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mercoledì 25 febbraio 2015

Indovinello: chi fra i due, rifiuta il Vangelo?

Tettamanzi: "All'Expo il mondo globale la libertà religiosa è un diritto e il rifiuto è contro il Vangelo"


Il monito del cardinale alla città che sta per inaugurare i padiglioni di Rho-Pero ma non ha ancora un grande luogo di culto per i fedeli musulmani: "Paura? Gesù ha mandato i suoi discepoli in tutte le più sconvolte periferie dell'umanità"

CON Expo alle porte, cardinal Dionigi Tettamanzi, i "suoi" temi sono sulla bocca di tutti: l'incontro fra i popoli, la lotta alla povertà, la sobrietà dello stile di vita, il pluralismo religioso e il diritto di culto per tutte le fedi, Islam compreso. Come vive questa vigilia?
"Sto affrontando con non poca sofferenza questo nostro travagliato momento storico. Il mio, ora, vuole essere piuttosto un tempo di riflessione pacata e di preghiera, di dialogo personale con Dio sul "senso" più profondo di quanto succede oggi nel mondo e sulle nuove e più pesanti "responsabilità" che investono la coscienza di ciascuno di noi nel quotidiano".

Expo sarà l'occasione giusta per ribadire l'urgenza di un'equità nella distribuzione delle risorse e la necessità di una collaborazione fra popoli e religioni per la pace?
"L'Expo è lo "specchio" del grande fenomeno della globalizzazione. È indubbiamente l'aprirsi di nuove "risorse" e di inediti "sviluppi positivi", e insieme è il caricarsi di più pesanti "responsabilità" per tutti: non solo a livello politico-istituzionale, ma anche e non meno a livello economico, sociale e culturale. Veniamo tutti trascinati e coinvolti ad interrogarci sul benessere e sul malessere di tantissimi, nel mondo, riguardo ai beni essenziali: la vita, la salute, il cibo, il lavoro, la libertà e non ultimo il "senso religioso"".

Il collegamento immediato, visto che lei parla di senso religioso, è quello con il diritto di culto, che oggi a Milano molti ritengono non sia garantito. Manca ancora una moschea degna di questo nome. E la nuova legge regionale sui luoghi di preghiera verrà portata all'esame della Corte costituzionale perché ritenuta discriminatoria nei confronti della comunità islamica. Lei che ne pensa?
"La fede non è un'astratta "teoria", ma una questione di "vita" dalle molteplici e concrete implicazioni culturali, sociali, economiche, politiche e religiose. I credenti sono chiamati a farsi energicamente solleciti e operativi, sia nei confronti di popolazioni che si riferiscono ad altre fedi e religioni, sia verso fratelli e sorelle della stessa fede e religione solo geograficamente più "lontani" da noi. Dal Vangelo l'uomo non viene mai considerato come individuo chiuso e isolato in se stesso, ma sempre come posto in relazione fraterna con tutti gli altri uomini".

Per molti il confronto con l'Islam viene visto come un pericolo. Che cosa si può rispondere a chi ha paura?
"Gesù risorto ha scelto: mandare i suoi discepoli su tutti i sentieri dell'intero mondo, sino agli estremi confini della terra, dunque in tutte le più svariate e sconvolte "periferie" dell'umanità. Ecco l'imperativo missionario del Signore: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura" (Mc 16,15). Una seconda direzione è però quella della pluralità religiosa, ossia della fede cristiana che vive insieme ad altre fedi e religioni presenti e operanti nell'umanità".

La nostra società, la nostra cultura, anche la nostra fede, secondo lei, saranno in pericolo se nasceranno luoghi di culto per altre religioni?
"Penso che dal Vangelo nasca un appello a conoscere e a vivere la propria specifica "identità" rendendola sempre più conv inta, certa e matura: non dunque un'identità che si configura come un rifiuto o comunque un ostacolo nei riguardi delle più diverse forme di religiosità di altri popoli e gruppi e persone, ma come un invito e un rilancio per una "uscita" abituale, continua e rispettosa della fede cristiana verso l'incontro e il dialogo con le altre fedi e religioni. In questo senso l'adesione alla propria fede e religione non costituisce un valore soltanto per se stessi, ma diventa un dono presentato agli altri, un vero e proprio servizio alle altre fedi e religioni".

