ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 11 febbraio 2014

Dopo il fulmine la tempesta?

A UN ANNO DALLA RINUNCIA PAPALE: GIUSEPPE RUSCONI AL ‘SISMOGRAFO’ 
 Il noto e prezioso blog cattolico “il Sismografo”  ( www.ilsismografo.blogspot.it )- curato da Luis Badilla- – ha chiesto ad alcuni vaticanisti di riflettere su quanto avvenuto un anno fa, con la rinuncia al Papato di Benedetto XVI. Riproduciamo la risposta di Giuseppe Rusconi.
 Quell’11 febbraio 2013, verso le 11.30, avevo lasciato una Sala Stampa vaticana sonnacchiosa, con tre o quattro colleghi che non sapevano come passare il tempo.
Tra loro ricordo chiaramente, chino come sempre sul suo computer, Andrès Beltramo Alvarez. E, tra i ragazzi dell’atrio, il super romanista Francesco Antinori. Preso il 62 per raggiungere la Sala stampa estera, vicino all’ingresso di via dell’Umiltà scorgo tre colleghi affannati e agitatissimi che escono dalla sede. “Ma dove andate così conciati?” Mi risponde con voce strozzata e occhi stralunati la tedesca Constanze Reuscher, corrispondente della Welt: “Il Papa si è dimesso!”. Dico io: “Ma sapete che oggi è anche il lunedì grasso, di Carnevale?” E loro all’unisono: “Nooo…è vero…. vieni con noi in Sala Stampa vaticana!”. Detto fatto… un taxi e in un baleno rieccomi là da dov’ero partito mezz’ora prima, in attesa del non invidiato padre Lombardi, che avrebbe cercato di rispondere in qualche modo alle nostre domande. Era colpito anch’io come tutti dalla notizia, e mi veniva un groppo in gola. Tuttavia, passata la prima emozione, ho creduto di comprendere subito i motivi della rinuncia di papa Ratzinger: da buon tedesco, da uomo razionale, ha capito che non ce l’avrebbe più fatta – fisicamente e psicologicamente – a sopportare il peso del timone della Barca di Pietro, costretta a navigare in un mare tempestoso non solo per gli scandali della pedofilia, non solo per le piccole meschinità di Vatileaks e dintorni, ma anche per il dilagare del relativismo nichilista in una società smarrita e dall’identità cristiana sempre più sbiadita. Papa Ratzinger aveva fatto molto, con coraggio, per far emergere i casi di pedofilia e cercare di evitare che si potessero ripetere. Aveva denunciato la “sporcizia” nel mondo ecclesiale e anche incoraggiato – con parole ben argomentate, chiare, nette, inequivocabili - i cattolici e i non cattolici a difendere la dignità umana promuovendo la dottrina sociale, ivi ben compresi i valori non negoziabili ridicolizzati dai cultori finanziariamente e massmediaticamente potenti dei nuovi ‘diritti’ contro la vita, contro la famiglia, contro l’educazione umana e cristiana. Una battaglia prima di tutto razionale, fatta in nome dell’uomo e del cattolicesimo. Poi, a poco a poco, papa Benedetto XVI si è sentito sempre più stanco, un fatto comprensibile data l’età. E ha meditato quella decisione già prefigurata oralmente e per iscritto in diverse occasioni. Non se l’è sentita di fare il Papa al 50%, sarebbe stato per lui irrazionale soprattutto in un momento così difficile per la Chiesa. Ha lasciato, è stato doloroso per lui ma anche per tanti. Si è creato un precedente (le rinunce dei secoli passati non sono paragonabili a quanto successo l’11 febbraio 2014) e questo ha aperto grandi interrogativi, cui non si può sfuggire, ma che non hanno ancora una risposta. Il 13 marzo è stato eletto un nuovo Papa, un cardinale gesuita e sudamericano, che somiglia molto, per certi versi, ai gesuiti delle ‘Reducciones’ del Paraguay immortalati nel famoso film ‘Mission’. E’ un gesuita sudamericano, che parla al cuore e si cura meno della norma (se non nei tratti fondamentali); è un gesuita sudamericano che cerca le periferie, vuole entrare in contatto con tutti, in primo luogo con la ‘carne di Cristo che soffre’, attento all’uomo che vive, lotta, soffre prima che all’uomo come essere razionale. Papa Francesco in questo primo anno ha certo conquistato le folle con parole e gesti semplici, quelle folle che si sentono orfane in un mondo spietato come il nostro. Si dovrà vedere, a media e lunga distanza, se alla sintonia dei cuori seguirà anche quella delle menti. Se alle emozioni, insomma, si accompagneranno anche le convinzioni. E’ in gioco il futuro della Chiesa.
www.rossoporpora.org – 10 febbraio 2014
http://www.rossoporpora.org/rubriche/papa-francesco/339-a-un-anno-dalla-rinuncia-papale-giuseppe-rusconi-al-sismografo.html


