ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 5 marzo 2014

Kasper la fa troppo facile, le domande inquietanti restano

Devo dire che il balletto delle dichiarazioni pubbliche sulla revisione della dottrina del matrimonio, non mi appassiona. Le fughe in avanti di questo o di quell’ecclesiastico sono uno spettacolo, talora di imprudenza pastorale, talora di vanità clericale. C’è sempre qualcuno, ecclesiastico o laico che sia, che cerca la via più semplice per sistemare i mali della terra: chi mandando il mondo, con i suoi mali, a quel paese, con tanti saluti per la misericordia di Dio, che si è fatto uomo per salvarci, e non per condannarci; e chi, invece, ritenendo che il mondo sia salvabile andando a braccetto con i tempi, mettendosi al traino delle mode del momento, come se non fossero, appunto, quanto di più effimero vi sia.

Chiamato a commentare il discorso del cardinale Kasper, lo faccio ben sapendo di offrire un contributo che vale quello che vale (poco), ma anche di porre delle domande che un cattolico ha il diritto di fare, nel momento in cui si vede cambiare le carte in tavola, dall’oggi al domani.
Andando dunque in medias res, mi sembra che il lunghissimo intervento del cardinale Kasper sia in molte parti condivisibile e bello. Nelle dichiarazioni di principio (l’indissolubilità è evangelica, e non si scappa); nel constatare l’esistenza di una forte crisi della famiglia nei luoghi che furono la Cristianità; nel proporre la bellezza della famiglia, vissuta e praticata, come il modo più efficace che il cristiano ha per contagiare il suo prossimo, e porlo così nella condizione di scorgere le bellezza della verità incarnata.
Qualcosa di stonato trovo, invece,  in frasi come questa: “Dobbiamo però essere onesti e ammettere che tra la dottrina della chiesa sul matrimonio e sulla famiglia e le convinzioni vissute di molti cristiani si è creato un abisso”. Perché di stonato? Non perché ciò che il cardinale dice non sia vero, ma perché una simile constatazione può nascondere, come effettivamente sembra di capire in seguito, una conclusione implicita: “Dunque, bisognerà rendere meno forte il divario…”.
Ma in che modo? Tramite una nuova evangelizzazione che, piano piano, con i tempi lunghi della storia, riporti a una maggiore armonia tra credo e vita, tra dottrina e prassi, tra fede e opere, oppure attraverso delle operazioni di maquillage che rendano meno brutto il volto deturpato delle famiglie cristiane? Seguendo la via di Cristo, tutto amore e nello stesso tempo consapevolezza di non essere capito da molti (sino alla crocifissione), o quella degli accomodamenti progressivi?
Quando Kasper accenna all’esistenza di molti matrimoni invalidi, perché celebrati in chiesa tra “pagani battezzati”, il discorso, a mio parere, si farebbe interessante: non solo per una più attenta valutazione di quello che dovrebbero fare, più celermente e talora con più amore, i tribunali ecclesiastici della sacra Rota, quanto perché sarebbe forse il caso di affrontare il problema alla radice. Prima di discutere sulla riammissione dei divorziati risposati alla comunione, non sarebbe più opportuno, per dei pastori, cercare di comprendere come mai molti battezzati siano pagani, e molti “pagani battezzati” siano stati e siano tuttora ammessi al sacramento del matrimonio, in evidente assenza dei prerequisiti e della consapevolezza richiesti?
Non sarebbe più opportuno chiedersi cosa si è fatto in questi 40 anni di divorzio legale in occidente per contrastare – sia a livello dottrinale, di ragione e di fede, sia a livello pratico, tramite opere di ascolto e di aiuto ai coniugi in difficoltà – il fenomeno della moltiplicazione continua dei divorzi? Kasper afferma di non voler toccare la dottrina, ma di voler rimanere sul piano pastorale: ma è proprio su questo piano che non viene avanzata alcuna vera riflessione, alcuna vera proposta, a meno che non si voglia credere che vi siano turbe di divorziati risposati che non aspettano altro che mettersi in fila per accostarsi al Corpo di Cristo!

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