Eminenza, qui lo scontro è non tanto sul dialogo con le altre fedi, ma sulla questione della concessione o meno di spazi riconosciuti per la preghiera dei 100mila musulmani che vivono a Milano. Come si fa a superare questo muro contro muro?
"Quello che stiamo vivendo è un tempo caratterizzato da non poche e non lievi discussioni sul variegato mondo musulmano, con tutte le sue ricadute, in particolare quelle riguardanti l'Islam come religione e in maniera più dettagliata quelle concernenti, nelle nostre terre e città, le "moschee" quali possibili e necessari "luoghi di culto". Queste discussioni chiedono un approccio di sincerità e di serietà, un approccio situato in un preciso riconoscimento della "bontà" del fenomeno storico del pluralismo religioso, sia a partire dal diritto fondamentale della "libertà religiosa" in tutto il suo contenuto, sia in riferimento alla necessità di salvaguardare e far crescere il "bene comune" d'ogni società umana".

L'arcivescovo Angelo Scola più volte  -  l'ha fatto anche sabato scorso  -  ha invitato a combattere la paura e la diffidenza verso le altre fedi e in particolare verso l'Islam, aprendosi alla conoscenza dell'"altro". Che ruolo può avere la Chiesa in questo lavoro di reciproca apertura e contagio?
"In rapporto all'Expo 2015 mi domando se, come Chiesa, si possa provocare e sostenere un "lavoro comune" da parte di tutti quelli che credono in Dio  -  senza comunque escludere chi a Dio non crede  -  , facendo sì che, proprio mentre sentiamo i sapori e gustiamo i cibi straordinariamente diversi e buoni delle nazioni lontane, si possa comprendere che c'è una quotidianità tragicamente vissuta nello "scarto" da parte di tanti che nulla hanno da mangiare".

E qui torniamo al tema centrale dell'evento. Lei crede che Expo sarà davvero un'occasione per riflettere, e non solo una vetrina commerciale?
"Il cibo è una questione culturale non meno che economica. È una delle questioni centrali che sostengono le nostre economie, non può non entrare in termini di estrema concretezza nel vivo di situazioni economiche gravissime. C'è qui un'urgenza implacabile di passare dalla "globalizzazione dell'indifferenza" e dello scarto alla "globalizzazione della fraternità". Tutto questo interpella i "cristiani" in un modo tipico e originale".

Milano sarà all'altezza del suo compito?
"Lo spero fortemente. Fu proprio Sant'Ambrogio a scrivere che l'uomo è "culmine dell'universo e suprema bellezza di tutto il creato". Senza questa primaria attenzione all'uomo e alla sua umanità, Milano e l'Expo rischiano di non riuscire ad ascoltare concretamente il grido che la mancanza di cibo da parte di molti popoli urla alle orecchie delle nostre società economicamente benestanti. Expo resterebbe allora l'ennesimo segno poco più che simbolico!".

In definitiva, per lei Expo sarà un'occasione di crescita anche per i cristiani?
"I  cristiani sono chiamati e stimolati a lasciarsi prendere da uno sguardo e da un impegno dall'orizzonte decisamente "mondiale". Anzitutto nella prospettiva della "cattolicità" quale dimensione essenziale e qualificante della Chiesa di Cristo. E Gesù risorto ha mandato i suoi discepoli sino agli estremi confini della terra, dunque in tutte le più svariate e sconvolte "periferie" dell'umanità".
di ZITA DAZZI
http://milano.repubblica.it/cronaca/2015/02/25/news/paura_ges_ha_mandato_i_suoi_discepoli_in_tutte_le_pi_sconvolte_periferie_dell_umanit-108150135/

