ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 17 gennaio 2014

“SVEGLIATE IL MONDO!”

CRONACHE VATICANE “SVEGLIATE IL MONDO!”
Colloquio di Papa Francesco con i Superiori Generali



ANNOTAZIONE

Il testo de La Civiltà CattolicaSvegliate il mondo, sul quale ci basiamo per queste nostre considerazioni, è stato reso pubblico e accessibile sul sito della rivista, con in testa e in calce la seguente annotazione: “Questo articolo è sotto copyright de @ La Civiltà Cattolica e non può essere riprodotto, se non per brevi citazioni, senza permesso scritto.”

Per questo, noi qui ci riferiremo al detto documento, riducendo al minimo le citazioni, e invitando i fedeli a scaricarlo direttamente dal sito della rivista.
Sembra una contraddizione, se non fosse che si tratta di una cosa ordinaria nel mondo di oggi, che è ricco di contraddizioni e se ne vanta.

Il titolo del servizio, in cui son riportati i  momenti dell’incontro di papa Bergoglio con i Superiori Generali degli Ordini religiosi, fa l’eco fraterna e l’occhietto  amicale  a una rivista che, in milioni di copie, gira per il mondo. Ci riferiamo a “SVEGLIATEVI”, il quale opuscolo i Td G – Testimonii di Geova – offrono per le strade, nelle case, nei supermercati, nelle… periferie. Una sfida anche questa…
Ci aspettiamo, visto l’antecedente, che  “Civiltà Cattolica”, benemerita legionaria dell’avanzamento dell’ecumenismo arcobaleno, titoli un prossimo ragguaglio papale con “ TORRI  DI  GUARDIA :  ALLE PERIFERIE !”. Dopo di che sapremo con certezza che lo stato di avvicinamento e di ricongiunzione con le truppe di Charles Taze Russell, sarà sul punto di realizzarsi. Padre Antonio Spadaro S.J ce ne darà ampia e commossa informazione.
   
Ma, al di là di questa osservazione, viene naturale pensare che il monito del papa, l’ordine di svegliare e di svegliarsi altro non significhi che, in questi decenni postconciliari, la Chiesa e i suoi uomini hanno poltrito, adagiandosi sulla certezza che, dato l’impulso del Concilio, tutta l’opera di evangelizzazione si sarebbe avviata e completata quasi per inerzia irenica, soprattutto confidando nella speranza giovanvigesimoterza secondo cui “le opinioni erronee contrastano così apertamente con i retti princìpi dell’onestà, ed hanno prodotto frutti così letali che oggi gli uomini sembrano cominciare spontaneamente a riprovarle” (Gaudet Mater Ecclesia, 11 ottobre 1962 ), a scorno dei “profeti di sventura”. Insomma, questo invito così imperativo sancisce, e riconosce, il fallimento della Chiesa postconciliare e, d’altra parte, perché mai il papa emerito, cardinal Ratzinger, all’epoca Benedetto XVI, ha sentito l’urgenza di istituire un nuovo dicastero che provvedesse alla rievangelizzazione se non perché il programma nuovo, l’aggiornamento, l’adeguamento ai tempi si son dimostrati inefficaci e, soprattutto, deleterii?
E’ chiaro: il tatticismo dottrinario, l’aperturismo al mondo, l’affievolimento liturgico hanno, in questi ultimi 50 anni, indebolito la forza di espansione della Buona Novella e la Fede.
Ferveva la speranza d’una nuova Pentecoste, d’una primavera ecclesiale.
Speranze al vento, un ingenuo e beota attendere che Satana, specie nel “secolo sterminato” durante il quale sono esplose le più criminali azioni contro Dio e l’umanità, avrebbe abbandonato il suo lavoro nel successivo.  Il mondo, in tal senso, è stato sempre sveglio, semmai a dormire  sono stati gli uomini della Chiesa. Una situazione identica a quella  che il massone Collodi descrive nel suo “Pinocchio” quando narra la vicenda dell’Omino del carro – simbolo e metafora del male - che, mentre trasporta  i ragazzini  oziosi e felici nel “Paese dei Balocchi”, verseggia e canta: “Tutti la notte dormono/e io non dormo mai”. (Cap. XXXI ).
Se papa Giovanni XXIII, futuro santo, avesse tenuto a mente questa storiella, non si sarebbe azzardato, per utopistico ottimismo, a prefigurare un’umanità capace, “da sola”,  di smantellare l’errore. Satana non dorme, ma hanno dormito coloro che, contravvenendo al loro dovere, caddero in preda alla narcosi della nuova era conciliare.
Non decet tota nocte dormire consiliatorem virum” (Iliade, II, 24 ).  Non si addice al saggio dormire tutta la notte.
    
