ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 22 maggio 2014

Che domanda strana... abitano nel college Santa Marta!

Lo strano club delle amanti dei preti

Come hanno fatto a conoscersi e scrivere tutte insieme al Papa?

E’ vero, siamo sempre più abituati alla realtà che supera la fantasia. Ma c’è qualcosa che non quadra, nella storia delle ventisei donne “coinvolte sentimentalmente con un sacerdote o un religioso” che scrivono a Papa Francesco perché abolisca l’obbligo del celibato, lanciata dal sito Vatican Insider e all’origine di una rigogliosa fioritura di racconti e interventi, manco fossimo tutti piombati in un gigantesco sequel di “Uccelli di rovo” (romanzo e serie tv anni Ottanta sull’amore impossibile tra il fascinoso padre Ralph e la bella Meggie).
La domanda, quella che tutti dovremmo farci, se la fa sul sul blog, stranocristiano.it, Assuntina Morresi: “Di grazia, come hanno fatto a conoscersi fra loro ventisei amanti di preti? Dove si sono incontrate? Come le hanno raccolte le firme su quella lettera? Se si tratta di donne che hanno vissuto o stanno vivendo una relazione con un prete, questa è stata o è ancora clandestina… e come hanno fatto a incontrarsi in ventisei – diconsi ventisei – amanti clandestine di preti, da tutta Italia, e addirittura dire che sono un ‘piccolo campione’? Hanno fatto un club? Un sindacato? Un’associazione, una onlus, una cooperativa, una società di mutuo soccorso, una pagina facebook? Qualcuno mi spieghi come hanno fatto decine di amanti clandestine di preti a incontrarsi, e conoscersi tanto da scrivere insieme una lettera al Papa. Fanno gite sociali il fine settimana? Passano insieme le vacanze? E il ‘piccolo campione’ delle ventisei, come lo hanno scelto: hanno fatto le elezioni?”. Ironie a parte, rimane la sensazione di qualcosa – anzi, molto – che non quadra, nel sequel di “Uccelli di rovo” servito senza farsi troppe domande.
http://www.ilfoglio.it/soloqui/23417

preti sposati

Una mossa diversiva? cardinali corifei



Abbiamo molto scritto e riflettuto sull'onda delle sconcertanti esternazioni di Kasper, il "buon teologo" citato da papa Bergoglio nel suo primo Angelus, sulla questione sollevata nel recente concistoro [qui]. Egli si è fatto portavoce, sembra con l'avallo del papa, delle spinte antropocentriche innescate nella teologia e nell'ecclesiologia negli anni post-conciliari [qui], [qui], [qui].

Abbiamo esaminato anche le recenti dichiarazioni di Mons. Galantino [qui], chiamato personalmente da papa Bergoglio alla funzione di nuovo segretario della CEI, che appare oggi da lui stesso clamorosamente commissariata.

Senza ignorare le problematiche esternazioni del card. Schönborn [qui]. E cioè, che sempre più voci vogliono imporci la versione secondo la quale non si cambierà la Dottrina ma si adatterà la pastorale. Ultimo esempio quello di Scherer, il cardinale brasiliano, ex-papabile che ha detto: "La Chiesa deve, in qualche modo, sì affermare e confermare la Parola di Gesù sempre e di nuovo, non può rinnegare la Parola di Gesù, ma deve anche andare incontro alle situazioni storiche, concrete, per dare speranza e mostrare la via della misericordia, la via della vita cristiana, anche se con certi limiti che possono esserci."
Questa è la strada che ci stanno indicando vari elementi, quelli che ci dà il Papa stesso e quelli che ci danno i suoi corifei nelle varie tribune mediatiche e non: insomma in "qualche modo" (!!) bisognerà confermare la Parola di Gesù, ma si DEVE andare incontro alle attese della gente.
Inoltre, è da seguire con attenzione anche quel che scrive Tornielli. Le «donne dei preti» scrivono al Papa [qui]. Una lettera abbastanza improbabile, non tanto per il problema che espone quanto per la 'strana' coesione delle protagoniste, e che quindi sa tanto di costruito ad arte. È sempre interessante osservare quel che Tornielli riprende e sottolinea e quel che ignora. Tornielli ha un filo diretto, potremmo pensare che quel che altri non possono, ancora, dire direttamente, lo dica il vaticanista.

Mi accingevo dunque ad una riflessione su tutta questa enfasi agitatoria che in fondo riguarda un tema abbastanza marginale, se vogliamo, rispetto ai tanti nodi dell'attuale crisi. Mi chiedo, infatti, se non possa trattarsi di una strategia che tenta di nascondere un problema mettendone in campo un altro. E proprio stamane mi imbatto in un articolo di Fabrizio Cannone che ha espresso la stessa riflessione in maniera chiara e puntuale su Libertà e persona [qui]. Dunque lascio a riposo la mia tastiera e lo riprendo di seguito.


