ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 15 ottobre 2014

Punto, e da capo §

Sinodo straordinario sulla famiglia – Primo tempo – 

Una riflessione



Così siamo giunti alla fine del primo tempo di questo film surreale che si è rivelato essere il Sinodo straordinario sulla famiglia, voluto da papa Bergoglio per porsi “nel duplice ascolto dei segni di Dio e della storia degli uomini e nella duplice e unica fedeltà che ne consegue”.
Sono le parole che si leggono nella “Relatio post disceptationem” (n° 3) presentata dal cardinale Péter Erdő il 13 ottobre 2014 e pubblicata sul sito del Vaticano.

Ed è proprio questa frase che, più di altre, rivela quella che si usa chiamare la mens di questo Sinodo o, per dirla più semplicemente, la sua intima intensione: un’assemblea planetaria di vescovi cattolici che ha inteso dedicarsi all’ascolto dei “segni di Dio” – e passi! – e della “storia degli uomini”.
Anche a voler tralasciare l’“ascolto” dei “segni” – una sorta di metafora moderna di stile mediatico superficiale e non certo di stile religioso – non si può evitare di chiedersi quale sia il senso vero di tale “duplice ascolto”.
I vescovi non dovrebbero – crediamo ingenuamente – osservare o “ascoltare” “la storia degli uomini”, semmai dovrebbero osservarla per ponderarla e giudicarla alla luce del Vangelo.

Ma pare che non sia così, almeno per questi  vescovi, e a leggere questa “Relatio”, perché lo strano “duplice ascolto” rivela che essi sentono il dovere di guardare “insieme” a Dio e agli uomini, ai segni di Dio e alla storia degli uomini, e non per valutare la seconda sulla scorta dei primi, ma per prenderli entrambi in seria considerazione “positiva”; quasi una confessione della perfetta equivalenza – nei loro cuori – dei primi con la seconda; un’improvvida e distorcente equiparazione che riduce i “segni di Dio” a mere manifestazioni terrene, e eleva “la storia degli uomini” ad eccelsa maestra di pensiero e di vita.

Non più la Chiesa che “informa” il mondo con la sua dottrina, che è l’insegnamento di Dio, ma il mondo – “la storia degli uomini” – che fornisce alla Chiesa i lumi per riflettere sui “segni di Dio”.

Nessuna esasperazione! Perché si legge testualmente: “nella duplice e unica fedeltà che ne consegue”.
Cioè?
Cioè niente, perché l’espressione in sé non significa granché, ma nasconde parecchio.
Quando si afferma che i vescovi si sentono vincolati ad una duplice fedeltà: ai segni di Dio e alla storia degli uomini, e che tale “duplice” fedeltà nei loro cuori sarebbe - “inevitabilmente?”- “unica”, se ne deduce che si tratta di una stessa fedeltà e della sola fedeltà sentita dai vescovi. Il che significa che nei loro cuori vi è un’unica fedeltà che debbono sia a Dio – ai “segni di Dio” – sia agli uomini - “alla storia degli uomini”.
Ancor prima di essere singolare, tale dichiarazione è semplicemente blasfema: dice il Signore: «Nessun può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire a Dio e a mammona» (Mt. 6, 24; Lc. 16, 13).

Ed è singolare, perché ci si chiede a quale “storia degli uomini” i vescovi debbano essere fedeli.
Chiunque conosca solo un po’ di “storia”, sa che di storie ne esistono a decine, molte delle quali sono coeve: una cosa è la storia dell’Occidente vista degli Occidentali, altra cosa è la stessa storia vista dagli Orientali, e potremmo continuare con la storia dei vinti e la storia dei vincitori, con la storia dei deboli e la storia dei forti, e così via.
A quale storia si sentono legati dal vincolo di fedeltà i vescovi del Sinodo?
Dal momento che non è detto e che non si accenna neanche alla storia sacra, si deve presumere che si tratti della storia corrente, cioè del modo di vita corrente del mondo moderno.
Ed allora è a questo vivere moderno che i vescovi cattolici riuniti in Sinodo sentono di dovere fedeltà.
Ma non si era detto che il principe di questo mondo è Satana?
Ed allora è alle opere di Satana che i vescovi debbono fedeltà?
Ma non avevano rinunciato anche loro alle opere di Satana, fin dal Battesimo?
Evidentemente c’hanno ripensato!

Ma è veramente così?
Se non è così in modo conscio, questa dichiarazione manifesta che è sicuramente così in modo inconscio, rivelando il terribile stato di dissociazione in cui essi si trovano.

Partendo da questa premessa, non sembra che si possa andare molto lontano… cattolicamente.
Ma siccome non può porsi limite alla Provvidenza di Dio, così, modernamente, non deve porsi limite alla potenza intellettuale degli uomini, soprattutto se chierici della nuova Chiesa conciliare!
I quali, grazie alla lucidità mentale ormai notoria, affermano (n° 5):
Il cambiamento antropologico-culturale oggi … richiede un approccio analitico e diversificato, capace di cogliere le forme positive della libertà individuale. Va rilevato anche il crescente pericolo rappresentato da un individualismo esasperato.”

