ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 26 settembre 2014

Segno dei tempi maturi




A SUA SANTITA’ IL PAPA
FRANCESCO I
00120  Città del Vaticano
Santità:
             sono rimasto interdetto, amareggiato e, soprattutto indignato quando Lei, il giorno 19 settembre, ricevendo in udienza personale il sindaco di Roma, il dr. Ignazio Marino fornito di incolta barba, e abbracciandolo e salutandolo con trasporto, gli ha detto, in stile cameratesco: “Con questa barba sembri un francescano”.
   
Chissà perché m’è, all’istante, saltata in mente la dolorosa e mortificante vicenda dei Frati/Suore Francescani/e dell’Immacolata  che Lei ha messo sotto frusta inquisitoriale ravvisando, in quel suo plateale abbraccio e nella sua espressione amicale, un che di offensivo, di ingrato  e di disdicevole verso i figli del santo di Assisi. 
La barba?
Anche i talebani islamici sono barbuti, così come barbuti sono i rabbini talmudisti, così come barbuti sono i mormoni, così come barbuti sono i sikh, come barbute sono le capre.  C’era, insomma, un vasto e ed appropriato repertorio a cui attingere. Ma no! Marino dava l’impressione di un “francescano” quasi che in Lei – e lo dico come mera osservazione psicologica – persistesse, e persista, inquietante, l’immagine dell’Ordine messo sotto sequestro.

   
Vi ho visto – quale segno dei tempi maturi che Gesù ha descritto – la configurazione paradossale di una città, Roma, sede del Vicario di Cristo e della Cattedra del Successore di Pietro, governata da un sindaco ateo e, come in appresso noterà, apóstata e tuttavia famulo grafito nei sacri palazzi.
    
Vi ho visto la predilezione che Lei, Santità, nutre in modo spettacolarizzato per personaggi quali il dr. Ignazio Marino, abortista, eugenista, divorzista, progay, di cui non le dovrebbero essere ignote le esperienze personali, politiche e sociali: nel segno cristiano: boy-scout-Agesci, studî presso l’Istituto cattolico De Merode, università al Sacro Cuore e pratica medica al cattolico Policlinico Gemelli in Roma; e nel segno ateo: relatore al Senato di proposte di legge pro/eutanasìa e dintorni, in piena visibilità e pieno coinvolgimento personale nella vicenda che vide la sventurata Eluana Englaro uccisa da una cultura obituaria alla qual cultura Lei, in questa udienza e con questo abbraccio, ha reso indiretto ma palese omaggio.
Eppure, a ridosso della morte della giovane - martire per mano di quanti, come Ignazio Marino, predicano la “dignità della vita” arrogandosi il diritto di decidere come nascere e come morire - a ridosso di quella lacrimevole e vergognosa vicenda, dicevo, la Gerarchìa espresse esecrazione ed acerba condanna, così come testimonia il pur laicista giornale LaRepubblica (9/7/2008). Ma il tempo, come si dice, è vorace e divora anche le cose recenti, sicché agli organi  di stampa vaticani non è parso vero  oscurare e velare, in questa circostanza, per intervenuto oblìo, i precedenti  scontri, le intemerate e le invettive in cambio di reciproci sorrisi, pacche sulle spalle e complimenti con chi allora fu l’oggetto di quelle sante reprimende.

  
Ho visto in lei, Santità, il pastore che ama ricevere ed abbracciare il lupo, il nemico di Dio, e, nel contempo, bastonare a sangue il mite gregge raccolto nell’ovile, cacciandolo dai recinti della sicurezza e disperdendolo. Solo che, in questa contingenza, non sono  i nemici a colpire il pastore e a sparpagliare le pecore, ma è lo stesso pastore che si fa autore di simile inspiegabile ed imperdonabile crudezza.
   
Una scena, questa sua, Santità, amplificata dai massmedia che ha mortificato le anime semplici e i credenti e, soprattutto, ha mortificato quei servi del Signore, i Francescani dell’Immacolata,  accomunati, per quale riflesso associativo non si capisce, per un particolare fisico – la barba - a un soggetto miscredente, uno che, periodicamente accolto nelle sacre stanze, persiste tuttavia nel suo odio anticristiano che astutamente vela con modi garbati, falsa ammirazione per la Chiesa e falsa amicizia per lei.
Anzi, raddoppia il suo impegno nella lotta contro Dio, annunciando il gemellaggio osceno del “gay pride” romano con quello di San Francisco (USA). Ironìa di un disegno che unisce la Città Eterna a quella  statunitense, quella che porta il nome del “poverello” e il suo, Santità, in un vincolo sozzo e satanico.