Una mossa diversiva?

L’intervista di mons. Nunzio Galantino pubblicata il 12 maggio su vari quotidiani, rivela la vera natura dell’attuale dibattito sulla comunione sacramentale ai divorziati risposati: una mossa diversiva, o almeno il tentativo di nascondere un problema, mettendone in campo un altro.
In questa prospettiva, la posta in gioco non sta nel dare la comunione ai divorziati rispostati, ma nell’ammettere al sacerdozio uomini coniugati. L’impossibilità di far accedere i risposati alla comunione è di diritto divino e nemmeno il Papa ha il potere di cambiarlo. Lo dovrebbero sapere anche i seminaristi. La regola del celibato sacerdotale è di diritto ecclesiastico, e il Papa, in astratto, avrebbe il potere di cambiarla. Tale problema sta a cuore a migliaia di preti e di teologi progressisti i quali, vivendo more uxorio, si trovano in piena contraddizione con le loro promesse di vita celibe e continente, e quindi in uno stato di peccato mortale (cf. CJC, 277 § 1). E il peccato mortale, se non espiato, anche dopo il Vaticano II conduce all’inferno (cf. CCC, 1861). Ci hanno già provato in vari modi sotto Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Ora sentono che è arrivato il momento propizio. Adesso o mai più. Perciò vogliono agire con astuzia, per non perdere l’occasione storica.
Come nel calcio: fai la finta a destra, per fuggire a sinistra. O nella strategia militare: si simula un attacco a sud, per aggredire il nemico a nord. Bisogna indebolire il nemico, attirandolo più possibile lontano dal luogo dell’attacco. Così, nell’attenzione universale per il problema (insolubile) dei divorziati risposati, in mezzo ai clamori della rissa teologica, non ci si accorgerà quasi dell’apertura verso il sacerdozio uxorato.
La delusione universale per la mancata comunione sacramentale ai divorziati rispostati (questo accadrà al Sinodo), sarà subito compensata da una benevola concessione: il sacerdozio uxorato. E così sarà giunta al suo epilogo la dottrina conciliare, secondo cui:
«La perfetta e perpetua continenza per il regno dei cieli, raccomandata da Cristo Signore (cfr. Mt 19,12) […] non è certamente richiesta dalla natura stessa del sacerdozio, come risulta evidente se si pensa alla prassi della Chiesa primitiva (cfr. 1 Tm 3,2-5; Tt 1,6) e alla tradizione delle Chiese orientali, nelle quali, oltre a coloro che assieme a tutti i Vescovi scelgono con l’aiuto della grazia il celibato, vi sono anche degli eccellenti Presbiteri coniugati» (Decreto Presbyterorum Ordinis, 16).
Se la realtà fosse così semplice, perché privare la Chiesa latina degli “eccellenti Presbiteri coniugati”?
Ma le cose non stanno così. Il celibato virtuoso se non è l’essenza del sacerdozio, ne è la sua eccellenza, il suo decoro e la sua integrità.
È vero che nella Chiesa primitiva molti sacerdoti erano scelti tra uomini sposati, ma è anche vero che una volta ordinati, vivevano nella perfetta continenza (cfr. Christian Cochini sj, Origini apostoliche del celibato sacerdotale, Nova Millennium Romae, Roma, 2011 [1981], pp. 506). È vero che la Chiesa orientale ha permesso, purtroppo, il sacerdozio uxorato, ma è anche vero che lo ha fatto alla fine del VII secolo e non prima, e per una situazione di necessità e di emergenza, non di normalità. È vero che vari sacerdoti celibi sono caduti nel peccato di pedofilia, ma è anche vero che in percentuale i pedofili sposati sono di più. È vero che in Occidente molti preti vivono more uxorio, ma è anche vero che in Oriente molti preti sposati non sono fedeli alla propria moglie.
È vero infine che nella Chiesa orientale ci sono anche eccellenti sacerdoti sposati, ma è pure vero che ce ne sono di mediocri e anche di pessimi: cattivi mariti, peggiori padri, pessimi sacerdoti.

Cosa si vorrebbe risolvere con il sacerdozio uxorato? In ogni caso il rimedio farebbe un danno peggiore della malattia che si pretende di guarire. Proprio al contrario, san Giovanni Paolo II in occasione del Giovedì Santo del 1979 disse ai sacerdoti: “La Chiesa latina [ma si potrebbe anche dire romana, dunque universale] riferendosi all’esempio di Cristo Signore, all’insegnamento degli Apostoli e a tutta la tradizione che gli è propria, ha voluto, e continuerà a volere, che tutti coloro i quali ricevono il sacramento dell’Ordine assumano questa rinuncia in vista del Regno dei cieli” (corsivo mio).
Fabrizio Cannone

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