Peccato che il “cambiamento antropologico-culturale”, ormai ben noto anche agli sprovveduti, è tale che, lungi dal richiedere ulteriori approcci analitici e diversificati,richiede la presa d’atto della sua perniciosità, della sua devianza e della sua induzione all’errore, al peccato e alla perdizione eterna delle anime.
E in tali condizioni non v’è alcunché di positivo che si possa cogliere da esso, e meno che meno alcuna forma positiva della libertà individuale, se non i residui di tenuta cattolica che ancora permangono in tanti uomini e che non sono da ricondurre né alla libertà individuale né al cambiamento antropologico-culturale, bensì a quanto di buono ha seminato nei loro cuori l’insegnamento cattolico ed ha alimentato la frequenza dei sacramenti cattolici.

Se si trascura tutto questo, resta solo una sorta di apprezzamento gratuito della libertà individuale, condotto in maniera tanto più incosciente per quanto si pretenda di distinguere, in modo fittizio, tra “forme positive della libertà individuale” e “indivualismo esasperato”.
Qui siamo alla stessa puerile, e colpevole, distinzione tra laicità buona e laicità cattiva o laicismo, come se la laicità, di per sé, e vissuta nell’attuale contesto “antropologico-culturale”, non fosse una palese dichiarazione di guerra a Dio, esattamente come la libertà individuale e l’individualismo oggi non sono altro che la pretesa dell’uomo all’autosufficienza, in quanto convinto di potere e di dovere prescindere da Dio e dalle sue leggi.

Ed è da questo delirio di onnipotenza che “si riscontra nei singoli un maggior bisogno di prendersi cura della propria persona, di conoscersi interiormente, di vivere meglio in sintonia con le proprie emozioni e i propri sentimenti, di cercare una qualità relazionale nella vita affettiva”.
Parole che si leggono testualmente nella “Relatio” (n° 9) e che riescono a suscitare nei vescovi solo la considerazione che “Qui vi è una grande sfida anche per Chiesa. Il pericolo individualista e il rischio di vivere in chiave egoistica sono rilevanti.

Parole che rivelano quindi una totale soggezione di questi vescovi alla moderna concezione viscerale dell’esistenza, tale da far loro scorgere semplicemente “il pericolo individualista” laddove è del tutto evidente la degenerazione in atto di ogni reale senso dell’esistenza e la manifestazione neanche tanto camuffata di ogni genere di vizio e deviazione.

Cos’è il “maggior bisogno di prendersi cura della propria persona” se non il sintomo evidente del narcisismo materiale che si fonda sull’auto sufficienza morale e spirituale?
Che cos’è il maggior bisogno di “conoscersi interiormente” se non la pretesa di affondare la coscienza della profondità della psiche con l’aiuto delle moderne concezioni neo-spiritualiste ed esistenzialiste?
Che cos’è il maggior bisogno “di vivere meglio in sintonia con le proprie emozioni e i propri sentimenti”, se non il risultato del bisogno di prima, che porta gli uomini ad identificarsi con le proprie pulsioni viscerali e con ogni giustificazione sentimentale di esse?
Che cos’è il maggior bisogno “di cercare una qualità relazionale nella vita affettiva”, se non il soddisfacimento della voglia personale di vivere qualunque “affetto” a prescindere dalla reale natura individuale?

E tutto questo, invece di essere bollato come deviazione antiumana che disprezza Dio e soggiace alle suggestioni di Satana, i vescovi lo chiamano “grande sfida per la Chiesa”,auspicando di fatto l’allineamento della vita cattolica alla depravazione del mondo.

Ed è inutile che si affermi (n° 10) che “Il mondo attuale sembra valorizzare una affettività senza limiti di cui si vogliono esplorare tutti i versanti, anche quelli più complessi”, e cioè ogni sorta di depravazione, se poi se ne deduce la mera incertezza delle coppie, l’esitazione e la fatica “a trovare i modi per crescere”; laddove si tratta invece della disintegrazione della personalità dei singoli e della realtà vera delle coppie.

Si deve concludere, quindi, che ci troviamo di fronte ad una totale mancanza di senso della responsabilità e di coraggio che trasforma questi vescovi da ministri di Dio in pavidi agenti di Satana.

Fino al punto che si legge (n° 11): “Occorre accogliere le persone con la loro esistenza concreta, saperne sostenere la ricerca, incoraggiare il desiderio di Dio e la volontà di sentirsi pienamente parte della Chiesa anche di chi ha sperimentato il fallimento o si trova nelle situazioni più disparate. Questo esige che la dottrina della fede, da far conoscere sempre di più nei suoi contenuti fondamentali, vada proposta insieme alla misericordia.

Così che si stabilisce che a priori non vi sarebbe nulla da riprovare, nulla da distinguere, nulla da additare come male, e di conseguenza nulla da indicare come bene… una sorta di rinuncia al discrimine, dove ogni cosa buona e ogni cosa cattiva convivrebbero insieme in una condizione di irreale anormalità, mentre si provvede alla negazione della vera normalità stabilita da Dio.
Il tutto sostenuto da una pretesa cervellotica che porta a dichiarare: “Questo esige che la dottrina della fede, da far conoscere sempre di più nei suoi contenuti fondamentali, vada proposta insieme alla misericordia”.

Un’incredibile novità, inaudita finora, che misconosce che la misericordia faccia parte della dottrina della fede, e lo misconosce volutamente e strumentalmente, per poter far passare il messaggio fuorviante che una cosa sarebbe la dottrina e altra cosa la misericordia, tali da poter essere coniugate separatamente e, se fa comodo, in maniera alternativa ed esclusiva… soprattutto della seconda nei confronti della prima.
Infatti, cosa significa un’affermazione siffatta, se non che si possa, e si debba, praticare la misericordia in alternativa alla dottrina e, se fa comodo, nonostante la dottrina?