La libertà religiosa – di mons. Marcel Lefebvre

Redazione
Estratto dal libro “Lo hanno detronizzato. Dal liberalismo all’apostasia. La tragedia conciliare” , di mons. Marcel Lefebvre, ed. Amicizia Cristiana
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Parte Quarta – Una rivoluzione in tiara e piviale.
Capitolo XXVIII – La libertà religiosa del Vaticano II
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zzmarcellefebvreLa libertà religiosa, diritto universale alla tolleranza?
Padre Ph. André-Vincent, che s’interessava parecchio alla questione, mi scrisse un giorno per mettermi in guardia: attenzione, mi diceva, il Concilio non richiede per gli adepti delle false religioni il diritto «affermativo» di esercitare il loro culto, ma soltanto il diritto «negativo» di non essere impediti nell’esercizio, pubblico o privato, del loro culto. Insomma il Vaticano II non avrebbe fatto che generalizzare la dottrina classica della tolleranza.
In effetti, quando uno Stato cattolico, per la pace civile, per la cooperazione di tutti al bene comune, o in linea di massima per evitare un male maggiore o procurare un bene maggiore, giudica di dover tollerare l’esercizio del tale o talaltro falso culto, tale Stato può sia «chiudere gli occhi» su questo culto con una tolleranza di fatto senza prendere alcuna disposizione coercitiva a suo riguardo; sia anche accordare agli adepti di questa religione il diritto civile di non essere infastiditi nell’esercizio del loro culto. In quest’ultimo caso si tratta di un diritto puramente negativo. I papi, del resto, non mancano di sottolineare che la tolleranza civile non accorda alcun diritto «affermativo» ai dissidenti, nessun diritto di esercitare il loro culto, giacché un tal diritto affermativo non può fondarsi che sulla verità del culto preso in considerazione:
«Se le circostanze lo richiedono, si possono tollerare le deviazioni alla regola, quando queste sono state introdotte al fine di evitare mali maggiori, senza tuttavia elevarle alla dignità di diritti, giacché non può sussistere diritto alcuno contro le eterne leggi della giustizia» (217).
«Per queste cagioni, senza attribuire diritti fuorché al vero e all’onesto, ella (la Chiesa) non vieta che, per evitare un male più grande e conseguire e conservare un più gran bene, il pubblico potere tolleri qualche cosa non conforme a verità e giustizia» (218).
«Nessuno Stato, nessuna comunità di Stati, qualunque sia il loro carattere religioso, possono accordare un mandato positivo o un’autorizzazione positiva (219) ad insegnare o fare ciò che sarebbe contrario alla verità religiosa o al bene morale […] Un’altra questione essenzialmente differente è questa: in una comunità di Stati si può, almeno in determinate circostanze, stabilire la norma che il libero esercizio di una credenza o di una pratica religiosa in vigore in uno Stato-membro non sia impedita in tutto il territorio della comunità per mezzo di leggi o di ordinanze coercitive dello Stato?» (220) (e il Papa risponde affermativamente: sì, «in certe circostanze» una tale norma può essere stabilita).
zzlohannodetronizzatoPadre Baucher riassume questa dottrina in maniera eccellente: «decretando la tolleranza, scrive, si presume che il legislatore non voglia creare a vantaggio dei dissidenti il diritto o la facoltà morale di esercitare il loro culto, ma soltanto il diritto di non essere molestati nell’esercizio di tale culto. Senza mai avere il diritto di agire male, si può avere il diritto di non essere impediti di agire male, quando una legge giusta proibisca tale impedimento per ragioni sufficienti» (221).
Ma aggiunge giustamente: una cosa è il diritto civile alla tolleranza, quando quest’ultima è garantita dalla legge in vista del bene comune di questa o quella nazione, in circostanze determinate; altra cosa è il diritto sedicente naturale e inviolabile alla tolleranza per tutti gli adepti di tutte le religioni, per principio, dunque,  e in qualsiasi circostanza!
Il diritto civile alla tolleranza, infatti, anche se le circostanze che lo legittimano sembrano moltiplicarsi nel nostro tempo, rimane nondimeno strettamente relativo ad esse:
«[…] la tolleranza, scrive Leone XIII, essendo un dettato di prudenza politica, va circoscritta entro i limiti del criterio che la fa nascere, e che è il supremo bene sociale. Perciò, ove questo venisse a scapitarne, e la società andasse incontro a mali maggiori, non sarebbe più permessa, perché in tal caso non potrebbe avere ragione di bene» (222).
Sarebbe stato dunque molto difficile per il Vaticano II, basandosi sugli atti del magistero anteriore, proclamare un diritto naturale e universale alla tolleranza. Del resto venne accuratamente evitato il termine «tolleranza», che sembrava davvero troppo negativo, in quanto ciò che si tollera è comunque un male; si volevano invece mettere in rilievo i valori positivi di tutte le religioni (223).
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La libertà religiosa, diritto naturale all’immunità?
Senza invocare la tolleranza, il Concilio ha dunque definito un semplice diritto all’immunità: il diritto di non essere molestati nell’esercizio del proprio culto, quale esso sia.
L’astuzia, o almeno l’astuto tentativo, era evidente: non potendo definire un diritto all’esercizio di ogni culto, poiché un tale diritto non esiste per i culti erronei, ci s’ingegnò a formulare un diritto naturale alla sola immunità, che valesse per gli adepti di tutti i culti. Così tutte le «comunità religiose» (pudica denominazione che cela la Babele di religioni) avrebbero naturalmente goduto dell’immunità da ogni coercizione nel loro «culto pubblico della Divinità suprema» (di quale divinità si tratta, gran Dio?); e avrebbero beneficiato anche del «diritto di non essere impedite di insegnare e di testimoniare pubblicamente la propria fede (quale fede?) a voce e per iscritto» (DH 4).
Si può immaginare una confusione più grande? Tutti gli adepti di tutte le religioni, della vera come delle false, ridotti assolutamente sullo stesso piano di eguaglianza, godrebbero di un medesimo diritto naturale, col pretesto che questo altro non è che un «diritto all’immunità». È concepibile?
È abbastanza evidente che di per sé, a semplice titolo della loro religione erronea, gli adepti di questa non godono di alcun diritto naturale all’immunità. Consentite che vi illustri questa verità con un esempio concreto. Se mai vi venisse voglia di impedire la preghiera pubblica di un gruppo di musulmani in una strada, o anche di disturbare il loro culto in una moschea, voi eventualmente pecchereste contro la carità e sicuramente contro la prudenza, ma non rechereste nessuna ingiustizia a questi credenti. Essi non risulterebbero lesi in alcuno dei beni ai quali hanno diritto, né in alcuno dei loro diritti a tali beni (224): in alcuno dei loro beni, perché il loro vero bene non consiste nell’esercitare senza intralci il loro falso culto, ma nel potere un giorno esercitare quello vero – in alcuno dei loro diritti perché hanno appunto diritto a esercitare il «culto di Dio in privato e in pubblico» (225) e a non esserne impediti; ma il culto di Allah non è il culto di Dio! Dio stesso infatti ha rivelato il culto col quale vuole esclusivamente essere venerato, che è il culto della religione cattolica (226).
Se dunque, nell’ambito della giustizia naturale, questi credenti non vengono affatto lesi molestando o impedendo il loro culto, è perché costoro non hanno alcun diritto naturale a non essere molestati nell’esercizio di questo.
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217) Pio IX, lettera Dum civilis societas, del 1° febbraio 1875, a Charles Perrin.
218) Leone XIII, Libertas, PIN 219.
219) Diciamo affermativa.
220) Pio XII, allocuzione Ci riesce ai giuristi italiani, del 6 dicembre 1953.
221) DTC. T. IX, col. 701, articolo Libérté.
222) Libertas, PIN 221.
223) Nel capitolo XXVI ho detto quel che si deve pensare di tali valori. Non vi ritorno qui.
224) Questa distinzione viene operata da Pio XII a proposito dei prelevamenti organici operati sui corpi dei defunti. Cfr. Discorso agli specialisti della chirurgia dell’occhio, 14 maggio 1956.
225) Pio XII, Radiomessaggio di Natale, 24 dicembre 1941, PIN 804.
226) Con questa spiegazione, per breve che sia, evito con profitto di utilizzare i termini un po’ complicati di diritto oggettivo e soggettivo, di diritto concreto e astratto.
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fonte: Fraternità Sacerdotale S. Pio X
http://www.riscossacristiana.it/la-liberta-religiosa-di-mons-marcel-lefebvre/ 

