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giovedì 27 febbraio 2014

C’è un vescovo a Berlino

Un grintoso Müller ridice no al divorzio nella chiesa

Povera per i poveri, ma “la dottrina e la pastorale sono la stessa cosa”

Non si può parlare solo di riaccostamento ai sacramenti dei divorziati risposati, la pastorale familiare e matrimoniale è anche altro. A dirlo è il cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, a margine della presentazione romana del suo ultimo libro, “Povera per i poveri” (Lev). “Non ci si può soffermare sempre e solo su questo problema, se i divorziati risposati possano o no ricevere la comunione. Il divorzio, i bambini che rimangono senza genitori: questi sono i veri problemi” che la chiesa deve oggi affrontare, ha aggiunto il custode dell’ortodossia cattolica.
E il divorzio “non rientra nel cammino della chiesa, che invece è per l’indissolubilità del matrimonio. La dottrina cattolica, su questo, è molto chiara”. Pochi giorni dopo la conclusione del concistoro a porte chiuse sulla famiglia, il cardinale Müller ribadisce quanto già scritto lo scorso 23 ottobre sull’Osservatore Romano. Il connazionale teologo Walter Kasper ha parlato nella sua corposa relazione teologica in apertura del concistoro della necessità di valutare i casi concreti in modo da alleviare la sofferenza di chi è andato incontro al fallimento del proprio matrimonio? Certo, spiega il prefetto dell’ex Sant’Uffizio, “ma qui è in gioco il matrimonio come istituzione divina” e “se il matrimonio è indissolubile, non può essere sciolto”. C’è ben poco da discutere, dunque. Il problema è che per molti fedeli “il matrimonio è nient’altro che una bella festa da celebrare in chiesa”.
Percorsi nuovi si possono esplorare e accettare – il cardinale arcivescovo di Lione, Philippe Barbarin, ha ricordato che il Papa ha già menzionato la prassi ortodossa della “seconda possibilità” –, ma “mai contro la volontà di Cristo”, poiché “la misericordia di Dio non può mai essere contraria alla giustizia di Dio”. E se il neo cardinale Mario Aurelio Poli, arcivescovo di Buenos Aires e successore di Jorge Mario Bergoglio sulla cattedra episcopale della capitale argentina, si dice convinto che al centro della discussione sinodale del prossimo autunno ci sarà  proprio il tema del riaccostamento dei divorziati all’eucaristia – “ma non sono un futurologo”, aggiunge prudente il prelato sudamericano – Müller chiude ogni possibilità a tal proposito: “Non si tratta di esprimere la mia opinione, ma è la dottrina a dirlo. La pastorale non può mai essere slegata dalla dottrina. Pastorale e dottrina sono la stessa cosa: Cristo in qualità di pastore e Cristo come maestro sono sempre la stessa persona”. La soluzione, dunque, “non c’è”, visto che “il dogma della chiesa non è una teoria fatta propria da qualche teologo, ma è la dottrina della chiesa, nient’altro che la parola di Cristo. E noi non possiamo cambiare la dottrina”, ha aggiunto il prefetto già vescovo di Ratisbona chiamato a Roma nel 2012 da Benedetto XVI e confermato a settembre da Francesco.

