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mercoledì 11 febbraio 2015

La scelta di Maria

Una possibile geopolitica dei popoli cristiani

Il Cristianesimo in Russia: cenni storici
La Chiesa Ortodossa e la tradizione cristiana hanno da sempre assolto un ruolo di primaria importanza nella storia e nella cultura della Russia.
Le origini del cristianesimo in Russia risalgono all’anno 988 e coincidono con il battesimo del principe Vladimir il Grande avvenuto a Costantinopoli e a seguito del quale ebbe inizio l’evangelizzazione del Principato Rus’ di Kiev. Quest’ultimo comprendeva quello spazio occupato dagli attuali territori della Russia, Ucraina e Bielorussia, considerato come il predecessore dell’Impero russo. Costituito da Igor nel 882, il Principato Rus’ rappresenta la prima forma politica organizzata delle tribù slave orientali che erano stanziate su quei territori e dalla quale scaturirono la comune fede ortodossa ed il senso di appartenenza nazionale del popolo russo.

Ripercorrendo brevemente l’iter storico del Principato si può, infatti, osservare che la Fede Cristiana Ortodossa venne abbracciata sin da subito da quelle popolazioni, riuscendo anche ad affermarsi con successo nelle zone orientali dove vi era una forte influenza di paganesimo. che mal digeriva l’avvento del nuovo credo, e accompagnò la loro evoluzione fungendo da colonna portante dell’identità nazionale e culturale del Paese. All’Ortodossia si deve infatti la scrittura, che senz’altro rappresenta il cardine fondamentale di una cultura. Essa venne introdotta per la diffusione del cristianesimo tra le tribù slave attraverso la creazione dei caratteri cirillici ad opera di due grandi santi, Cirillo e Metodio, e costituì il presupposto per lo sviluppo politico e culturale del principato di Kiev, lasciando un’eredità culturale che durò anche dopo la sua disintegrazione.
Di fondamentale importanza è stato anche il sostegno che il popolo russo ha trovato nella Chiesa durante i momenti difficili della sua storia, quali la dominazione mongola sui principati della Rus’, in occasione della quale i Russi si rafforzarono ancor di più nella fede ritrovando in essa quel senso di unità perduto, sia politicamente che militarmente, a causa della sconfitta dei loro eserciti. Nell’occasione infatti la Chiesa Ortodossa, pur essendo stata sempre discreta nell’intervenire nelle questioni temporali, fu costretta a sostituirsi ai principati sconfitti, costituendo il riferimento spirituale per la nazione russa. Fu sempre in quel periodo che il centro dell’Ortodossia venne trasferito da Kiev a Vladimir nel 1299 e, infine, a Mosca nel 1322 così contribuendo ad accrescere l’importanza della città che divenne il principale centro politico e religioso e a gettare le basi per la creazione del potente principato di Mosca, predecessore dell’Impero zarista. I prìncipi, che nel frattempo avevano ampliato significativamente i propri territori, si sentirono in grado di sfidare i mongoli e, nel 1380, sotto la guida del Principe Dimitri Donskoj, ottennero una vittoria schiacciante contro l’esercito mongolo nella battaglia della piana di Kulikovo (alle sorgenti del fiume Don, da cui il nome onorario Donskoi). Tale battaglia, pur non avendo segnato la fine definitiva della dominazione mongola in Russia, conferì a Mosca un ruolo di supremazia incontrovertibile su tutti i principati russi, facilitando al contempo il rafforzamento del ruolo della Chiesa Ortodossa Russa, che nel 1448 si dichiarò indipendente da Costantinopoli divenendo Patriarcato ecumenico indipendente.
Ma la data fondamentale per la Chiesa Ortodossa Russa, e per l’Ortodossia nel suo complesso, coincide con il 1453, anno in cui Costantinopoli venne conquistata dall’Impero Ottomano. La capitolazione di Costantinopoli fece accrescere la convinzione in seno ai Russi che i Bizantini erano stati puniti da Dio per aver anch’essi deviato dall’ortodossia e che solo la Russia era rimasta depositaria della vera fede. Ciò li indusse a indicare Mosca come la “Terza Roma”. Tale idea, che trovava un suo riscontro sotto il profilo strettamente geopolitico – visto che le terre del principato di Mosca e il resto dei principati costituivano l’ultimo lembo dell’Ortodossia orientale ancora indipendente dal dominio Musulmano – venne consolidata dal matrimonio tra Ivan III e Sofia Paleologa, nipote di Costantino XI, ultimo imperatore bizantino. L’idea della “Terza Roma” venne inoltre ravvivata e sostenuta anche dall’impero zarista che voleva, attraverso la centralità dell’Ortodossia moscovita, accreditarsi come erede legittimo dell’Impero Romano d’Oriente.
