Una presunta “apertura” della Chiesa ad una prassi che ammetta, sebbene in certi casi, la comunione a chi vive more uxorio al di fuori del matrimonio sacramentale, comporterebbe necessariamente «accettare in linea di principio che l’attività sessuale, al di fuori di un matrimonio indissolubile e basato sulla fedeltà, sia compatibile con la comunione con Cristo e con la vita cristiana». Sarebbe il cavallo di Troia che avvierebbe nella Chiesa cattolica quella catena di disastri che ha travolto la Comunione Anglicana. Pucclichiamo il settimo estratto dallo studio dei Padri domenicani pubblicato l’estate scorsa sulla rivista “Nova et Vetera”.

Il precedente della Comunione anglicana moderna – Una strada pericolosa?
Durante lo scorso secolo, la Comunione Anglicana ha largamente seguito una prassi di adeguamento pastorale ai mutevoli costumi sociali e sessuali in Europa e nel Nord America.
Ha liberalizzato il divorzio, permesso la contraccezione, ammesso alla Comunione e persino (in alcuni luoghi) al ministero ordinato persone coinvolte in attività omosessuali e cominciato a benedire unioni tra coppie dello stesso sesso. Alcuni fra questi cambiamenti sono stati inizialmente giustificati con il pretesto che essi sarebbero stati applicati solamente in casi rari, anche se poi tale consuetudine si è andata ampiamente diffondendo.
Ciò ha provocato aspre divergenze ed anche gravi divisioni, se non un vero e proprio scisma, all’interno della Comunione Anglicana. Nello stesso periodo, il numero di fedeli in Inghilterra e in America settentrionale è calato drasticamente. Mentre la causa di un crollo di così gravi dimensioni è ancora dibattuta, nessuno può ragionevolmente sostenere che l’adeguamento pastorale effettuato abbia aiutato la Comunione Anglicana (oppure altre denominazioni protestanti) a trattenere i fedeli.
Il Magistero cattolico non ha invece intrapreso questo cammino. Già nel 1930, il papa Pio XI ha previsto la seria minaccia costituita dalla contraccezione, dal divorzio e dall’aborto (1) , una concezione riaffermata da Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI e dal Vaticano II (2) .
Giovanni Paolo II ha riaffermato gli insegnamenti della Chiesa sul divorzio, sulla contraccezione, sull’omosessualità e sull’aborto (3) , evidenziando la finalità riproduttiva del matrimonio e ponendo un fondamento teologico per gli insegnamenti della Chiesa all’interno delle sue catechesi sulla teologia del corpo. Il Catechismo della Chiesa Cattolica conferma tale dottrina perenne, considerando la sessualità umana alla luce della virtù della castità (4). E nel 2003, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha dichiarato che il riconoscimento delle unioni omosessuali non può essere accettato nella maniera più assoluta; quest’argomento rientra nell’ambito della legge morale, accessibile alla ragione per mezzo della legge naturale (5) .
Così, la Chiesa ha reso al mondo d’oggi una testimonianza coerente sulla piena verità circa la sessualità umana e la complementarietà dei sessi. Il bene della sessualità umana è intrinsecamente legato al potenziale di questa del generare nuova vita ed il suo posto più appropriato è all’interno di una vita condivisa, e basata su amore e fedeltà reciproci, tra un uomo e una donna. Queste sono verità di salvezza che il mondo ha bisogno di udire; la Chiesa cattolica è una voce sempre più solitaria nel proclamarle.
Benché le proposte in oggetto riguardino solamente i divorziati risposati, adottarle – anche come prassi “meramente” pastorale – significherebbe, per la Chiesa, accettare in linea di principio che l’attività sessuale, al di fuori di un matrimonio indissolubile e basato sulla fedeltà, sia compatibile con la comunione con Cristo e con la vita cristiana. Se così fosse, comunque, sarebbe difficile che la Chiesa potesse ancora rifiutarsi di ammettere alla Santa Comunione le coppie di conviventi non sposati, o quelle che vivono in unioni omosessuali, e così via. Infatti, la logica di tale posizione suggerisce che la Chiesa dovrebbe benedire relazioni come queste (così come sta facendo ora la Comunione Anglicana) ed accettare, altresì, tutto ciò che deriva dalla “liberazione” sessuale contemporanea. La Comunione per i divorziati risposati è solo l’inizio.
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(1) Pio XI, Casti Connubi (1930), DH 3715
(2) Vedere, ad es., Pio XII, Discorso alle partecipanti al Congresso della Unione Cattolica Ostetriche, 29 ottobre 1951; Giovanni XXIII, Mater et Magistra (1961); Gaudium et Spes, nn. 48 e 51; Paolo VI, Humanae Vitae (1968).
(3) Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio (1981); Veritatis Splendor (1993); Evangelium Vitae (1995)
(4) CCC nn. 1621-65, 2380-2400
(5) Congregazione per la Dottrina della Fede, “Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali” (2003)