Riunito il Consiglio ordinario del Sinodo

Dalle conferenze episcopali locali, però, giungono segnali sempre più forti che indicano un divario ampio tra l’insegnamento cattolico e la prassi ecclesiale dei fedeli: l’Humanae Vitae di Paolo VI accusata di “creare solo confusione”, la Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II ritenuta ormai superata e incapace di stare al passo con i tempi e di dare risposte efficaci alle problematiche familiari assenti trent’anni fa, quando fu scritta. Ieri, al termine della due giorni di riunioni organizzate per discutere i risultati dei questionari sulla famiglia inviati lo scorso novembre alle diocesi, il Consiglio ordinario del Sinodo dei vescovi guidato dal cardinale Lorenzo Baldisseri –  lunedì ha partecipato ai lavori anche il Papa – ha sottolineato che c’è “urgenza di annunciare con nuovo slancio e modalità il Vangelo della famiglia”, considerate le “sfide e le difficoltà connesse con la vita familiare e le sue eventuali crisi”. Il problema, rilevano le sintesi fornite dagli episcopati nazionali (a cominciare da quelli di Germania, Svizzera e Francia), è che l’insegnamento cattolico è sempre meno conosciuto e quindi è necessario un aggiornamento. Tesi che per il cardinale Müller non ha alcun senso: “E’ deprecabile che i cattolici non conoscano la dottrina della chiesa. Non si può ridurre la Rivelazione solo perché tanti non la conoscono. Non si può dire che la messa è meno importante solo perché qualcuno non sa il valore che essa ha. E’ un ragionamento paradossale”.
http://www.ilfoglio.it/soloqui/22076
Il neo cardinale Muller, prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, ha presentato a Roma il suo ultimo libro edito dalla LEV, “Povera per i poveri”. A margine dell’evento ha risposto ad alcune domande dei giornalisti. Il tema, ovviamente, è quello della pastorale familiare, al centro di un dibattito molto acceso all’interno della Chiesa Cattolica.
Per chi sta seguendo la discussione  appare sempre più evidente che, in vista del prossimo Sinodo di ottobre, si sta mandando in onda un film già visto. Lo ha rilevato bene l’ottimo vaticanista Sandro Magister, sottolineando appunto come le analogie con la situazione che condizionò il Vaticano II sono molte.
Come disse Benedetto XVI, in uno dei suoi ultimi discorsi, il “concilio dei media” finì per essere “dominante”. Si trattava – sono sempre parole di Ratzinger – di “un’ermeneutica politica”: “Per i media il concilio era una lotta politica, una lotta di potere tra diverse correnti nella Chiesa. Era ovvio che i media prendessero posizione per quella parte che a loro appariva quella più confacente con il loro mondo.” Senza entrare in questioni ermeneutiche rimaniamo a questa analisi ratzigeriana che ha una sua validità.
Il Card. Muller in questo contesto mass mediatico sembra essere la voce in controcanto rispetto a quelle di molti altri che, invece, adottano un linguaggio decisamente aperturista, generalmente in nome della misericordia.
Durante il Vaticano II, e anche nel post, queste trappole ideologiche ammantate di comprensione per i nuovi problemi furono disseminate qua e là per far passare di tutto a livello pastorale.
La vicenda dell’enciclica Humanae Vitae, che non a caso qualcuno sta chiamando in causa anche nell’attuale dibattito, rappresenta l’esempio più clamoroso. Per farsi un’idea precisa di come andarono le cose, di quali subdoli cavalli di Troia furono portati dentro il recinto ecclesiale, si può leggere il libro pubblicato dal medico Renzo Puccetti, “I veleni della contraccezione” (EDS). Qui si evidenzia con chiarezza come alcuni teologi e prelati (ad esempio il card. Suenens, Guano, Küng, Häring e John Courtney Murray) fecero sponda con i media per far pressione sull’autorità ecclesiale a mutare la dottrina.
A proposito di contraccezione si scriveva che la continenza periodica era impraticabile, era inefficace, che i coniugi cattolici la stavano abbandonando in massa per passare alla pillola. Come ha dichiarato lo stesso Puccetti: “Il solo dibattere la dottrina della Chiesa sulla contraccezione costituiva un formidabile argomento contro la dottrina stessa; se infatti se ne discute, allora vuole dire che non è irriformabile, se non è irriformabile, vuol dire che non è certa e se non è certa non obbliga.” Nel 1968 però arrivò l’Humanae vitae a mettere i puntini sulle i, ma tutti sappiamo come la prassi pastorale successiva risentì non poco di quel dibattito possibilista.
Oggi si scrive e si dice che gli uomini e le donne del nostro tempo non sono più in grado di apprezzare la bellezza del matrimonio cattolico, che sono troppi i casi di sofferenza, i matrimoni che falliscono. Si citano percorsi penitenziali, sulle orme di quanto previsto dalle chiese ortodosse, per poter riammettere i divorziati risposati al sacramento dell’eucaristia. E secondo il card. Kasper, che ha aperto il recente concistoro, la Chiesa si troverebbe oggi in una situazione simile a quella dell’ultimo Concilio. Anche allora – ha detto il cardinale – c’erano questioni che i pronunciamenti e le decisioni del Sant’Ufficio sembravano chiudevere a nuove soluzioni, invece, il Concilio aprì le porte.
A tutto questo risponde il card. Muller nella conferenza stampa a margine della presentazione del suo ultimo libro: “Non possiamo ridurre la rivelazione e la parola di Gesù Cristo perché tanti cattolici non conoscono la realtà. (…) Sarebbe paradossale se la Chiesa dicesse: poiché non tutti conoscono la verità, la verità non è obbligatoria per il futuro”.
Ma il sinodo “mediatico” è già lanciato. Ad esempio il bimensile diocesano di Angouleme (Francia), a proposito delle coppie omosessuali, ha scritto che “bisogna convertire lo sguardo di ciascuno (…) bisogna diffondere largamente il lavoro dei moralisti che da più di trent’anni lavorano su questo soggetto. A partire da qui – continua il giornale diocesano francese – noi potremo costruire un vero progetto pastorale verso le persone omosessuali considerando che un amore tra persone dello stesso sesso è anche portatore di fecondità per le persone interessate e il loro entourage”.
Nello stesso articolo si critica anche l’atteggiamento di certi vescovi e preti francesi che rispetto alla famigerata legge Toubira, quella de le mariage pour tous, si sarebbero posti in modo troppo negativo, un modo che è apparso “violentemente ostile” nei confronti delle coppie dello stesso sesso.
D’altra parte quest’ultima posizione non è prerogativa di un giornale di una dispersa diocesi francese, ma anche la Civiltà Cattolica – mensile dei gesuiti che non esce senza una “supervisione” interna dei sacri palazzi – nell’ultimo numero ha ripreso la stessa considerazione. Padre Salvini, ex direttore della rivista e amico personale del Card. Martini, ha ripreso un vecchio documento dell’episcopato francese che di fatto critica un atteggiamento troppo battagliero nel difendere la visione cristiana del matrimonio sulla pubblica piazza. A qualche Vescovo francese, che si è apertamente schierato contro la rivoluzione sessuale promossa dal governo Hollande, saranno fischiate le orecchie.
Il prossimo Sinodo sulla pastorale famigliare verosimilmente non muterà la dottrina cattolica, ma la vicenda dell’Humanae Vitae ha molto da insegnare. Potrebbe, infatti, verificarsi che sulla sulla spinta dell’attuale dibattito si instauri poi una pastorale famigliare fumosa, capace di far passare ciò che magari la lettera non dice o non dice in modo chiaro.

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