Non contenti di questo, si cerca poi di far risalire questa dirompente novità fino a Gesù stesso (n° 12): “Gesù ha guardato alle donne e agli uomini che ha incontrato con amore e tenerezza, accompagnando i loro passi con pazienza e misericordia, nell’annunciare le esigenze del Regno di Dio.”; senza apportare a sostegno alcun riferimento ai Vangeli e dimenticando volutamente che i Vangeli ruotano intorno ad un principio che può essere riassunto dal noto passo dell’adultera salvata dalla lapidazione e a cui Gesù dice: «Neanch’io ti condanno; va e d’ora in poi non peccare più» (Gv. 8, 11), letto insieme al passo della guarigione dell’infermo alla piscina di Betzaetà, a cui Gesù dice: «Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio» (Gv. 5, 14); passi dai quali si evince che la misericordia di Gesù non implica affatto l’accompagnamento dei “loro passi con misericordia e pazienza”, quanto piuttosto la gratuita elargizione della grazia che esige la sincera e definitiva conversione, pena un castigo ancora maggiore.

Questi vescovi dimenticano volutamente, e colpevolmente, che l’“amore e la tenerezza” di Gesù, lungi dall’essere mera sdolcinatura sentimentale, erano e sono “giustizia divina”, quella stessa giustizia annunciata da Gesù in questi termini: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo.  … Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. … E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna».» (Mt. 25, 31-34, 41 e 46).

Passo del Vangelo che toglie ogni eventuale dubbio sull’insegnamento di Gesù e non permette che si possa affermare quanto scritto in questa “Relatio” (n° 14): “Gesù stesso, riferendosi al disegno primigenio sulla coppia umana, riafferma l’unione indissolubile tra l’uomo e la donna, pur comprendendo che «per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così» (Mt 19,8). In tal modo, Egli mostra come la condiscendenza divina accompagni sempre il cammino umano, orientandolo verso il suo principio, non senza passare attraverso la croce.”
Dove si vorrebbe far credere innanzi tutto, a mo’ di premessa, che Gesù confermasse il ripudio della moglie, risalente a Mosè, in nome della “condiscendenza divina”. Per concludere subdolamente: “In tal modo, Egli [Gesù] mostra come la condiscendenza divina accompagni sempre il cammino umano, orientandolo verso il suo principio, non senza passare attraverso la croce”.

Solo degli stolti possono provare a far credere ai fedeli che Gesù abbia insegnato che bisogna “accompagnare” il “cammino umano” nell’errore, quando nel Vangelo si legge: «Ed egli rispose: “Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”. Gli obiettarono: “Perché allora Mosè ha ordinato di darle ‘'atto di ripudio e mandarla via?”. Rispose loro Gesù: “Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un’altra commette adulterio”» (Mt. 19, 4-9).

E allora, da parte nostra, abbiamo l’obbligo di dire chiaramente, parafrasando la “Relatio”: “In tal modo, Egli [Gesù] mostra come la giustizia divina non accompagni mai il cammino umano, esigendo invece la fedeltà al principio, anche passando attraverso la Croce”.
È questo che avrebbero dovuto scrivere questi vescovi, e non il suo contrario, come hanno fatto, per trarre in inganno i fedeli e spianare loro la strada verso l’Inferno.

Hanno invece messo in essere una palese manovra di persuasione occulta per poter preparare gli spiriti ad accogliere una solenne eresia (n° 17): “In considerazione del principio di gradualità del piano salvifico divino, ci si chiede quali possibilità siano date ai coniugi che vivono il fallimento del loro matrimonio, ovvero come sia possibile offrire loro l’aiuto di Cristo attraverso il ministero della Chiesa. A questo proposito, una significativa chiave ermeneutica proviene dall’insegnamento del Concilio Vaticano II, il quale, mentre afferma che «l’unica Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica», riconosce che anche «al di fuori del suo organismo si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità, che, appartenendo propriamente per dono di Dio alla Chiesa di Cristo, spingono verso l’unità cattolica” (Lumen Gentium, 8).”
Dove, sulla base dell’eresia pronunciata dal Vaticano II e relativa all’impossibile santificazione presente nell’errore che sta fuori dalla Chiesa e contro di essa, si vorrebbe far passare, per similitudine, l’altrettanto impossibile santificazione che sarebbe presente nelle situazioni familiari irregolari, e cioè nelle coppie che decidono di vivere fuori dal matrimonio cattolico e contro di esso.
E questo perché, dice la “Relatio” (18): “La dottrina dei gradi di comunione, formulata dal Concilio Vaticano II, conferma la visione di un modo articolato di partecipare al Mysterium Ecclesiae da parte dei battezzati”.
Come dire che ognuno è padrone di essere cattolico come gli pare e piace.

Fino al punto che la Chiesa dovrebbe riconoscere e rispettare tutto ciò che fa a pugni con la dottrina di Cristo e con la disciplina cattolica (n° 20): “Rendendosi dunque necessario un discernimento spirituale, riguardo alle convivenze e ai matrimoni civili e ai divorziati risposati, compete alla Chiesa di riconoscere quei semi del Verbo sparsi oltre i suoi confini visibili e sacramentali. Seguendo lo sguardo ampio di Cristo, la cui luce rischiara ogni uomo (cf. Gv 1,9; cf. Gaudium et Spes, 22), la Chiesa si volge con rispetto a coloro che partecipano alla sua vita in modo incompiuto e imperfetto, apprezzando più i valori positivi che custodiscono, anziché i limiti e le mancanze.”