Durante il periodo imperiale, che ebbe inizio nel 1547 con lo Zar Ivan IV, meglio noto come “il Terribile”, la Chiesa Ortodossa aumentò significativamente la propria ricchezza e la propria influenza. Ivan per arginare questo potere convocò un concilio affermando il principio bizantino tradizionale di “sinfonia”. Tale principio e gli obiettivi dello Stato prevalsero sempre su quelli canonici religiosi.
Nel 1589, durante il regno di Fiodor I, la Chiesa Ortodossa Russa divenne autocefala e il Metropolita di Mosca divenne Patriarca e di tutta la Russia.
Importante fu ancora una volta il ruolo di difesa patriottica assunto dalla Chiesa Ortodossa agli inizi del XVII secolo allorquando Polacchi e Svedesi invasero il territorio imperiale confermando il suo ruolo di paladina dell’unità dell’Impero e di denominatore comune delle popolazioni slave orientali.
Però sotto il regno di Pietro il Grande (1692-1725) e di Caterina la Grande (1762-1796) il ruolo della Chiesa Ortodossa venne drasticamente ridimensionato, relegato in una posizione di netta subordinazione nelle decisioni politiche del Paese. L’avvento del bolscevismo intraprese una micidiale opera di laicizzazione. Il regime, infatti, vedeva nella religione una rivale della sua ideologia; dunque, una nemica da combattere. L’utopia socialista era di per sé stessa un credo che non poteva ammettere altri dogmi se non quelli dettati dal Partito, ragione per cui l’appartenenza ad una religione era vista come un pericolo per l’integrità del popolo comunistizzato.
Gli anni successivi alla Rivoluzione hanno portato a una vera e propria guerra contro la religione ortodossa, che ha visto la distruzione di migliaia di chiese e luoghi di culto. Per meglio marcare il contrasto rispetto al periodo precedente, il governo bolscevico adottò politiche fortemente contrarie ai valori ecclesiastici, fra cui la legalizzazione del divorzio e dell’aborto.
La rinascita del Patriarcato di Mosca
All’indomani del crollo dell’Unione Sovietica, che ha segnato la fine del regime comunista e dell’opera forzosa, spietata e disumana che ne ha contraddistinto la sua azione, la religione Ortodossa ha riconquistato quel ruolo che tradizionalmente le apparteneva anche per via del processo di ri-cristianizzazione della società che ancor oggi è in atto.
Per meglio comprendere la portata di tale fenomeno si possono analizzare alcune statistiche effettuate dall’International Social Survey Programme (Russians return to religion, but not to Church 10/02/2014)relative al numero di fedeli presenti nel Paese nell’arco temporale compreso fra il 1988 e il 2008.
Nel 1988, prima del crollo dell’Unione Sovietica, la Chiesa ortodossa russa contava 67 diocesi, 21 monasteri, 6.893 parrocchie, 2 accademie e 3 seminari teologici, nel 2008 contava 133 diocesi, oltre 23.000 parrocchie, 620 monasteri (di cui 298 maschili), 322 conventi, 5 accademie e 32 seminari teologici, 43 scuole di preparazione al seminario, 1 istituto teologico, 2 università ortodosse e 2 scuole teologiche diocesane femminili.
Dalla disamina dei dati emerge, inoltre, che tra il 1991 e il 2008, la quota di adulti russi che si consideravano ortodossi era cresciuta dal 31% al 72%, mentre la quota di popolazione russa che non si riconosceva in alcuna religione era scesa dal 61% al 18%. Tuttavia, dalla ricerca effettuata dall’International Social Survey Programme emerge, altresì, che il ritorno alla religione non corrispose alla pratica della stessa. Dalla ricerca emergono sostanzialmente due dati: che soltanto una persona, su dieci di coloro che si professavano religiosi, si recava a Messa almeno una volta al mese; che l’aumento dei praticanti era irrisorio rispetto a quello dei credenti, come dimostra il fatto che dal 1991 al 2008 esso è stato di soli 5 punti percentuali, passando dal 2% al 7%.
