il nuovo rito della Messa altro non fosse se non una traduzione della precedente, mentre era evidente sin dall’inizio che l’originale latino del parto di Paolo VI doveva servire come semplice traccia su cui impostare le versioni in lingua volgare, queste sì destinate al progressivo indottrinamento dei fedeli [10]. Questo metodo fu perseguito abilmente sin dal Concilio: quando mons. Bugnini non riusciva ad ottenere una specifica formulazione nel testo ufficiale in latino, sapeva come rimediare e rassicurava i suoi compagni: «lo aggiusteremo nelle traduzioni»[11].

Chi voleva rimanere nella Chiesa ne è stato allontanato con sanzioni canoniche ed accusato di scisma, e chi viceversa si adoperava per la sua demolizione vi è stato accolto in nome del dialogo e della tolleranza. Il pacifismo irenista dei modernisti non ha impedito loro di dichiarar guerra contro la Tradizione: venatione ceperunt me quasi avem inimici mei [12]; il perverso ecumenismo in nome del quale essi si fanno caudatari di eretici ed idolatri ha consentito loro di scacciare i veri cattolici come scomunicati vitandi dalle chiese e di escluderli da qualsiasi dialogo; la loro meschina tolleranza religiosa si è applicata con tutti, fuorché con i buoni. E l’Inferno, di cui sono giunti a negare l’esistenza, apre nondimeno le sue fauci solo per i ribelli di Mons. Lefebvre e tutti coloro che sono in odore di cripto-lefebvrianismo. Onde a qualcuno verrebbe spontaneo citare orgogliosamente le parole di Dante: E io, che ascolto nel parlar divino consolarsi e dolersi così alti dispersi, l’essilio che m’è dato, onor mi tegno [13].

È innegabile che all’opera di perversione della dottrina si sia accompagnata un’attività di devastazione della liturgia, in modo che una nuova lex credendi si concretizzasse nella lex orandi conciliare. Osservava giustamente dom Guéranger che una delle principali caratteristiche degli eretici è di aver sempre colpito la liturgia, per poter pervertire la fede. Non stupisce quindi che i seguaci dell’eresia antiliturgica che l’abate descriveva nelle sue Institutions liturgiques [14]–  tra cui egli annovera Vigilanzio, Berengario, Pietro di Bruys, Enrico di Losanna, Pietro Valdo, Giovanni Wyclif, Giovanni Hus, Lutero, Calvino e Zwingli –  abbiano negli odierni cantori della nuova chiesa una schiera di attivissimi zelatori.

E come per disposizione del Concilio Tridentino [15] San Pio V convocò i massimi esperti teologi e liturgisti della corte papale per riformare i Libri Liturgici [16] preesistenti, così su impulso del Vaticano II Paolo VI chiamò pastori luterani e teologi di chiara fama modernista per inventare un Novus Ordo ed imporlo d’autorità all’orbe cattolico [17]. Chi negasse questa corrispondenza verrebbe smentito dagli stessi esponenti della nuova chiesa, per i quali l’attuazione della riforma liturgica post-conciliare è stata vissuta come una loro personale vittoria su quella ch’essi – sinceri almeno in questo – non si vergognano di chiamare vecchia religione.

I dogmi che il Tridentino affermò, San Pio V li ritrovava nella divina liturgia che gli era giunta sostanzialmente intatta dall’epoca di papa Gelasio e di San Gregorio Magno. Gli errori che il Vaticano II nascondeva sotto frasi volutamente equivoche, li ritroviamo chiaramente espressi nella nuova liturgia, le cui sacrileghe innovazioni ripercorrono pedissequamente quanto fecero gli eretici. Anche nell’arte sacra è possibile avere conferma di questa relazione: i maggiori artisti realizzarono autentici capolavori di architettura, pittura, scultura, musica – senza dimenticare le arti minori – per glorificare Dio e cantare le Sue lodi; oggi questi esempi d’arte sono abbandonati o venduti agli antiquari, mentre sedicenti artisti costruiscono luoghi di culto raccapriccianti, realizzano sculture e quadri al limite del blasfemo, spacciano per musica sacra orride composizioni profane.