Di fatto un inno all’errore, di qualsiasi tipo esso sia, nel quale la Chiesa “deve” – “compete alla Chiesa” – riconoscere i semi del Verbo.
Mai si era sentita una blasfemia più pesante e più sfacciata; abbiamo dovuto aspettare il Vaticano II e papa Bergoglio per scoprire che anche in Satana sarebbero presenti degli elementi di santificazione che, per di più, “compete alla Chiesa di riconoscere”.

E nel leggere tali aberrazioni è inevitabile andare con la mente al monito di Nostro Signore: «Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; per il dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà. Ma chi persevererà sino alla fine, sarà salvato … Quando dunque vedrete l'abominio della desolazione, di cui parlò il profeta Daniele, stare nel luogo santo - chi legge comprenda» (Mt. 24, 11-13 e15).

Ed ecco la conseguente pastorale (n° 22): “In tal senso, una dimensione nuova della pastorale familiare odierna, consiste nel cogliere la realtà dei matrimoni civili e, fatte le debite differenze, anche delle convivenze. Infatti, quando l’unione raggiunge una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico, è connotata da affetto profondo, da responsabilità nei confronti della prole, da capacità di resistere nelle prove, può essere vista come un germe da accompagnare nello sviluppo verso il sacramento del matrimonio. … Conforme allo sguardo misericordioso di Gesù, la Chiesa deve accompagnare con attenzione e premura i suoi figli più fragili, segnati dall’amore ferito e smarrito, ridonando fiducia e speranza”.

Ma questo non è più l’insegnamento cattolico: qui siamo all’assurdo dei vescovi che hanno fatto proprio l’insegnamento massonico e che osano spacciarlo per insegnamento della Chiesa di Cristo.

Pastorale che guarda ai divorziati con due direttive da adottare: annullare canonicamente i matrimonii falliti e regolarizzati dalla legge laica, e permettere ai divorziati risposati di accedere all’eucarestia (nn° 40-49).

E guarda anche agli omosessuali, dei quali i vescovi affermano (n° 50): “Le persone omosessuali hanno doti e qualità da offrire alla comunità cristiana”,
tali che la Chiesa (n° 52): “Senza negare le problematiche morali connesse alle unioni omosessuali si prende atto che vi sono casi in cui il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la vita dei partners.”

Da cui è facile comprendere che non abbiamo esagerato prima, quando abbiamo indicato che i vescovi cattolici hanno deciso di abbracciare la menzogna di Satana, spacciandola per verità cattolica.

E mettiamo la parola “fine” allo sguardo d’insieme sul primo tempo di questo film surreale che si è rivelato essere il Sinodo straordinario sulla famiglia; ripetendo a noi stessi e agli altri quanto assicurato da Nostro Signore a fronte del dilagare dell’iniquità: «Ma chi persevererà fino alla fine, sarà salvato» (Mt. 24, 13).

SINODO. Il punto della situazione fatto dalla Fraternità San Pio X

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Riportiamo con interesse il "punto della situazione" esposto sul sito della FSSPX (sanpiox.it): Sinodo sulla famiglia: una rivoluzione dottrinale sotto una maschera pastorale
Lunedì 12 ottobre, il relatore generale del Sinodo straordinario sulla Famiglia, Card. Peter Erdő, Primate di Ungheria, ha reso pubblico la relazione intermediaria che dà un’idea dell’orientamento del dibattito che si tiene a porte chiuse da una settimana, e che ne durerà ancora un’altra.
 Ciò che colpisce a primo acchito, è il ritrovare in questa relazione le proposizioni scandlaose tenute dal Card. Kasper nell’intervista con il vaticanista Andrea Tornielli del 18 settembre, circa un mese fa. Come se tutto fosse già previsto.