2 commenti:

  1. L' unico senso che mi provoca il card. Tettamanzi è uno solo, il senso del vomito . San Giovanni Bosco diceva che il sacerdote può essere solo due cose : un santo o un diavolo = . Questo signore vestito di rosso per ricordare il martirio di nostro Signore e il sangue di Gesù sparso per noi e anche per lui, cosa può essere ? un santo o un diavolo ? . Chiediamo al nostro Marcel Lefebvre di pregare dal Paradiso per tutti i preti scombinati e anche per noi che siamo nell' angoscia e nel pianto. Le nostre povere lacrime e la nostra sofferenza unita alle sue preghiere alla Vergine Immacolata siano per la nostra povera chiesa un balsamo per riparare alle offese fatte dai Suoi consacrati al Cuore Sacratissimo di Gesù . jane

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  2. Chi è contro il Vangelo? don Bosco? Mons. Léfèbvre? o questo strano tipi in abiti che non ha alcun diritto di indossare? ovviamente dal punto di vista di un cattolico tradizionalista, dato che quelli che hanno creato questa classe di ecclesiastici modernisti erano modernista pure loro, e così li hanno cooptati. Ma il tempo passa,e prima o poi tutti ci dovremo presentare a NSGC. Speriamo che loro mettano giudizio prima, anche se è difficile, date le eresie che hanno propalato a partire dal CV II. E ci sarebbe continuità, ermeneutica? poveri noi, non potrebbe esserci stata una virata maggiore, quella volta, una vendetta meditata a tavolino, da cospiratore quali erano i modernisti nel periodo tra la morte di S. Pio X e quella di Pio XII: carbonari rivoluzionari, complottisti, eretici mascherati, che il diavolo se li porti tutti quanti, con la vostra nuova pastorale ci potete fare la birra, cari miei, vale meno di ZERO, è carta straccia, S. Pio X e Mons. Léfèbvre a voi non avrebbero fatto fare nemmeno il campanaro,

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