Chi, se non la liturgia conciliare, ha intaccato la fede dei fedeli dalle sue fondamenta? Chi ha diffuso gli errori sulla Grazia, sulla giustificazione, sulla Messa, sui Sacramenti, sulla Chiesa, sui Novissimi, sulla Regalità di Cristo e su ogni verità cattolica, se non il nuovo rito e – in perfetta coerenza con esso – tutte le distorsioni ad libitum che esso di fatto autorizza?

Anche l’enfasi conciliare sulla comunità e sulla vita parrocchiale non è nuova – in questa esagerazione tipica delle eresie – allo spirito giansenista che infestava il conciliabolo di Pistoia e di non pochi suoi seguaci. L’aver di fatto imposto la celebrazione di Battesimi e Matrimoni all’interno della Messa domenicale deriva da una mentalità parrocchialista che pare vincolare l’efficacia e la validità dei Sacramenti all’approvazione di un’assemblea, in perfetta coerenza con la democratizzazione della Chiesa e con la dimensione comunitaria della Messa. La scomparsa della Comunione fuori dalla Messa – additata come orrida devozione e pervicacemente negata dai sacerdoti, ancorché prevista tuttora – risponde a questo spirito protestante della chiesa conciliare, che implicitamente ammette la presenza di Cristo nelle Specie eucaristiche solo durante la celebrazione della Cena. E sempre per questa ragione non pochi Vescovi si rifiutano di concedere l’applicazione del Motu Proprio, confinando la celebrazione della Messa tridentina quasi non fosse sempre atto pubblico della Chiesa, a prescindere dalla presenza dei fedeli.

Proprio ora che anche la vecchia Europa inizia a mettere in pratica gli insegnamenti del Vaticano II e di Giovanni Paolo II, non pochi alti Prelati vanno esprimendo la propria preoccupazione per l’inattesa recrudescenza di fenomeni di intolleranza anticlericale da parte degli Stati. Lanciano accorati appelli, puntualmente disattesi, affinché si menzionino le radici cristiane nel testo introduttivo della Costituzione europea [18], infarcita di principi anticristiani. Si mobilitano per dissuadere l’approvazione di una legge sulla fecondazione artificiale, quando sono ormai più di un miliardo i bambini innocenti uccisi nel ventre materno, grazie alla legalizzazione dell’aborto e, di recente, dell'eutanasia per i minori. Invocano il rispetto delle leggi di natura nella Spagna ormai pagana, dopo l’equiparazione giuridica del concubinato omosessuale al matrimonio naturale. Trasecolano innanzi al divieto vigente ora in Francia di indossare l’abito talare per i sacerdoti insegnanti. Si dicono stupiti per analogo divieto per le suore di portare il velo nelle scuole tedesche. Deplorano gli spettacoli, i film e le pubblicazioni in cui la Chiesa è fatta oggetto di offese, in cui Dio e i Santi sono bestemmiati e derisi, o quando i suoi ministri sono messi in ridicolo nelle pubblicità e nei programmi satirici. Ricordano con rimpianto i presepi che un tempo nelle scuole si allestivano a Natale, e che ora sono scomparsi per non offendere la sensibilità dei piccoli figli di Maometto, mentre alcuni loro padri osano profanare la Croce di Cristo e chiederne la rimozione dai luoghi pubblici, in quanto ritenuta offensiva per le altre religioni. Alcuni porporati giungono a parlare di intolleranza laica, di inquisizione laicista, di persecuzione anticattolica. Termini a cui – a onor del vero – non eravamo più abituati da decenni, e che quando eravamo noi a pronunziarli ci meritavano svariati appellativi, tra cui retrivi, obsoleti, preconciliari, lefebvriani, scismatici e scomunicati.

Questa guerra mossa alla Chiesa potrebbe indurci a credere che abbia come indiretta conseguenza una resipiscenza nei Sacri Pastori, i quali finalmente riconoscono gli errori del laicismo, dell’indifferentismo, del relativismo, del modernismo e dell’ecumenismo.