Ciò detto, vorremmo addentrarci nella lettura e nel commento del servizio perché in esso figurano affermazioni, pensieri, riflessioni, concetti  di ortodossa dottrina, certamente, ma anche di banale contenuto, contesti ad altri di evidente fuorirotta e fuoricampo.
Ci proponiamo di evitare, nei limiti del possibile, di ripetere quanto già, su questo sito, l’ottimo Belvecchio, ha sottolineato nel suo intervento – Chi devasta la vigna del Signore? – cercando di concorrere alla disamina del documento con interventi e commenti nostri che lumeggino aspetti non esplorati  procedendo, per chiarezza, dall’inizio fino all’epilogo, in ordine alle sequenze riportate.

L’autore del resoconto apre il servizio con un consiglio al lettore in cui si fa presente che il papa parla “a braccio”, che il suo discorso ha un ritmo ad “ondate” progressive talché “va seguito con cura perché si nutre della relazione viva con i suoi interlocutori. Chi prende nota deve prestare attenzione non solamente ai contenuti, ma alle dinamiche di relazione che si creano”.
Sembra, a parere di padre Spadaro, che soltanto i dialoghi di  papa Bergoglio abbiano i connotati - anzi: si  nutrono - della relazione tra gli interlocutori e che, perciò, viva e massima debba essere l’attenzione da riservare non solo al contenuto del discorso e degli interventi, ma – ed ecco un altro termine  “totem”  – alle dinamiche di relazione. Tautologìa bella e buona, e artificio retorico, che dimostra come fare colpo sul lettore. Un rapporto, una relazione, un dialogo  – stando all’etimologìa e alla semantica  – indicano di già uno scambio, cioè una dinamica, tra soggetti che interagiscono ma ciò che, di questa osservazione, galleggia vacuo sopra il buon senso, è la messa in evidenza di siffatto meccanismo  che si fa necessario solo quando parla il papa, questo papa.
Sembra, con ciò, che i pontefici precedenti, vicini e lontani, quando parlavano non fossero capaci di attivare  la categoria della relazione e non suscitassero l’attenzione degli ascoltatori. In quanto, poi,  al “prendere nota” ci viene in  mente  il  divin  poeta che, per bocca di Virgilio – e siamo nel 1300 – affermava “Bene ascolta chi la nota” (Inf. XV, 99), commento riferito, naturalmente a qualsiasi forma di dialogo e di esperienza. Come si vede, anche nei tempi lontani si esigeva attenzione alle parole e al loro significato.
   
