ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 18 settembre 2014

Il cibo della mensa aziendale

Effetto 'Santa Marta': Indigestione o confusione e disorientamento?

Su segnalazione di un lettore, esaminiamo un passaggio della meditazione mattutina dello scorso 16 settembre dalla Domus Sanctae Marthae, la nuova inedita Santa Sede, se così possiamo ancora chiamarla [qui].
Si tratta pur sempre di magistero ordinario, e come tale criticabile col dovuto rispetto. È una critica che ci risparmieremmo volentieri se non fosse perché la diffusione mediatica così ampiamente enfatizzante diventa un problema a causa delle interpretazioni plurime di cui sono suscettibili i contenuti. Interpretazioni che dovrebbero essere escluse dall'eloquio petrino, ma che invece ci vengono praticamente riproposte ogni giorno. E forse sarebbe anche ora che qualcuno prendesse atto che questa pletora di divulgazioni a tappeto è foriera di confusione anche solo per la info-pollution1 inflazionante e banalizzante sia la persona del pontefice che la sua alta funzione nonché il messaggio che trasmette; il che - anche a prescindere dalle anomale interpretazioni plurime - non può non generare confusione. Ne avevo parlato anche [qui].
Ed ecco il brano segnalato:
“Il Signore – ha proseguito Papa Francesco - è profondamente commosso, come lo è stato davanti alla tomba di Lazzaro”. Come è commosso quel Padre “quando ha visto tornare a casa il figlio” prodigo:
“Vicinanza e compassione: così il Signore visita il suo popolo. E quando noi vogliamo annunziare il Vangelo, portare avanti la Parola di Gesù, questa è la strada. L’altra strada è quella dei maestri, dei predicatori del tempo: i dottori della legge, gli scribi, i farisei … Lontani dal popolo, parlavano … bene: parlavano bene. Insegnavano la legge, bene. Ma lontani. E questa non era una visita del Signore: era un’altra cosa. Il popolo non sentiva questo come una grazia, perché mancava la vicinanza, mancava la compassione e cioè patire con il popolo”.
Incontriamo di nuovo la ricorrente 'dicotomia', che di per sé è anche identificabile e giustamente stigmatizzata. È un discorso validissimo in linea teorica. Il problema nasce, in pratica, quando si scopre (peraltro del tutto indirettamente; il che è già frutto di una comunicazione ambigua e malsana e non propria del cristiano) quali sono i 'soggetti' ecclesiali che il papa stesso, personalmente e non oggettivamente, individua come "vicini" o come "farisei".
Il fatto di essere un ottimo predicatore e uno studioso (l'intelletto è una facolta', dono di Dio e la cultura è frutto del non sotterrare i talenti ricevuti) può arricchire e dare maggior calore e spessore alla "vicinanza". Ciò accade non solo ma anche attraverso parole di 'sapienza' autentica, che esprimono la compassione e la vicinanza spirituale oltre che quella materiale. E come se la vicinanza e la compassione non potessero sposarsi con una cultura autenticamente sapienziale - che esclude il moralismo farisaico - e non nozionistica. E come se l'annunciare il vangelo fosse determinato esclusivamente dal fare compassionevole, che coinciderebbe con l'autentico 'farsi vicini' piuttosto che con l'insegnare, che normalmente innesca e dà le coordinate al fare e anche la cifra autenticamente cristica della compassione. In fondo, anche in termini non spirituali, non si può sopperire con la pratica a ciò che non si sa in teoria. I due momenti si intersecano e si coniugano continuativamente.
Ci sarebbe da chiedere a Bergoglio: come mai gli apostoli hanno istituito i diaconi (basta ricordare Atti 6) proprio per continuare ad occuparsi della preghiera e della parola e dunque della santificazione e dell'insegnamento che sono propri dei pastori: innanzitutto maestri esantificatori? È solo da qui, infatti, che può nascere la vera diaconia, che è servizio e dono di sé in Cristo e non umanitarismo sociologico. Inoltre non dimentichiamo che Gesù, prima di mandarli ad evangelizzare, i "Suoi" li ha "costituiti" innanzitutto con l'insegnamento oltre che con l'esperienza della vita comune.
Invece, nell'ideologia bergogliana - che tale è ed anche molto tributaria della TdL et alia nel senso più dirompente - tutto quanto detto sopra di propriamente cattolico non viene preso in considerazione perché non più ritenuto un valore, ma visto come elemento deteriore e anzi addirittura frenante. Ma solo in quanto non assimilato nella sua corretta e limpida formulazione e corrispondente realtà spirituale.
I cristiani non si formano eliminando o disprezzando i maestri (in fondo si tratta del munus docendi) e le guide che custodiscono e dispensano la dottrina, che non è una gabbia ma luce e orientamento e soprattutto fondamento (munus regendi), completati e anche nutriti dalmunus sanctificandi della Liturgia e dei sacramenti. E neppure facendo dei cristiani degli itineranti in perenne uscita da sé (c'è una itineranza che non è solo materiale e ci sono 'periferie' esistenziali e spirituali non meno sofferenti di quelle materiali. In fondo c'è
  1. un uscire da sé sano, che richiede un ubi consistam2, e che nasce dall'istanza missionaria conseguente ad un'autentica conversione, che esige anche retta formazione e interiorizzazione e quindi realizzazione fedele del messaggio cristico, 
  2. ed un uscire da sé velleitario e sentimentale pieno di buona volontà ma dallo spirito gioachimita ch'è altro da quello che ha reso la Chiesa missionaria e china sui poveri di ogni tempo e di ogni luogo nel corso dei secoli, perché né la missionarietà né la misericordia né la carità sono una scoperta di Bergoglio. Piuttosto sono da lui rivisitatein termini moderni, ai quali viene data ampia enfasi mediatica, con un vero e proprio spirito pentecostalista e gioachimita, che sta creando confusione e devianze di non poco conto.
Del resto abbiamo più volte individuata e sottolineata la radice di questi atteggiamenti e conseguenti comportamenti, nei quali possiamo vedere un accanimento contro la Ragione: il Cristo è la Ragione divina, il Logos incarnato nella persona storica di Gesù di Nazareth. Se si sostiene che è necessario partire dall'azione e che questa vale per se stessa, mentre l’amore non ha nessuna regola, nessun precetto e nessuna precedenza, vi individuiamo la dislocazione della divina Monotriade identificata sapientemente da Romano Amerio [vedi] -
«Come nella divina Monotriade l’amore procede dal Verbo, così nell’anima umana il vissuto procede dal pensato. Se si nega la precessione del pensato dal vissuto, della verità dalla volontà, si tenta una dislocazione della Monotriade; allo stesso modo separare l’amore, la carità, dalla verità non è cattolico».
E così si tocca e si sovverte il fine primario dell'uomo che è: “conoscere, amare e servire Dio in questa vita e goderlo per tutta l'Eternità” (Cat. San Pio X). Dunque, prima viene “il conoscere” e poi viene “l’amare”. E il godimento consiste nell'intellezione ch'è anche visione, che spinge all'azione, e segue l’atto d'amore continuando a crescere per un lume soprannaturale, il lumen gloriæ. Ed è per questo che lo stesso Romano Amerio afferma:
«secondo la teologia cattolica, in specie in san Tommaso, la nostra beatitudine è commisurata alla nostra conoscenza: Dio avvalora, innanzitutto, la nostra conoscenza e questa conoscenza, così avvalorata, si infiamma naturalmente»3.
Ma tutto questo, e le implicazioni metafisiche dalle quali nasce e attraverso le quali viene espresso, sembra che ce lo siamo perso. Ed è questo che continuiamo a custodire e seminare senza perder di coraggio e di speranza.
Del resto e non a caso, proprio nell'articolo precedente commentavo come anche gli studiosi più qualificati sorvolino sul fatto che i principali fraintendimenti, espressione dell'attuale crisi, nascono proprio dalla difficoltà ermeneutica nella quale si nasconde la carenza della metafisica: ch'è problema di forma e di sostanza. Di fatto la modernità fa perdere chiarezza accusando il dogmatismo normativo (vedi affermazioni sempre più esplicite in questo senso di Bergoglio); ma accantonare la metafisica è significato accantonare la fede - divenuta spontaneista e sentimentaloide - e la dottrina che la veicola senza deviazioni, che dapprima è stata messa in un angolo e oggi è apertamente oltrepassata.