La realtà, a dispetto di ogni più semplice principio di raziocinio, è ben diversa: la Santa Sede e l’Episcopato sono sì preoccupati per i recenti fatti di matrice anticattolica, ma le ragioni e le cause della loro preoccupazione, così come i rimedi che essi propongono ed i fini che si prefiggono sono in totale contrapposizione con la dottrina cattolica e perfettamente coerenti con le premesse poste dal mai abbastanza deplorato Concilio Vaticano II e dal “magistero” dei Pontefici che di esso furono i preparatori, gli esecutori e gli eredi. 

Un “magistero” improprio, che ha sostituito l’insegnamento infallibile della Verità cattolica con interpretazioni estemporanee, deviazioni vistose e colpevoli omissioni. Un “magistero” che si è deliberatamente autodelegittimato nel momento in cui non si è più avvalso dell’Autorità Apostolica per ratificarne la continuità sostanziale con il Sacro Deposito, limitandosi a proporre – ai media ancor prima che al popolo cristiano, e sempre in maniera interlocutoria e fumosa – quanto di più generico vi può essere in un frainteso spirito di tolleranza e nel più vieto qualunquismo religioso.

Scriveva Antonio Gramsci, nei suoi Quaderni, che ogni azione dev’essere giudicata buona o cattiva, utile o dannosa, virtuosa o scellerata in base al vantaggio o al danno che può arrecare al Partito [19]. Pare questo l’unico parametro etico fatto proprio dai modernisti, per i quali il riferimento non è più il Partito, ma la chiesa conciliare, con i suoi nuovi dogmi, i suoi Papi, il suo Concilio. In quest’ottica, si può comprendere perché talora alcuni Prelati usino – decontestualizzandole – delle espressioni o dei riferimenti ai Santi Padri, ai Concilii o al Magistero: perché questo torna utile alla causa del modernismo e permette di puntellarlo non solo con i farneticamenti dei suoi sostenitori, ma anche con le autorevoli parole di Sant’Agostino, di San Tommaso, di Leone XIII. Si può parimenti comprendere perché venga attuata scientificamente una damnatio memoriæ nei confronti di altri scritti dei Santi Padri, di altri Concilii o di altri documenti magisteriali, nonostante – da un punto di vista puramente logico – la loro autorità sia la medesima: perché citare quel canone, quel discorso, quell’enciclica sconfesserebbe il castello di menzogne, equivoci e fumosità costruito ad arte dai novatori.

Tuttavia, come ogni opera diabolica, la rivisitazione pseudocattolica del principio gramsciano si ritorce prima o poi contro chi l’ha adottata. È tanta la smania di spodestare Cristo e la Chiesa della loro divina Regalità, che non si accorgono che con essa stanno minando anche il proprio ruolo e la ragione stessa del proprio ministero, dai quali traggono ed usurpano la loro autorità: nessuno darebbe peso alla dichiarazione Dignitatis humanæ, se non fosse inserita tra i documenti di un Concilio, né alcuno degnerebbe di attenzione certe allocuzioni, se fosse stato un attore polacco a pronunziarle; i fedeli non crederebbero che la Messa è una cena se non glielo avesse detto il parroco, né che ognuno è libero di aderire a qualsiasi credo, se non glielo insegnassero i Vescovi e Bergoglio; i capi delle nazioni sarebbero molto prudenti nel legiferare contro la Chiesa, se non fossero i suoi più alti esponenti ad incoraggiarli a rivedere i concordati e a considerarla come una tra le tante religioni. Gli stessi politici cattolici non confinerebbero la professione della loro fede alla sfera personale, rinunziando a difendere i principi cristiani nella sfera pubblica ed accettando leggi immorali, se non fossero i Pastori a farsi i primi negatori della Regalità sociale di Cristo, con tutte le sue implicazioni.

L’autorità di costoro risplende, come la luna, della luce di quel Sole divino ch’essi cercano di oscurare: ecco perché ora, mentre sembrano aver raggiunto il proprio scopo, tramonta anche la loro credibilità, si eclissa la loro autorità. Pastori di un gregge senza pecore, ora possono guidare nel baratro solo se stessi e quei pochi che ancora pervicacemente li seguono.