L’elogio del rabbino

Francesco e Skorka
FRANCESCO E SKORKA

Skorka: “Un grande gesto” le dimissioni di Ratzinger, “una lezione da vero leader”

ALVER METALLIBUENOS AIRES


Alla vigilia delle dimissioni di Benedetto XVI, quando lo incontriamo nella sinagoga della comunità rabbinica Benei Tikvá di cui è rabbino da quasi quarant’anni, Abraham Skorka ha la mente divisa tra il papa che lascia e quello che gli succederà. Verso il primo nutre una rispettosa ammirazione, cresciuta a distanza e alimentata di letture, verso il secondo una affettuosa amicizia, cementata da una puntuale frequentazione. “Un grande gesto, una lezione da vero leader” dichiara riferendosi alle dimissioni di Ratzinger, che hanno aperto la strada all’amico Bergoglio. Non si esonera dal dire “che molti politici dovrebbero imparare” dal Papa tedesco. E neppure che il gesto rivoluzionario che ha compiuto sarà “matrice” per il futuro.

Sa bene che senza le dimissioni di Ratzinger non ci sarebbe stata l’elezione di Bergoglio, e tante altre cose. Tra cui il viaggio nella sua patria spirituale previsto a maggio, per cui si è speso fin dall’inizio. Il rabbino Skorka è prudente al momento di fornire conferme, ma anche così il suo sogno, quello di accompagnare il Papa regnante nel pellegrinaggio in Terra Santa, lo definisce una “possibilità” concreta.

Insiste sulla parola pellegrinaggio. “La prima volta che ne abbiamo parlato venne utilizzato proprio questo termine” ricorda. Per poi aggiungere subito – e non a caso - che “il viaggio non deve essere politicizzato”. Vuole invece “contribuire a un avvicinamento delle due parti. Tanto israeliti come palestinesi abbiamo una componente nazionale e religiosa; l’idea è che il Dio della pace possa essere invocato con parole e gesti che sgorghino dal cuore e non dalla forza delle armi”.

Anche per questo dichiara di “non capire” la frase attribuita al rabbino argentino Sergio Bergman – riportata dall’Agenzia ebraica di informazione (Ajn) - che vede in Papa Francisco il "Che Guevara dei palestinesi" e nel viaggio un appoggio “alla lotta e diritti” dei palestinesi. “Se veramente l’ha pronunciata” chiarisce una e più volte. Una frase che “non mi piace” torna a dire condizionando il giudizio alla sua veridicità, anche perché contraddittoria con quanto scritto da Bergman nel proprio blog. Il rabbino della Congregazione Israelita argentina si rivolge a Bergoglio chiamandolo “il mio rabbino”, “un maestro che mi ha ascoltato, orientato, consigliato su come vivere la mia vocazione di servire tanto il Creatore come le sue creature nella sfida del bene comune”. Sfida a cui Sergio Bergman risponde dalle fila di Proposta Repubblicana (Pro), una alleanza di tendenza liberal conservatrice capeggiata dall’attuale sindaco di Buenos Aires Mauricio Macri.