  
Le riporto, per maggiore e puntuale conoscenza, la motivazione che, di questa sacrilega impresa, lo stesso Marino ha dato, e cioè: “Ancora una volta ribadiamo l’importanza del riconoscimento dei diritti e delle libertà di amare” (La Repubblica, 14/7/2014). Ed è notevole, Santità, e lo riporto quasi di passaggio, per curiosa connotazione, come il sindaco di Roma parli col NOI maiestatico mentre Lei, il Sommo Pontefice che riceve la sua dignità da Cristo, cioè  dalla Santissima Trinità, abbandonata questa ieratica forma, usa il pronomeIO. Tralascio, poi, il commento su quell’ “amare” che suona blasfemo e inquinante.
Tale annuncio è stato diramato alcuni giorni prima dell’udienza papale e dubitiamo, Santità, che gli organi preposti della Segreteria e della Sala Stampa vaticana non ne fossero a conoscenza. Ma la sua misericordia ha sorvolato su questa laida provocazione tanto che non le ha impedito di abbracciare il promotore. E a dimostrazione che nemmeno l’accostamento di costui a San Francesco gli abbia sortito nell’animo effetti benefici, quelli che Lei forse si augurava con il suo saluto, sta un’ulteriore iniziativa che, come scrivono i massmedia in data odierna, prevede la creazione, in Roma, di una “Zona dell’eros”, novella Babilonia che si costituirà come sede capitale di Satana.

Questo è il personaggio, questa la sua fede, questi i suoi frutti.
Ora Santità, non v’è chi non noti lo stridente atteggiamento suo, e della sua pastorale, ondeggiante tra le carezze che Lei riserva a una persona, come Ignazio Marino, in prima linea contro la legge di Dio, e la flagellazione a un Ordine religioso reo, secondo la sua visione conciliarista, di celebrare troppe Sante Messe secondo il Vetus Ordo e di non esporsisufficientemente nel sociale, di non puzzare di pecora, di non spingersi verso le periferie, di non accettare le sfide del mondo.

A prova che quanto in proposito scrivo non è fantasìa, le riporto la notizia, a Lei senz’altro nota, del divieto imposto a p. Serafino Lanzetta, frate francescano dell’Immacolata, teologo di finissima, solida e ortodossa cultura, di celebrare in Firenze la Santa Messa latina, quella che l’emerito pontefice Benedetto XVI ha dichiarato legittima e mai abrogata.

    
Buon pastore con il sindaco romano, in libera uscita nel territorio del male e libero di compierne a ritmi continui, ma pastore crudo e duro con figli devoti, obbedienti, presenti e santi.
Ma un pastore è buono non solo quando cura le pecore del suo ovile ma anche quando, per riportare nel recinto una pecora errabonda e sporca, usa anche i cani e, per purificarla, la tosa e la lava davanti a tutte le altre pecore.

Ignazio Marino andava lavato e tosato, mentre invece Lei ha tosato, e fino a scorticarli, i Frati Francescani contro il saggio che dice: “Boni pastoris est tondere pecus non deglubere” (Svet. Tib. 32, 3).
   
Lei, Santità, prende giustamente ardire e santo sdegno contro pedofili e mafiosi a cui lancia interdetti, scomuniche e procede con arresti, ma si intrattiene, cortese e direi fraterno, con chi non è diverso da coloro, con larghezza di udienze a ripetizione, abbracci e stima.
Ribaltando la parola evangelica del “figliol prodigo” pare che il vitello grasso, immolato ed imbandito per l’occasione, altri non sia che l’Ordine dei Francescani dell’Immacolata.
   
Alla luce di questi eventi sembra – e lo dico come logica riflessione anche se aspra e apparentemente irriverente -  che per accedere, Santità, ad un’udienza così calda, affettuosa e amichevole come quella rilasciata al dr. Ignazio Marino o al dr. Eugenio Scalfari, i Frati dell’Immacolata dovrebbero mutare anagrafe ed iscriversi nei registri e nelle liste degli abortisti, dei pro-gay, divorzisti, eugenisti, liberali, che godono della frequente ospitalità nella casa di Pietro, e della sua amicizia.

Ė un’amara riflessione ma coerente ed in linea con lo spirito rivoluzionario, ecumenistico e pastorale che caratterizza l’attuale suo pontificato.
     
Che pena quel suo abbraccio e che sgomento per quella sua espressione!

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