Avviato il commento su questa lepidezza dialettica, che al postutto possiamo considerare benevolmente di sommessa adulazione, facciamo subito sosta su un aspetto che ci prenderà assai spazio dacché riteniamo di doverci applicare ad analizzare un passo che, sotto le apparenze di una cogente, logica e pertinente problematica  nasconde la crisi di identità che appanna e dissolve la figura del religioso e della sua missione.
I religiosi, scrive l’autore, interrogano il papa: “Che cosa si aspetta dalla vita consacrata? Che cosa chiede? Se lei fosse al nostro posto, come accoglierebbe il suo appello ad andare nelle periferìe, a vivere il Vangelo sine glossa, la profezia evangelica? Che cosa si sentirebbe chiamato a fare?. . .Dove si dovrebbe porre l’accento oggi? Quali sono le priorità?”.
Confessiamo d’essere rimasti esterrefatti nel leggere simili domande, poste non da laici digiuni di dottrina, di pedagogìa, di esperienza e privi del carattere sacro sacerdotale, ma da religiosi e, soprattutto, da religiosi di rango quali sono i Superiori Generali in cui si suppone l’esistenza vissuta di carisma e il possesso dei doni  della discrezione, del consiglio, dell’ intelletto, della  sapienza e, soprattutto, della  conoscenza del Vangelo. Domande che, a noi catechisti, vengono rivolte dai fanciulli che non sanno, ovviamente, quale sia l’impegno cristiano e  in qual modo debba e possa applicarsi. Ed allora vediamo:

. Che cosa si aspetta dalla vita consacrata?
La cosa ovvia, che viene alla mente, è la dedizione al servizio di Dio rappresentata, a seconda della Regola a cui si obbedisce, dall’impegno missionario nel mondo o dalla pratica del nascondimento e della preghiera;

. Che cosa chiede?
Più che il Papa, è Cristo che chiede al consacrato di mantenere la promessa o il voto. E si chiede una vita all’insegna della sequela del Vangelo, si chiede l’acquisizione dell’abito e dell’esempio della santità, si chiede la sollecita risposta ai compiti legati alla consacrazione;

. Se lei fosse al nostro posto, come accoglierebbe il suo appello ad andare nelle periferìe, a vivere il Vangelo sine glossa, la profezia evangelica?
Ricordando il comandamento di Gesù: “Andate e predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo. Chi non crederà sarà condannato” (Mc. 16, 16). Quella specifica “sine glossa” cioè “senza spiegazione”, dice che colui che pone la domanda trova doveroso e ovvio  annunciare un Vangelo senza commento o chiarimento, e la cosa non è strana dal momento che nei seminarii si insegna più l’aspetto critico/storico della parola che non il senso anagogico, elevante. “Oggi si parla tanto di evangelizzazione. Il Sinodo che si è svolto a Roma dal 7 al 28 ottobre 2012 aveva proprio per tema questo argomento. Purtroppo, le parole in quest’epoca postconciliare non hanno più lo stesso senso che la Chiesa da sempre attribuiva loro, proprio per i cambiamenti radicali che sono stati operati dal concilio, soprattutto per ciò che riguarda la costituzione intima della Chiesa e la sua missione… I testi stessi del concilio e la loro interpretazione fatta dai pontefici del post concilio, in perfetta continuità con essi, ma in drammatica rottura col Magistero costante ed infallibile della Chiesa… si traduce in pratica con una rinuncia alla vera evangelizzazione impedendo così la missione essenziale per la Chiesa” (Don Pierpaolo Petrucci - La Tradizione Cattolica – anno XXIV n. 4  - 2013 -  pag. 5).
Si spiega, così, il disorientamento dei moderni missionarii che, stante il nuovo corso teologico e catechetico,  secondo cui più che tentar di convertire è meglio accostarsi e camminare insieme, secondo cui “far proseliti è una sciocchezza”, secondo cui è bene non violentare le culture native rispettando, come fece e diede prova GP II nei suoi viaggi  per il mondo e nell’accolta sincretistica di Assisi, usi e tradizioni  anche se in aperto e palese contrasto con la legge di Dio, si spiega così, dicevamo, l’imbarazzo dei  missionarii che si vedono trasformati da messaggeri del Verbo di Dio in operatori sociali. Solo così si capisce come, dal 1965 al 2005, si siano verificati 114.886 abbandoni dalla vita consacrata (Roberto De Mattei – Il Concilio Vaticano II / una storia mai scritta – Ed. Lindau 2010 pag. 575) e come, dal 2008/2012 siano state erogate ben 12.123 dispense (Radici Cristiane – n. 90 -dicembre 2013). In termini schietti:  fughe verso il mondo.