La crescita della popolazione verso le varie affiliazioni religiose è stata analizzata anche su vari gruppi demografici dalla cui analisi è emerso che dal 1991 al 2008 vi è stato un incremento del 38% circa di donne che si sono avvicinate alla religione ortodossa, passando dal 43% all’81%, e un incremento del 46% di uomini che sono passati dal 17% al 63%. Da tale analisi emerge, inoltre, che l’incremento dell’identificazione con la religione Ortodossa è cresciuta del 43% tra i gruppi di giovani di età compresa tra i 16 e 49 anni, passando dal 26% del 1991, al 69% del 2008, e del 39% tra le persone di età superiore ai 50, passando dal 40% del 1991 al 79% del 2008. Si registra, inoltre, che l’avvicinamento alla Fede Ortodossa è sostanzialmente cresciuto tra la popolazione che ha un alto grado di istruzione ed in particolare tra i laureati. A ciò si aggiunga che nel 2008 le donne di fede erano in maggioranza e più praticanti rispetto agli uomini e che gli over 70 era il gruppo più religioso rispetto a quello dei più giovani. Dunque, con riferimento all’età si rileva che i più religiosi sono gli anziani: l’82% degli over 70 si professa ortodosso rispetto al 77% delle persone di età compresa tra i 50 e 69 anni e del 74% di quelle di età compresa tra i 30 e 49. Infine, rimane il 62% dei giovani di età compresa tra i 16 e i 29.
Anche se dallo studio sopra indicato emerge una netta discrepanza tra i fedeli praticanti e quelli non praticanti, non può disconoscersi la grande rinascita dell’ortodossia nel popolo russo. A tal proposito è interessante citare l’episodio di grande partecipazione di massa avvenuto nel novembre 2011, allorquando tre milioni di moscoviti, fronteggiando il freddo e la pioggia, si riversarono per strada per venerare la cintura della Vergine portata dal Monte Athos alla Cattedrale di Cristo Salvatore (la chiesa distrutta da Stalin e sostituita da una piscina, fu ricostruita in pochi anni sotto El’cin). L’episodio passò sotto silenzio tra i mass media occidentali che, al contrario, non si risparmiarono nell’esaltare e mistificare le manifestazioni di protesta che hanno scandito le elezioni legislative e presidenziali del dicembre 2011 e del marzo 2012, parlando a lungo delle migliaia di manifestanti liberali contro Putin.
La politica di Vladimir Putin in sintonia con la Chiesa.
Il ruolo della Chiesa e la sua collaborazione col potere politico è nel corso del tempo cresciuto significativamente, intensificandosi in occasione di due eventi in particolare: l’elezione nel 2009 dell’arcivescovo Kirill Somolensk a Patriarca di Mosca e di tutta la Russia e il ritorno al potere nel 2012 di Vladimir Putin.
La politica condotta dalla Chiesa Ortodossa ben si concilia, infatti, con la visione di Putin e con il suo forte richiamo alle tradizioni del Paese. Già il Patriarca Alessio II aveva preso nettamente le distanze dai concetti occidentali di “diritti umani” e “globalizzazione”, non ritenendoli adatti alla specificità russa, mentre Kirill I, suo successore, ha emanato la “Dichiarazione dei Diritti Umani della Chiesa Ortodossa Russa”, dopo aver ripudiato la occidentale Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
L’intensificazione dei rapporti tra la Chiesa e lo Stato è diventata ancora più evidente negli ultimi tempi tanto è vero che in occasione del quarto anniversario della nomina del Patriarca Kirill il Cremlino ha auspicato esplicitamente che la Chiesa Ortodossa aumentasse il proprio benefico ruolo all’interno della società. In un meeting tra Stato ed esponenti religiosi, tenutosi l’11 febbraio del 2013, Putin ha inoltre sottolineato la necessità di riconoscere alla Chiesa Ortodossa maggiore spazio anche nelle discussioni politiche riguardo questioni come la famiglia, l’istruzione dei giovani e lo spirito patriottico. Con riferimento alla difesa di tali valori, ed in particolare a quello della famiglia, la Russia ha in più occasioni voluto confermare e rimarcare la difesa dei valori tradizionali e naturali della società umana. A tal fine ha sottolineato come la sua concezione della “famiglia” – intesa come elemento basilare dello sviluppo ordinato dello Stato e della società – e l’attuazione di una strategia politica e sociale che la favorisca, abbia contribuito in modo decisivo ad invertire il trend demografico fortemente negativo che ha afflitto il Paese negli scorsi decenni, scongiurando quella che poteva configurarsi come una vera e propria catastrofe sociale. Se si tiene conto del fatto che “l’inverno demografico” che ha colpito la Russia negli anni dal 1991 al 2005 circa rappresenta oggi una situazione comune alla maggior parte degli Stati europei, non vi è dubbio che il modello russo costituisca un esempio a livello internazionale. Tenendo conto di questi dati, in alcuni casi allarmanti, risulta quindi ancora più importante e attuale il tentativo di definire e di orientare le politiche degli Stati verso il supporto alle famiglie e alle giovani madri per garantire un corretto sviluppo demografico, costituendo quest’ultimo un settore cruciale e strategico relativamente all’influenza che può esercitare nell’andamento delle principali questioni politiche di uno Stato, sia interne che esterne. A tal proposito, il Presidente Putin ha più volte ribadito come oggi l’umanità si trovi a scontrarsi con delle sfide molto serie, tra le quali i continui attacchi all’istituto della famiglia. Questo spiega perché la Russia di Putin sia molto attenta alla questione demografica e alla famiglia: la protezione dei diritti e degli interessi delle famiglie, della maternità e dell’infanzia sono una questione prioritaria per le autorità pubbliche che si rendono parte attiva nel supportare ed incentivare le politiche e le iniziative in loro favore, avvalendosi della stretta collaborazione con le organizzazioni non governative e con le associazioni di volontariato di cittadini. L’obiettivo russo è quello di sconfiggere questo deficit demografico con il quale la Russia combatte da tempo cercando di raggiungere un tasso di fecondità del 2,1 rispetto all’1,7 attuale.