Non osi alcuno, quindi, chiamare in causa i poteri occulti, la massoneria, le sette o qualsivoglia altro nemico esterno alla Chiesa: essa deve la propria demolizione solo ed unicamente ai propri Ministri, la cui indegnità è pari solo alla infingardaggine di quanti, nel Sacro Ovile, subiscono supinamente la perversione della Verità cattolica. E se ancora si trova un cattolico, lo si deve al fatto ch’egli non pratica con assiduità la Messa domenicale o che non si tiene aggiornato sulle nuove correnti ereticali spacciate dai pulpiti come Magistero pontificio. Quanto alle persone in buona fede – ammesso e non concesso che vi possano esser fedeli, e vieppiù chierici, che per decenni sopportano lo scempio della loro Religione senza nutrire perplessità e senza obbiettare alcunché – essi si salveranno né più né meno dei seguaci delle sette, in una condizione di oggettivo impedimento a conoscere completamente la Rivelazione, cui eventualmente aderiranno nonostante gli errori che professano.

La massoneria non ha più nulla da dire alla Chiesa contemporanea, visto che questa ha fatto proprio il credo degli Iniziati e lo diffonde con ancor maggiore efficacia di quanto non potessero fare gli adoratori del Grande Architetto [20]; la Sinagoga non ha alcun argomento da opporre a chi ne chiama i figli fratelli maggiori e ne abbraccia i sacerdoti; i seguaci di Lutero non possono rimproverare alcunché alla Grande Babilonia, se questa li ha addirittura chiamati a redigere e purgare i testi della nuova Messa, rendendogliela di fatto accetta e consentendo loro di celebrarla, visto che in essa non si parla né di Sacrificio, né di Presenza Reale, né di transustanziazione[21]

Di qui le parole d’ordine del postconcilio, erede inconfesso dei cosiddetti valori rivoluzionari e massonici: libertà, uguaglianza e fraternità, cui si sono aggiunti in questi ultimi decenni anche la dignità dell’uomo, la solidarietà, il pacifismo, il dialogo e tutta la congerie di immondi palliativi che il demonio ha saputo ispirare alle menti traviate dei nostri contemporanei. 

Ecco allora la libertà di coscienza e di religione, che nega il dovere dell’uomo di conformare il proprio intelletto al Vero e la propria volontà al Bene; ecco l’uguaglianza, le cui espressioni sono il collegialismo ed il conciliarismo in antitesi al Primato del Pontefice, l’assemblearismo in antitesi all’autorità dei Sacri Pastori e l’enfasi sul presunto sacerdozio comune dei fedeli in antitesi al Sacerdozio ministeriale; ecco l’ecumenismo ed il dialogo interreligioso in antitesi alla missione propria della Chiesa, alla conversione dei pagani e degli eretici, all’apostolato, all’apologetica. Ecco la dignità dell’uomo redento da Cristo (tanto cara a Giovanni Paolo II) in antitesi ai sovrani diritti di Dio e della Sua Chiesa; ecco il pacifismo ipocrita e l’irenismo più imbelle in opposizione alla militia Christi ed al virile dovere di difesa dagli attacchi dei nemici; ecco la solidarietà orizzontale e materiale che nega la Carità evangelica e vanifica anche le opere buone, privandole deliberatamente del loro fine sovrannaturale e trascendente.

Di qui, e converso, le espressioni bandite dal vocabolario del clero ecumenically correct: verità cattolica, dogma, condanna dell’errore, eresia, scisma, scomunica, conversione degli infedeli. Dopo averci tediato per decenni con i germi della Rivelazione presenti nelle altre religioni, come si può parlare dell’Unica Chiesa di Cristo e dell’unica Verità cattolica? Quali dogmi affermare, dopo averli negati tutti insieme, in nome dell’ecumenismo, degli abbracci ai rabbini, dell’occhio di Shiva in fronte al Papa e dei baci al Corano? Quali eresie condannare, se anche le più discinte adoratrici degli idoli hanno uno strapuntino alle funzioni papali e sono invitate agli incontri interreligiosi? Quali scismi ricomporre, se si riconosce l’autorità e la giurisdizione dei ministri Eterodossi e si firma con essi un trattato di non conversione? Quali scomuniche promulgare, dopo aver di fatto negato l’efficacia di quelle vigenti ed essersi accaniti solo con chi ha l’unico torto di esser rimasto fedele all’immutabile insegnamento cattolico? Quale conversione degli infedeli operare, laddove si afferma placidamente che la dignità dell’uomo implica anche la libertà di professare qualsiasi religione? [22]