Ognuno giudichi da sé:
-         Card. Kasper, 18 settembre: «la dottrina della Chiesa non è un sistema chiuso: il Concilio Vaticano II insegna che c’è uno sviluppo, nel senso di un approfondimento possibile. Mi chiedo se sia possibile in questo caso un approfondimento simile a quello avvenuto nell'ecclesiologia: anche se quella cattolica è la vera Chiesa di Cristo, ci sono elementi di ecclesialità anche fuori dai confini istituzionali della Chiesa cattolica. In certi casi, non si potrebbero riconoscere anche in un matrimonio civile degli elementi del matrimonio sacramentale?Per esempio l'impegno definitivo, l'amore e la cura reciproca, la vita cristiana, l'impegno pubblico che non c'è nelle coppie di fatto?»
-         Card. Erdő, 13 ottobre: «una significativa chiave ermeneutica proviene dall’insegnamento del Concilio Vaticano II, il quale, mentre afferma che “l’unica Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica», riconosce che anche «al di fuori del suo organismo si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità, che, appartenendo propriamente per dono di Dio alla Chiesa di Cristo, spingono verso l’unità cattolica” (Lumen Gentium, 8). In questa luce, vanno anzitutto ribaditi il valore e la consistenza propria del matrimonio naturale. Alcuni si domandano se sia possibile che la pienezza sacramentale del matrimonio non escluda la possibilità di riconoscere elementi positivi anche nelle forme imperfette che si trovano al di fuori di tale realtà nuziale, ad essa comunque ordinate. La dottrina dei gradi di comunione, formulata dalConcilio Vaticano II, conferma la visione di un modo articolato di partecipare al Mysterium Ecclesiae da parte dei battezzati. Nella medesima prospettiva, che potremmo dire inclusiva, il Concilio dischiude anche l’orizzonte in cui si apprezzano gli elementi positivi presenti nelle altre religioni (cf. Nostra Aetate, 2) e culture, nonostante i loro limiti e le loro insufficienze (cf. Redemptoris Missio, 55).» (Relatio post disceptationem del Relatore generale, Card. Péter Erdő, 13.10.2014)
In un’intervista accordata a DICI il 3 ottobre, Mons. Bernard Fellay, Superiore generale della Fraternità San Pio X, aveva attaccato lo specioso ragionamento del Card. Kasper: «Il Cardinal Kasper è assolutamente logico, perfettamente coerente: propone un’applicazione pastorale al matrimonio dei nuovi princìpi sulla Chiesa enunciati al Concilio in nome dell’ecumenismo: ci sono degli elementi di ecclesialità al di fuori della Chiesa. Passa così in modo logico dall’ecumenismo ecclesiale all’ecumenismo matrimoniale: ci sarebbero così, secondo lui, degli elementi del matrimonio cristiano al di fuori del sacramento. Per vedere le cose concretamente, chiedete a uno sposo cosa penserebbe di una fedeltà coniugale “ecumenica” o di una fedeltà nella diversità!».
Su Il Foglio del 15 marzo 2014, il Card. Carlo Caffarra, Arcivescovo di Bologna, aveva risposto ai propositi del Card. Kasper sui divorziati “risposati”, tenuti durante il concistoro del 20 febbraio, in termini vigorosi: «Quindi, c’è (ci sarebbe, secondo le tesi di Kasper, ndr) un esercizio della sessualità umana extraconiugale che la Chiesa considera legittima. Ma con questo si nega la colonna portante della dottrina della Chiesa sulla sessualità. A questo punto uno potrebbe domandarsi: e perché non si approvano le libere convivenze?  E perché non i rapporti tra gli omosessuali?».
Il rapporto del Card. Erdő apre delle prospettive pretestuosamente “pastorali” in questa duplice direzione: « Una sensibilità nuova della pastorale odierna, consiste nel cogliere la realtà positiva dei matrimoni civili e, fatte le debite differenze, delle convivenze (...) Anche in tali unioni è possibile cogliere autentici valori familiari o almeno il desiderio di essi. Occorre che l’accompagnamento pastorale parta sempre da questi aspetti positivi (...) Le persone omosessuali hanno doti e qualità da offrire alla comunità cristiana: siamo in grado di accogliere queste persone, garantendo loro uno spazio di fraternità nelle nostre comunità? Spesso esse desiderano incontrare una Chiesa che sia casa accogliente per loro. Le nostre comunità sono in grado di esserlo accettando e valutando il loro orientamento sessuale, senza compromettere la dottrina cattolica su famiglia e matrimonio?» (nn. 36, 38 e 50).
Questi propositi, che si pretendono unicamente “pastorali”, senza implicazioni dottrinali, - come ai tempi del Concilio Vaticano II -, saranno dibattuti dai membri del Sinodo straordinario durante questa settimana, e da tutte le diocesi nel corso del 2014-2015, prima della riunione del Sinodo ordinario nell’ottobre 2015.
Ma fin d’ora, secondo quanto riconoscono i Cardinali Kasper e Erdő, si può affermare che, come il Vaticano II ha introdotto l’ecumenismo con la nozione di “comunione meno perfetta”, il Sinodo si prepara a proporre il matrimonio ecumenico con una nozione di indissolubilità modulabile, cioè più o meno solubile nella “pastorale”.

Il 3 ottobre Mons. Fellay affermava: «noi rimproveriamo al Concilio questa distinzione artificiale tra dottrina e pastorale, perché la pastorale deve necessariamente derivare dalla dottrina. Proprio tramite molteplici aperture pastorali sono state introdotte nella Chiesa delle mutazioni sostanziali, e la dottrina è stata intaccata. È esattamente quello che è successo durante e dopo il Concilio, e noi denunciamo la medesima strategia utilizzata ora contro la morale matrimoniale».