Per le autorità russe, infatti, il problema della riduzione di natalità non è attribuibile solo alla sfera economica, ma ha radici più profonde di carattere culturale, il che spiega la necessità di intervenire anche nel campo dell’educazione e dell’informazione. Il sistema di vita capitalista e globalizzato, infatti, oltre ad aver contribuito all’attuale crisi economica e alla creazione di un tipo di finanza parassitaria, ha condotto ad una crisi della morale che si è sviluppata in tutto il mondo creando una pericolosa «tendenza alla distruzione della società umana». Tale crisi morale ha aggravato una tendenza all’egoismo che si traduce in Russia in fenomeni come quelli dell’“orfanato sociale”, per cui l’80% di quei bambini che vengono abbandonati di norma possiedono entrambi i genitori i quali scelgono deliberatamente di non educare i figli.
Per tali ragioni la Chiesa è considerata dal Cremlino un alleato fondamentale per preservare l’identità spirituale e culturale della Russia. La politica e la Chiesa sono legate a filo doppio: come il Cremlino ha bisogno di promuovere la Chiesa come ente che rappresenta i valori della nazione per ricompattare il consenso, così per la Chiesa è opportuno collaborare con la politica al fine di promuovere scelte che proteggano la famiglia e salvaguardino la moralità pubblica. Con riferimento alla tutela della vita, la Chiesa Ortodossa si è adoperata molto per spiegare alle persone che l’aborto non è altro che l’uccisione di un essere umano innocente, anche attraverso l’opera di decine di ONG che promuovono la causa pro-vita in Russia.
Un caso emblematico della strategia politica comune che lega la Chiesa Ortodossa ed il Cremlino è la legge anti-blasfemia adottata in seguito all’episodio delle tre attiviste femministe, Pussy Riot, che si sono esibite all’interno della Cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca, con musiche Rock di carattere blasfemo eseguite sulla piattaforma dell’altare, per protestare contro le politiche di Putin. Per le autorità secolari il gesto è stato considerato di carattere teppistico e vandalico, mentre per i dirigenti ecclesiastici è stata una profanazione blasfema. Anche in questa occasione, i media occidentali hanno montato il caso, accusando la Russia di violare i diritti umani e di perseguire artisti creativi.
Inoltre, la Chiesa ha appoggiato le nuove norme che limitano l’accesso all’aborto e la legge introdotta da Putin che vieta di pubblicare qualsiasi materiale che ritragga omosessuali, lesbiche, bisessuali e transessuali.
L’azione della Chiesa Ortodossa si dispiega anche a livello internazionale ponendosi come promotrice del dialogo tra le differenti religioni e culture. Il Patriarca Kirill ha infatti affermato la necessità della costruzione di una geopolitica ortodossa, in linea con la politica estera di Putin. Per favorire questo ruolo, nel 1998 è stato istituito il “Consiglio Inter-religioso della Federazione Russa” e l’analogo “Consiglio Inter-religioso della CSI” (Comunità degli Stati Indipendenti). I Cristiani ortodossi, complessivamente 230 milioni, comprendono: i Paesi ortodossi per tradizione (Bielorussia, Bulgaria, Cipro, Georgia, Grecia, Macedonia, Moldova, Montenegro, Romania, Russia, Serbia, Ucraina), con proprie Chiese nazionali ortodosse, i Paesi che contengono minoranze etnico-culturali ortodosse (Albania, Repubblica Ceca, Finlandia, Polonia, Slovacchia), e i Paesi che contengono fedeli ortodossi, principalmente in Europa Occidentale. Il Patriarca Kirill visita spesso Paesi dell’ex cintura sovietica per rinsaldare i rapporti culturali, religiosi, ma anche politici. La Chiesa Ortodossa si muove all’interno dell’ex spazio sovietico, che il Cremlino mira a ricompattare, assecondando in tal modo le necessità di politica estera del governo che fa di continuo appello alla comunanza di valori tra le “nazioni sorelle” con “un’unica storia, un’unica Chiesa e un unico futuro”.