Abraham Skorka riferisce di aver “parlato con il Papa privatamente”; e di essere certo che il suo sarà “un messaggio di pace, equilibrato e molto attento a non ferire nessun tipo di sensibilità. Sarà innanzitutto un pellegrinaggio” ribadisce. “Che Guevara ha avuto ideali grandi di giustizia sociale, di rettitudine, ma c’è un aspetto, quello delle armi, che non condivido. Anche noi vogliamo la giustizia sociale per i nostri popoli, ma attraverso il dialogo e un cambiamento profondo di atteggiamento. La storia dell’umanità ci insegna che tutte le grandi rivoluzioni che si sono affermate con spargimento di sangue hanno lasciato una scia di odio, e alla fin fine sono fallite. La rivoluzione reale è creare un uomo nuovo”.
http://vaticaninsider.lastampa.it/nel-mondo/dettaglio-articolo/articolo/skorka-ratzinger-31999/

Il San Valentino del Papa si trasforma in show, 25mila fidanzati da ogni parte del mondo

Papa-Francesco-san valentino-tuttacronaca
Papa Francesco ha sempre stupito i suoi fedeli, ora, in vista della Festa degli innamorati, si prepara a un vero e proprio show, con 25mila coppie di fidanzati, provenienti da tutte le parti del mondo, in Piazza San Pietro, che si incontreranno a San Valentino per ascoltare la parola del Pontefice. Francesco ha motivato così la sua decisione “Non sono ancora sposati, ma si amano e vogliono amarsi per sempre”. Forse il Papa sta cercando anche di colmare quel gap tra i giovani e la Chiesa che negli ultimi hanni si è ancora più acuito.
http://tuttacronaca.wordpress.com/2014/02/11/il-san-valentino-del-papa-si-trasforma-in-show-25mila-fidanzati-da-ogni-parte-del-mondoorma/

AMATEVI E MOLTIPLICATEVI - PER LA PRIMA VOLTA, IL PAPA FESTEGGIA SAN VALENTINO CON 25MILA FIDANZATI DA TUTTO IL MONDO (I MATRIMONI SONO COSÌ IN CALO CHE LA CHIESA DEVE “MOTIVARE” I COM-PROMESSI SPOSI)

L’unica condizione posta è che i fidanzati siano “promessi sposi” e che si sposino entro l’anno - La Chiesa vuole ridare fascino al matrimonio religioso ma sa bene che sette milioni di giovani italiani tra i 18 e i 34 anni vivono con almeno un genitore e non hanno voglia né soldi per fare il grande passo…