Concludendo, l'affermazione del papa lancia uno strale finale: «bene: parlavano bene. Insegnavano la legge, bene. Ma lontani». Di chi sta parlando? E lontani da chi e da cosa? Come si fa a stabilire che il "parlar bene" e "insegnare bene la legge" risponda all'equazione = farisei elontani e  quindi difetti di opere piene di vicinanza e compassione? E ci sarebbe da aggiungere, ma la considero solo una domanda retorica che fa il verso alla sua infelice affermazione fin troppo nota: "chi è lui per giudicarlo"? E alla fine il suo "giudizio", che peraltro non fa mancare nei confronti di ciò che non gli va a genio, tuona sempre in una direzione.
Maria Guarini
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1. Termine coniato dagli specialisti della comunicazione: inquinamento da informazione, che genera confusione. Considerato uno degli effetti negativi della rivoluzione informatica.
2. Prima della dottrina lo dice la logica. Del resto nella dottrina cosa c'è se non il Logos?
Dal Dizionario Hoepli: Punto d'appoggio materiale e morale, fondamento per agire con coerenza e stabilità: senza un ubi consistam valido, ogni progetto è destinato a fallire.
3. Da un inedito di Romano Amerio, gentilmente concesso da Enrico Maria Radaelli, pubblicato da «L’Osservatore Romano» il 18 marzo 2009 (p. 4); titolo originale: «La questione del Filioque. Ovvero la dislocazione della divina Monotriade».

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