Come osano questi porporati lamentarsi quando le Nazioni legiferano sulla base di un mero principio di maggioranza, dopo aver lodato il sistema democratico ed aver salutato l’eliminazione del riconoscimento della Religione di Stato come una conquista ed un progresso [23]? Con quale sfrontatezza si permettono di criticare gli stati laici se proibiscono l’uso dell’abito religioso nelle scuole e negli ospedali, quando nemmeno a Roma si riesce a scorgere un seminarista o un sacerdote in talare, e quando gli stessi sacerdoti discriminano chi lo indossa? Non è questo lo stato laico che volevano? Non erano questi i privilegi ed i trionfalismi a cui la Chiesa conciliare finalmente rinunziava, dopo secoli di indebite ingerenzedel Clero nelle questioni civili?

Una critica meriterebbe anche l’insistenza della Santa Sede al richiamo alle cosiddette radici cristiane nella Costituzione europea. Dopo aver negato il diritto di Cristo a regnare e ad essere riconosciuto come Sovrano dalle Nazioni, la chiesa conciliare ha perorato la menzione del Cristianesimo non come riferimento morale a cui sottostare ma come semplice souvenir di una Cristianità antica e ormai scomparsa. È evidente che questa richiesta – in termini prettamente cattolici – non ha senso alcuno. Infatti, confinare al passato la forza morale della Legge di Dio è un arbitrio che ne indebolisce la validità nel presente e che pare prendere atto, con rassegnazione, della non attualità del messaggio salvifico di Cristo e della Chiesa. D’altra parte, se il Pontefice avesse chiesto ai parlamentari di Strasburgo di menzionare la morale cattolica quale riferimento morale per le legislazioni degli Stati membri dell’Unione Europea, in virtù di quale principio avrebbe potuto farlo, dopo aver incoraggiato la laicità dello Stato [24] e la separazione tra questo e la Chiesa?

Si ringrazino dunque coloro che, insigniti della sacra potestà, hanno saputo riuscire in cinquant’anni in un’opera di devastazione che nemmeno le più cruente guerre di religione, i più perversi movimenti ereticali, le più temibili sette segrete avevano potuto compiere in duemila anni di Cristianità.

E se non sta a noi giudicare l’intenzione con cui questa devastazione è stata realizzata – scientemente, per pusillanimità, per ignoranza, per conformismo, per malafede – possiamo nondimeno affermare che a partire dal Vaticano II è innegabile vi sia una mens che ha guidato la chiesa conciliare e che questa si pone in palese contraddizione con la dottrina immutabile della Chiesa cattolica. 