Aldo Cazzullo per ‘Il Corriere della Sera'
«Non sono ancora sposati, ma si amano e vogliono amarsi per sempre». Con questa motivazione, papa Francesco festeggerà san Valentino con 25 mila fidanzati. Un avvenimento senza precedenti nella storia della Chiesa: alle 11 e mezza di venerdì 14 febbraio, piazza San Pietro si aprirà a coppie di fidanzati venuti da 20 Paesi; la maggior parte sono italiani, ma ci saranno anche francesi, spagnoli, americani, asiatici. Un'ora di dialogo in mondovisione, con domande e risposte del Papa, conclusa da una benedizione.
papa BERGOGLIOPAPA BERGOGLIO
Una sola condizione: i fidanzati sono «promessi sposi», che contrarranno il matrimonio entro l'anno. In un primo tempo, la cerimonia era prevista nell'aula Nervi, intitolata a Paolo VI. Ma le adesioni via Internet sono state tante che in pochi giorni i 7 mila posti erano già bruciati. E quando si è arrivati a quota 25 mila il Vaticano ha deciso: si farà in piazza san Pietro.
L'idea è di Vincenzo Paglia, presidente del pontificio consiglio sulla famiglia, ed ex vescovo di Terni. «Nel terzo secolo dopo Cristo, vescovo di Terni era Valentino - racconta Paglia -. Secondo la tradizione, il santo intervenne per consentire il matrimonio tra una giovane cristiana e un militare pagano.
Neanche allora i matrimoni erano facili. La notizia si sparse, e in molti andarono da lui per chiedere aiuto. Ogni anno a Terni si tiene la festa della promessa, vengono in tanti a chiedere la benedizione. Da qui l'idea, in un tempo di spaesamento, di smarrimento, di crisi del matrimonio, di ridare uno scatto alla festa di san Valentino, di coglierla nella sua forza. Debbo dire che il Papa era rimasto contento dell'iniziativa fin dall'inizio. Ma non ci aspettavamo una risposta simile».
PAPA BERGOGLIOPAPA BERGOGLIO
Dice Paglia che «è un'esplosione certamente singolare, che va colta nella sua profondità, in una società in cui il matrimonio viene spostato sempre più in avanti negli anni, quando i problemi sono già tutti risolti. Questi fidanzati, invece, si sposano per edificare insieme il futuro, per poter risolvere insieme i problemi, per costruire insieme una casa che sia stabile per loro e per i loro figli».
Proprio ieri il Corriere dava notizia dei sette milioni di giovani italiani tra i 18 e i 34 anni che vivono con almeno un genitore. «È un dato che non può non rendere pensosi - commenta Paglia -. La politica deve assolutamente dare una risposta. Se non c'è casa e non c'è lavoro, è ovvio che si ritardi il tempo del matrimonio; ma in questo modo si ritarda l'edificazione della società.
ANTONIO SPADARO CON PAPA FRANCESCO BERGOGLIOANTONIO SPADARO CON PAPA FRANCESCO BERGOGLIO
Sposarsi da giovani vuol dire rendere la società più dinamica, offrire l'esercizio della responsabilità già in età giovanile e non solo adulta. Piazza San Pietro piena di fidanzati sembra voler dire che una risposta è possibile. Io mi auguro che l'esempio di papa Francesco sia contagioso presso i politici, gli economisti, gli operatori di cultura, perché mettano al centro della loro attenzione la questione della famiglia».
Bergoglio ha voluto che tutta la Chiesa per due Sinodi - il primo nell'ottobre 2014, il secondo un anno dopo - discutesse di famiglia, vista sia come tema ecclesiale sia come tema sociale. E sulla comunione ai divorziati, a cui già Ratzinger aveva aperto, durante un dialogo pubblico con coppie - sposate però - a Milano nel giugno 2012, adesso si profila un confronto tra i vescovi.
Mons Vincenzo PagliaMONS VINCENZO PAGLIA
«Ogni risposta è prematura - dice per ora Paglia -, anche perché la questione va affrontata nel più vasto orizzonte della condizione delle famiglie dei divorziati e dei risposati. Non tutti i casi sono uguali e non si può dare una risposta semplificata a una situazione complessa, che sarà analizzata con attenzione durante i lavori del Sinodo. Non c'è dubbio che la via della misericordia nella verità sarà percorsa fino in fondo».
Mons Vincenzo Paglia e Corrado PasseraMONS VINCENZO PAGLIA E CORRADO PASSERA
Dietro il San Valentino 2014, che si profila a suo modo storico, c'è ovviamente la popolarità di Francesco. «Il Papa riesce a intercettare questa domanda, questo bisogno di futuro - sostiene Paglia -. Il problema del matrimonio e della famiglia, prima di essere una questione di dottrina, è una questione di risposta alla solitudine. Questi giovani che verranno qui in piazza San Pietro e ci hanno stravolto il programma sono controcorrente.
Non hanno paura di sposarsi in un mondo che non crede più ai legami che durano per sempre. Non hanno paura di mettere su una famiglia in un mondo in cui si crede che è bene che ciascuno pensi a se stesso. In questo senso, questi giovani sono un segno di speranza per la Chiesa e per il mondo. Non che sposarsi risolva di per sé le difficoltà; ma a mio avviso si tratta di ridare fascino al matrimonio religioso.
PAOLO ROMEO E VINCENZO PAGLIAPAOLO ROMEO E VINCENZO PAGLIA
Tra l'altro, le statistiche in Italia mostrano che chi si sposa in chiesa si separa di meno. Non dobbiamo attutire l'ideale del matrimonio; dobbiamo rilanciarlo nel suo fascino e nella sua forza. In una società che si defamiliarizza, magari con l'idea che "tutto è famiglia", c'è bisogno di riproporre l'altezza del matrimonio e della famiglia».

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