        [NOTERELLE] Il (nuovo) Sinodo Cadaverico

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Con questa nota si apre una piccola rubrica, denominata "Noterelle" che stabilmente entra a far parte della rassegna di articoli di Radio Spada. Prima di scrivere ulteriormente, una doverosa premessa ci tocca.
Non vorremmo che il paragone, insito nel titolo di questo pezzo, con il "Sinodo del Cadavere, tenuto nel gennaio 897 contro le spoglie di Papa Formoso, risultasse ingiurioso alla memoria di Papa Stefano.
S.S. Papa Stefano VII non voleva infatti fondare un' altra Chiesa o annichilire il cattolicesimo romano trasformandolo in una farmacopea eudemonistica, indifferentista e antropocentrica, svenduta al signore di questo mondo, tradendo in questo modo i mandati di Cristo stesso e infrangendo il Munus petrino.  
Voleva invece, spinto da motivi essenzialmente politici e fondandosi su una visione canonistica del Papato ancora incompleta (questa è la questione di maggior peso del Sinodo cadaverico), tenere un sinodo meramente disciplinare per la condanna di Papa Formoso e quindi per l'annullamento del suo pontificato e dei suoi atti.
I particolari macabri del Sinodo del gennaio 897, che tanto piacquero a protestanti e anticlericali di ogni tempo,  sono totalmente irrilevanti, dato che quello che conta è capire se il processo aveva fondamento canonistico oppure no. Si può dire che sostanzialmente il processo si fondava su motivazioni di ordine politico e su contrapposizioni di fazione, era frutto di un periodo assai turbolento della Roma Papale e, alla luce dei pronunciamenti e della prassi pontificia successiva (malgrado la conferma di S.S. Papa Sergio III, anche egli antiformosiano) può essere considerato DE FACTO E DE JURE errato. Ovviamente il Papa, trattandosi di un procedimento disciplinare ad personam, non ha usato dell'infallibilità. Se poi abbia peccato contro carità o giustizia e abbia agito per malevolenza personale, questo appartiene al foro interno del Papa stesso ed il Divino Giudice l'avrà giudicato, al momento del suo Giudizio particolare. Giova sempre ricorda che il  Papa quindi fa "il bene o il male della Chiesa" ESSENZIALMENTE nell'esercizio del Magistero, ovvero nella comunicazione delle Verità e dei precetti divini e nella custodia dei sacramenti come mezzi necessari alla Salus animarum, NON ESSENZIALMENTE nella prassi disciplinare, nelle scelte politiche e, da ultimo,  nella condotta di vita.
In questo "sinodo dei vescovi",  "presieduto" da Bergoglio,  sul trono, tramutato in banco degli accusati,  non troviamo invero  il cadavere del pur innocente Papa Formoso ma qualcosa di ben più nobile, alto,  inconcusso ed eterno: la morale cattolica, il Magistero ecclesiastico,  la dignità della Chiesa, società perfetta,  che, pur abbracciando i peccatori, rimane immacolata. E la differenza non è di poco conto.   Aggiungiamo poi sommessamente e per inciso: ben altri e assai più fondati sinodi (realmente) cadaverici ci vorrebbero oggi...
Piergiorgio Seveso 