[1] Da qui l'espressione di nuova Pentecoste coniata dai conciliaristi.
[2] A colloquio con Dossetti e Lazzati. Intervista di Leopoldo Elia e Pietro Scoppola (19 novembre 1984), il Mulino, Bologna, 2003
[3] Con l’espressione chiesa conciliare intendo designare non tanto la Chiesa Cattolica nella sua totalità, ma solo quella parte di essa che fu attiva nella demolizione della vera Chiesa di Cristo.
[4] Johann. XIX, 15
[5] Lam. II, 6
[6] Lam. I, 10
[7] Lam. I, 1
[8] Facendo seguito alla derubricazione dell’accusa di deicidio: «E se autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo, tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione, non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo». Cfr. Dichiarazione Nostra ætate, n. 4.
[9] Ps. XCV, 5
[10] Cfr. l’articolo di dom Antoine Dumas osb, in Notitiæ, n. 54, Maggio 1970, pagg. 194-213, che fornisce le informazioni sulle variazioni allora introdotte nella nuova Messa e propone un lungo studio sulle traduzioni del messale romano. Dom Antoine Dumas fu membro della Commissione incaricata di rivedere il testo latino del nuovo Messale romano e anche membro della Commissione che preparò le traduzioni in francese. Dopo aver detto che coloro che rivedevano l’originale latino ricercavano un “adattamento fondamentale dei testi alla mentalità contemporanea” (pag. 196), e dopo aver fatto l’elogio del linguaggio liturgico dei protestanti (pag. 197), dom Antoine presenta dei principi e degli esempi che dimostrano molto chiaramente l’orientamento desacralizzante adottato dalle rispettive Commissioni della Sacra Congregazione per il Culto Divino. Ecco qualche caso caratteristico:ostia non ha mai il significato di vittima, (pag. 198); forma e substantia non devono mai essere tradotti in modo da “appesantire la preghiera di un tecnicismo filosofico fuori luogo” (pag. 206); quæsumus non deve mai essere interpretato nel senso di supplica (pag. 209); continentia, moderatio, temperari, castigatio, ieiunium “devono essere resi con delle espressioni molto generali, adatte alla mentalità contemporanea” (pagg. 208-209).
[11] Cfr. l’intervista di Stefano Wailliez al canonico Andrea Rose, in: Courrier de Rome, Giugno 2004. Rose fu consultore del Consilium ad exequendam. Lo stesso mons. Bugnini conferma personalmente queste parole nelle sue memorie, cfr. Annibale Bugnini, La riforma liturgica 1948-1975, Roma, 1997².
[12] Lam. III, 52
[13] Rime, Canzone Tre donne intorno al cor mi son venute, 73-76
[14] Dom Prosper Guéranger, Institutions liturgiques, I², Paris, 1878, pagg. 388-407
[15] La sessione XXV si tenne il 5 Dicembre 1563. Cfr. H. Jedin, Concilio tridentino e riforma dei libri liturgici, in: Chiesa della fede, Chiesa della storia, Brescia, 1972, pagg. 391-425.
[16] Nel 1568 fu promulgato il Breviarium romanum, cui seguirono la promulgazione del Missale romanum nel 1570, del Pontificale romanum nel 1595, delCæremoniale Episcoporum nel 1600, e – sotto il Pontificato di Paolo V – del Rituale romanum nel 1614.
[17] Nel nome dell’ecumenismo, sei teologi protestanti rappresentanti il Concilio Mondiale delle Chiese, la chiesa luterana, la chiesa anglicana e la chiesa presbiteriana, parteciparono attivamente alla commissione speciale stabilita da Paolo VI per riscrivere la Messa.
[18] Sarebbe poi da capire per quale motivo queste radici cristiane siano un elemento degno di menzione: a mio avviso, il fatto che un tempo l’Europa sia stata cristiana e che oggi di fatto non lo sia più non viene meno per il solo ricordo del passato. E non si comprende perché le radici cristiane vadano ricordate e non debbano esserlo, ad esempio, quelle pagane, ben più antiche. E in cosa consistano le radici giudeo-cristiane dell’Europa, che nulla conserva del giudaismo. E infine, quali altre radici debba menzionare nella propria costituzione un popolo di recente evangelizzazione.
[19] Al partito comunista, s’intende.