.  Che cosa si sentirebbe chiamato a fare?
Domanda oziosa, perché è proprio nella chiamata alla vita religiosa la risposta. A fare che cosa? Ad annunziare agli uomini che “i ciechi recuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti i sordi riacquistano l’udito, i morti resuscitano, ai poveri è predicata la buona novella e beato colui che non si scandalizza di me” (Mt. 11, 5) dice il Signore.

.  Dove si dovrebbe porre l’accento?
Ad indicare i luoghi dove porli, gli accenti a disposizione non basterebbero.
Non è un problema la scristianizzazione della società?
Non è un problema la convulsa corsa all’edonismo?
Non è un problema la l’epidemica diffusione mondiale della droga?
Non è un problema il relativismo etico?
Non è un problema l’aggressione delle correnti politico/massoniche alla famiglia naturale?
Non è un problema l’equiparazione, in termini soteriologici – di salvezza, cioè – di tutte le religioni, così come affermato dal documento conciliare  “Nostra Aetate” (2) in cui si afferma che la Chiesa “nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni” (Induismo, Buddhismo)? 
Non è un problema l’abbandono e svuotamento progressivo delle chiese a vantaggio di madrasse, pagode e ashram?
Non un problema la sacrilega celebrazione della santa Messa, il Sacrificio di Gesù che rinnova sull’altare, il sacrificio che da più parti viene consumato  in compagnia di scismatici, atei, pagani?
Non è un problema la bestemmia, sempre più corrente nei luoghi pubblici?
Non è un problema lo scandalo dell’aborto, del divorzio?
Mettere l’accento sulla nozione di giustizia divina sarebbe opportuno, e non battere ossessivamente sulla misericordia. “Initium sapientiae timor Domini” (Ps. 110, 10).

.  Quali sono le priorità?
E’ sempre Gesù che le indica quando afferma “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”. Ma i Superiori Generali, memori come papa Bergoglio, nella famosa e rinnegata intervista ad Eugenio Scalfari, avesse affermato che il problema attualmente più grave per la Chiesa era la “disoccupazione giovanile” , hanno considerato le necessità materiali come il problema più urgente e, siccome di necessità ce ne sono molteplici, essi ne hanno chiesto la scaletta di priorità. Tutto, secondo lo schema politichese che quando annuncia i programmi, puntualmente tira fuori “le priorità”. Della “salus animarum” – una volta “suprema lex” – è scomparsa anche l’ombra.

Ma non si pose il problema delle priorità il giovane quattordicenne seminarista Rolando Rivi, torturato e ucciso, con due colpi di pistola, dai partigiani comunisti di Monchio (Modena), che il 13 aprile 1945, un venerdì verso le ore 19, mani legate dietro la schiena col fil di ferro, ebbe compassione di suoi aguzzini invocando su loro, come Gesù sulla Croce, il perdono di Dio.
Un prete in meno” secondo costoro, un santo in più per la Chiesa. (cfr. P. Risso – Io sono di Gesù. Rolando Rivi, Casa Mariana Editrice – Frigento (Av) 2010).
Leggere, pertanto, di Superiori Generali che chiedono “le priorità” suscita un senso e di vergogna per chi ancora non sa interpretare la propria vocazione, e di indignazione per il silenzio con cui i pastori  coprono le grandi verità teologiche che urtano la sensibilità del mondo.
Fa tanto “moderno” chiedersi  le priorità. Una semplice lettura del Vangelo darebbe la risposta immediata, chiara e tranciante, del tipo “Si si no no” perché “ciò che è in più viene dal maligno”, (Mt. 5, 37), cioè dal mondo.
E il mondo va combattuto e  non svegliato salvando però gli uomini che vivono nel mondo.
(La Civiltà Cattolica – 04 gennaio 2014) Articolo di L. P.
- parte prima - 

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