§ 

IL SINODO KASPERIANO

Chi nega il “principio di non contraddizione” perde anche la “sinderesi” e “il ben dell’intelletto”
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Quando si nega il principio primo speculativo di identità e non contraddizione (sì = sì, no = no, sì ≠ no), immancabilmente si perde – prima o poi – anche il principio primo di ordine morale, ossia la sinderesi (“bonum faciendum, malum vitandum”), che riposa su quello di identità (bene = bene, male = male, bene ≠ male), come l’agire riposa sull’essere e il modo di agire sul modo di essere; per cui – alla fine – si perde la nozione di bene e di male, li si confonde e si scambia il male per il bene, la destra per la sinistra, il giorno per la notte e viceversa. “Quos Deus vult perdere prius demendat”.
In questi tristissimi tempi anche nell’ambiente ecclesiale più alto (“Sinodo sui Sacramenti ai divorziati” diretto dal cardinal Walter Kasper & da papa Bergoglio) si è persa la ragione speculativa e pratica e quindi si scambia il sì col no, il bene col male e si pretende di poter dare i Sacramenti anche a coloro che non hanno la volontà ferma di lasciare il peccato. Purtroppo è un fatto e “contro il fatto non vale l’argomento”.
Se Pio XII lamentava che il mondo moderno aveva perso il senso del male e del peccato, oggi il mondo ecclesiale post-conciliare e post-moderno vorrebbe rendere addirittura ‘bene’ ciò che è ‘male’ e ‘male’ ciò che è ‘bene’.
Le ultime vicende del cardinal Kasper & di papa Francesco
Le ultime vicende del “Sinodo sui Sacramenti da conferirsi ai pubblici peccatori”, che si ostinano a restare nel peccato sono di dominio pubblico e sono caldeggiate dai media. Stando così le cose non si può non affrontarle studiando il male nelle sue radici e nelle sue ultime manifestazioni per risalire alle sua causa e poterlo guarire.
Il caso del Sinodo attuale non può non farci pensare e risalire al “Catechismo” della Conferenza episcopale belga, diretta dal cardinal Daneeels, promulgato nel 1984 , che si presentava come un aggiornamento del “Catechismo” olandese, al quale lavorò il domenicano super-modernista padre Edward Schillebeeckhx attorno al 1968, anno in cui anche l’intera Conferenza episcopale francese si schierava contro l’Enciclica Humane vitae di Paolo VI e si pronunciava a favore della contraccezione.
Come mai si potuti arrivare a tanto? È semplice, come si è visto sopra, quando si nega il principio per sé noto speculativo di identità e non contraddizione si perde anche il principio per sé noto di ordine pratico o la sinderesi, che riposa su quello di identità; per cui si smarrisce la nozione di bene e di male, li si confonde e si prende il male per bene e viceversa. “Chi perde la fede perde la testa”.
Il principio d’identità, che ha retto e diretto la filosofia classica da Socrate, Platone, Aristotele, Cicerone, Seneca sino a quella patristica (Sant’Agostino), la scolastica (san Bonaventura e San Tommaso d’Aquino) e la neo-scolastica , è stato negato nell’antichità dai sofisti ed ha caratterizzato il fulcro della filosofia moderna soprattutto hegeliana, la quale si basa sulla contraddittorietà (tesi/antitesi/sintesi) quale mezzo per giungere alla conoscenza filosofica.
Le conseguenze pratiche, etiche e morali di tale rifiuto sono state tratte soprattutto dalla filosofia post-moderna e contemporanea a partire da Nietzsche , Marx e Freud, secondo la quale bisogna sovvertire il sistema di valori morali classici e cristiani per sostituirgliene uno diametralmente opposto, che ritenga bene ciò che era male e male ciò che era bene. Quindi si può fare la seguente equazione: il Vaticano II sta alla Modernità illuminista come il Nichilismo della Post-modernità sta al Post-concilio e specialmente al “Bergoglismo” a-teologico e iper-pastorale.
Infatti il Concilio Vaticano II ha voluto dialogare e far propria la Modernità come categoria filosofica e nel Post-concilio non solo qualche teologo, ma i “periti conciliari” più rinomati (creati poi cardinali) ed intere Conferenze episcopali hanno tirato delle conclusioni sia in campo dogmatico che morale, le quali sono paragonabili allo spirito del Sessantotto, preparato dalla Scuola di Francoforte e dallo Strutturalismo francese .
I “valori” autonomi o soggettivi della Modernità sono stati annichilati dalla Post-modernità, la quale ha reso alla filosofia moderna ciò che essa aveva fatto alla filosofia classica e scolastica. Se la Modernità ha cancellato la oggettività e realtà ontologica di Dio e dell’aldilà, la Post-modernità ha voluto distruggere persino l’idea soggettiva dell’ultra mondano.
Addirittura con Francesco I si è passati dai “valori” soggettivi o autonomi della Modernità ai contro-valori della Post-modernità, il “bene” soggettivo e puramente umano è diventato un contro-valore o un male da schiacciare, dalla morale autonoma o della situazione si è passati all’immoralismo teorico/pratico per principio, il bene è diventato male e il male bene. Francesco I lo ha dichiarato nella sua prima intervista a Eugenio Scalfari: “Il Vaticano II, ispirato da papa Giovanni e da Paolo VI, decise di guardare al futuro con spirito moderno e di aprire alla cultura moderna. I padri conciliari sapevano che aprire alla cultura moderna significava ecumenismo religioso e dialogo con i non credenti. Dopo di allora fu fatto molto poco in quella direzione. Io ho l’umiltà e l’ambizione di volerlo fare” (Repubblica, 1° ottobre 2013, pag. 3).
Purtroppo Giovanni XXIII e il Vaticano II invece di guarire l’uomo ferito dal peccato originale, hanno cercato di minimizzare e di assecondare le false idee e di rilassare i precetti morali che il Vangelo contiene ed “hanno reso la piaga cancrenosa”, come dice il proverbio.
Come si può facilmente scorgere il Neo-modernismo è ben peggiore del Modernismo (come la Post-modernità lo è per rapporto alla Modernità), poiché ha rimpiazzato la pur debole “idea soggettiva” di “bene” con il male voluto scientemente e per principio. In breve l’Ultramodernismo porta al parossismo suicida l’errore nichilistico del Neomodernismo.
L’attuale situazione della Chiesa è un vero tormento e non ci deve portare a disprezzare la figura del Papa in quanto tale né il Papato, anzi dobbiamo difenderli quando sono attaccati da coloro (v. Dichiarazione dell’Onu del 5 febbraio 2014) che li odiano in quanto tali, nonostante le edulcorazioni e gli annacquamenti che sono stati apportati per rendersi simpatici all’uomo contemporaneo (“quando il sale diventa insipido viene buttato via e calpestato”).
Nello stesso tempo è lecito mostrare con rispetto le divergenze tra la Tradizione costante della Chiesa e l’insegnamento pastorale oggettivamente innovatore, della kasperiana “evoluzione eterogenea” della pastorale e quindi implicitamente del dogma, poiché Kasper si basa sull’errore modernista della “Tradizione vivente” e quindi cangiante, mentre “vivente” è solo il Magistero nella persona del Pontefice regnante (e quindi fisicamente vivente) e non la Tradizione, il dogma e la morale, le quali possono essere approfondite nello stesso senso o omogeneamente, ma mai evolvere eterogeneamente o in senso sostanzialmente diverso.