[20] Afferma infatti il regnante Pontefice: «La Chiesa ha enucleato la sua dottrina sui “diritti dell'uomo”, che derivano non dallo Stato né da altra autorità umana, ma dalla persona stessa. I pubblici poteri li devono pertanto "riconoscere, rispettare, comporre, tutelare e promuovere” (Pacem in terris, 22): si tratta, infatti, di diritti “universali, inviolabili e inalienabili” (ibid., 3). […] Per questo motivo, la Chiesa ha accolto con favore la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite, approvata in Assemblea Generale il 10 dicembre 1948. Tale documento segna “un passo importante nel cammino verso l'organizzazione giuridico-politica della Comunità mondiale. In esso, infatti, viene riconosciuta, nella forma più solenne, la dignità di persona a tutti gli esseri umani; e viene di conseguenza proclamato come loro fondamentale diritto quello di muoversi liberamente nella ricerca del vero, nell'attuazione del bene morale e della giustizia; e il diritto a una vita dignitosa; e vengono pure proclamati altri diritti connessi con quelli accennati” (Pacem in terris, 75). ». Cfr. Lectio magistralis di Giovanni Paolo II in occasione del conferimento della Laurea honoris causa in Giurisprudenza da parte dell’Università La Sapienza di Roma, 17 Maggio 2003. Queste parole possono essere lette alla luce di quanto l’Alta Vendita progettava fin dal secolo scorso: «Ora, quindi, per assicurarci un Papa nella maniera richiesta è necessario predisporre per quel Papa una generazione adeguata al regno del quale sogniamo. Lasciate da parte l’età avanzata e quella media, andate alla gioventù, e, se possibile, fino all’infanzia. […] In pochi anni il giovane clero avrà, per forza di cose, invaso tutte le funzioni. Essi governeranno, amministreranno, e giudicheranno. Essi formeranno il consiglio del Sovrano. Saranno chiamati a scegliere il Pontefice che regnerà; e quel Pontefice, come la maggior parte dei suoi contemporanei, sarà necessariamente imbevuto dei principi italiani ed umanitari che stiamo per mettere in circolazione. […] Cercate il Papa del quale diamo il ritratto. Volete stabilire il regno degli eletti sul trono della prostituta di Babilonia? Fate marciare il clero sotto la vostra bandiera in modo che creda sempre di marciare sotto la bandiera delle Chiavi Apostoliche. Volete causare la sparizione delle ultime vestigia di tirannia ed oppressione? Gettate le vostre reti come Simone Bar-Jona. Gettatele nelle profondità di sacrestie, seminari e conventi, piuttosto che nelle profondità del mare, e se non precipiterete nulla, darete a voi stessi una raccolta di pesci più miracolosa della sua... Il pescatore di pesci diverrà pescatore d’uomini. Vi disporrete in veste di amici intorno alla Cattedra Apostolica. Avrete pescato una Rivoluzione in Tiara e Cappa, che marcia con la Croce e la bandiera — una Rivoluzione che ha solo bisogno di essere un poco pungolata per mettere a fuoco i quattro quarti del mondo». Cfr. Mons. George F. Dillon, Grand Orient Freemasonry unmasked, Chulmleigh, Augustine, 1965.
[21] Cfr. Roger Mehl , teologo e filosofo protestante, in Le Monde del 10 settembre 1970: «Non vi è più alcuna giustificazione per le Chiese riformate, di proibire ai loro membri di assistere all’eucaristia in una chiesa cattolica». Frère Roger Schutz, della Comunità protestante di Taizé, osservò: «Possiamo adottare il nuovo rito perché la nozione di sacrificio non vi è per nulla affermata».
[22] «[…] Un altro diritto fondamentale, sul quale a motivo delle sue frequenti violazioni nel mondo di oggi ho dovuto ritornare, è quello alla libertà religiosa, riconosciuto sia dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo (art. 18), sia dall'Atto finale di Helsinki (1 a, VII), sia dalla Convenzione sui diritti del fanciullo (art. 14). Ritengo infatti che il diritto alla libertà religiosa non sia semplicemente uno fra gli altri diritti umani, ma sia quello al quale tutti gli altri si riconnettono, perché la dignità della persona umana ha la sua prima fonte nel  rapporto essenziale con Dio. In realtà il diritto alla libertà religiosa “è così strettamente legato agli altri diritti fondamentali, che si può sostenere a giusto titolo che il rispetto della libertà religiosa sia come un test per l’osservanza degli altri diritti fondamentali” (Al Corpo Diplomatico, n. 6: Insegnamenti XII/1, 1989, p. 68)». Cfr. Lectio magistralis di Giovanni Paolo II in occasione del conferimento della Laurea honoris causa in Giurisprudenza da parte dell’Università La Sapienzadi Roma, 17 Maggio 2003.
[23] Cfr. La libertà di coscienza e di religione, Lettera di Giovanni Paolo II ai capi di stato delle nazioni riuniti a Helsinki, 1 Sett. 1980.
[24] «Principio, si badi bene, di per sé importante e condivisibile», secondo le parole del Card. Mario F. Pompedda, Prefetto della Segnatura Apostolica. Cfr. il Giornale, 29 gennaio 2004, pag. 1 e 39.

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