Avendo abbandonato la morale naturale e oggettiva per aderire alla “morale della situazione” e al Modernismo ascetico, il Teilhardismo (sin dagli anni Venti-Trenta), la pastorale del Concilio Vaticano II (1962-1965) e il primato della prassi della super-pastoralità del Post-concilio (1965-2014) hanno aperto la porta alla forza propulsiva e annichilatrice delle passioni disordinate. Non si è voluto più insegnare a sublimare, dominare, padroneggiare le passioni per finalizzarle al bene, ma, sotto pretesto di non “reprimere”, le si è lasciate in balìa del disordine, che porta l’uomo ad agire male. In verità nell’uomo, dopo il peccato originale, vi sono delle tendenze o inclinazioni disordinate, che lo spingono al male. Esse sono la Tre Concupiscenze: “Orgoglio, Avarizia e Lussuria”. Quindi l’educazione delle passioni o istinti sensibili umani è di capitale importanza. Non si tratta di annullarle o reprimerle, ma di educarle e subordinarle all’intelletto e alla volontà e ultimamente alla grazia . Ecco come si è giunti al “Catechismo” olandese, belga e all’attuale “Sinodo della pastorale sacramentale” (ottobre 2014-ottobre 2015) diretto da Kasper & Bergoglio.
Bisogna vivere come si pensa (Fede e Buone Opere), altrimenti si finisce per pensare (luteranamente) come si vive (“pecca fortiter sed fortius crede”). Certe teorie incresciose (dare i Sacramenti ai peccatori pubblici, che si ostinano nel peccato e non lo vogliono lasciare) sono stati pianificate e pensate dal Teilhardismo (“l’eterno femminino”), dal Vaticano II (“connubio spurio con la modernità antropo-centrica dei senza Dio”) e dal Post-concilio (“connubio spurio con la Post-modernità nichilistica dei contro Dio”). Ora un errore (Vaticano II) non si corregge con un altro errore (“il Concilio Vaticano III” di Martini, Rahner, Schillebeeckhx, Küng, Kasper & Bergoglio) o con una mezza verità (“l’ermeneutica della continuità balthasariana conclamata da Benedetto XVI, però non provata” ), ma con la verità integralmente affermata e vissuta. “Instaurare omnia in Christo”.
Quando dopo l’Umanesimo e il Rinascimento scoppiò la rivolta protestante, la Chiesa si interrogò e capì che le false idee e i costumi rilassati umanistico/rinascimentali si erano infiltrati nel clero e nel popolo cattolico e volle riformarsi tramite il Concilio di Trento, nel quale la Somma Teologica di san Tommaso d’Aquino era aperta davanti l’altare dell’Assise conciliare tridentina. Da essa nacque la fioritura teologica e ascetica della Controriforma (la seconda Scolastica e la spiritualità ignaziana e carmelitana di S. Giovanni della Croce e S. Teresa d’Avila), che hanno prodotto insigni teologi, Dottori ecclesiastici e grandi Santi.
Oggi bisogna, con la grazia di Dio, ri-educare tutto l’uomo, nel fisico, nelle passioni sensibili, nelle idee e nell’agire morale e soprannaturale. Non è la Modernità che ci salverà, neppure il dialogo inter-religioso, ma la Verità, che è Gesù Cristo heri, hodie et in saecula.
Che fare?
La Chiesa insegna che di fronte a una decisione errata dell’autorità ecclesiastica al cattolico avveduto è lecito non solo negare il suo assenso, ma anche in casi estremi, opporvisi pubblicamente. Tale opposizione può costituire persino un autentico dovere.
Scrivendo di San Cirillo di Alessandria, insigne avversario del nestorianesimo, dom Prospero Guéranger insegna: «Quando il pastore si cambia in lupo, tocca anzitutto al gregge difendersi. Di regola, senza dubbio, la dottrina discende dai Vescovi ai fedeli; e i sudditi non devono giudicare nel campo della fede i loro capi. Ma nel tesoro della Rivelazione vi sono dei punti essenziali dei quali ogni cristiano, per il fatto stesso di essere cristiano, ha la necessaria conoscenza e la custodia obbligatoria».
Il Dottore Angelico, in diverse sue opere, insegna che in casi estremi è lecito resistere pubblicamente ad una decisione papale, come San Paolo resistette in faccia a San Pietro: «essendovi un pericolo prossimo per la Fede, i prelati devono essere ripresi, perfino pubblicamente, da parte dei loro soggetti. Così San Paolo, che era soggetto a San Pietro, lo riprese pubblicamente, a motivo di un pericolo imminente di scandalo in materia di Fede. E, come dice il commento di Sant’Agostino, “lo stesso San Pietro diede l’esempio a coloro che governano, affinché essi, se mai si allontanassero dalla retta strada, non rifiutino come indebita una correzione venuta anche dai loro soggetti” (ad Gal. 2, 14)» .
San Tommaso aggiunge anche che questo episodio della Scrittura contiene insegnamenti tanto per i prelati quanto per i loro sudditi: «Ai prelati [fu dato esempio] di umiltà, perché non rifiutino i richiami dei loro inferiori e soggetti; e ai soggetti [fu dato] esempio di zelo e di libertà, perché non temano di correggere i loro prelati, soprattutto quando la colpa è pubblica e costituisce un pericolo per molti» .
Francisco De Vitoria scrive: «Secondo la legge naturale è lecito respingere la violenza con la violenza. Ora, con ordini e dispense abusive, il Papa esercita una violenza morale, perché agisce contro la legge. Quindi è lecito resistergli moralmente. Come osserva il Gaetano, non facciamo questa affermazione perché qualcuno abbia diritto di giudicare il Papa o abbia autorità su di lui, ma perché è lecito difendersi dall’errore e dal male morale. Chiunque, infatti, ha il diritto di resistere ad un atto ingiusto, di cercare di impedirlo e di difendersi intellettualmente e moralmente» .
Francisco Suarez: «Se [il Prelato] emana un ordine contrario ai buoni costumi, non gli si deve ubbidire: se tenta di fare qualcosa di manifestamente contrario alla giustizia e al bene comune, sarà lecito resistergli; se attaccherà con la forza, potrà essere respinto con la forza, con quella moderazione propria della legittima difesa».
San Roberto Bellarmino: «Com’è lecito resistere al Pontefice che aggredisce il corpo, così pure è lecito resistere a quello che aggredisce le anime o perturba l’ordine civile, o, soprattutto, a quello che tenta di distruggere la Chiesa. Dico che è lecito resistergli non facendo quello che ordina ed impedendo la esecuzione della sua volontà: non è però lecito giudicarlo, punirlo e deporlo, poiché questi atti sono propri di un superiore».
d. Curzio Nitoglia
 7/10/2014

3 commenti:

  1. “Nel duplice ascolto dei segni di Dio e della storia degli uomini"...Che eccelgano nell'ascolto delle storie degli uomini non ci sono dubbi , che facciano altrettanto per i segni di Dio appare un po' meno credibile. Per fortuna che c'è Benigni a rassicurarli..

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    1. E se proponessimo benigni come novello vescovo di roma, visto la sua dimestichezza con i dieci comandamenti ? jane

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  2. Non e' che mia moglie mi abbia messo le corna, e' che persegue una duplice ma unica fedelta'...

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