Con riferimento alla politica estera è interessante evidenziare la situazione che si sta vivendo in Ucraina a seguito del conflitto dove gli esponenti della Chiesa Ortodossa sono sottoposti alle pressioni esercitate dalle nuove autorità filo americane e dalle organizzazioni “nazionaliste” ucraine, che hanno interesse ad appropriarsi della facoltà di trasferire il clero dipendente dal Patriarcato di Mosca sotto il Patriarcato di Kiev (quest’ultimo non riconosciuto neppure dal Patriarcato di Costantinopoli). A tal proposito va sottolineato che l’Ucraina conta il più grande numero di Parrocchie ortodosse dopo la Russia.
L’attuale quadro geopolitico.
La situazione geopolitica odierna ci pone di fronte ad una serie di crisi internazionali in cui gli equilibri tra le potenze si mostrano sempre più labili e in cui l’esplosione di un conflitto globale appare, secondo Papa Francesco, già in atto.
Gli Stati Uniti e i suoi alleati della NATO hanno condotto una politica aggressiva e minacciosa verso Oriente, producendo differenti situazioni di crisi nella zona di influenza strategica russa (vedi Ucraina, Georgia, Siria, Afghanistan), con il precipuo scopo di accerchiare Russia e Cina. Il controllo di tale area è stato, per via delle sua centralità geografica e delle risorse presenti nel sottosuolo, l’obiettivo a cui hanno mirato gli strateghi. Il teorico inglese Halford John Mackinder, uno dei padri fondatori della geopolitica classica, riuscì meglio degli altri a raffigurare in modo letterario l’importanza di tale area elaborando nel periodo a cavallo tra la fine dell’ ‘800 e gli inizi del ‘900 la famosa teoria dell’Hertland, secondo cui “chi controlla l’Est Europa comanda l’Hertland: chi controlla l’Hertland comanda l’Isola-Mondo: chi controlla l’Isola-Mondo comanda il Mondo”. L’Hertland indicato da Mackinder corrisponde sostanzialmente alla grande massa di terra euroasiatica il cui pivot è identificabile nella regione dell’Asia Centrale, storico luogo di interesse e di confronto per le grandi potenze, nonché teatro del memorabile “Grande Gioco” fra l’Impero britannico e quello russo. A seguito dell’implosione dell’Unione Sovietica, che portò all’indipendenza delle Repubbliche Centroasiatiche, la regione tornò all’attenzione dei grandi strateghi e, in particolare, dello statunitense Brzezinski, il quale, nella sua maggiore opera The Grand Chesboardpubblicata nel 1997, ha sostenuto che la chiave del potere globale è il controllo dell’Eurasia e che la chiave per controllare l’Eurasia è il controllo delle Repubbliche dell’Asia Centrale. Per ottenere tale controllo – spiega Brzezinski – è importante spingere la Russia (debilitata) verso la struttura atlantica-europea di modo che rinunci a ricostruire il suo Impero euroasiatico lasciando, così, campo libero a Washington di farsi garante della stabilità e del libero accesso all’area. Corollario dell’egemonia statunitense sarebbe stata la realizzazione di una rete di oleodotti che avrebbero segnato la fine del monopolio russo nel trasporto di idrocarburi. Dagli scritti di Brenzinski emerge con chiarezza il piano di estensione dell’impero egemonico statunitense. Egli afferma, inoltre, che non essendo gli Stati Uniti una potenza euroasiatica, essi devono necessariamente agire influenzando i Paesi che occupano tale territorio e, più in particolare, tre Stati periferici di quel continente euroasiatico al fine di arginare il pericolo che proprio da quell’area nasca un concorrente alla supremazia americana. É per tali ragioni che molti analisti intravedono nel contesto geopolitico euroasiatico l’origine e al contempo il fine ultimo della maggior parte degli stravolgimenti politici che interessano l’intero pianeta. In particolare, vi è chi ipotizza che la strategia del caos di matrice statunitense – che nell’ultimo ventennio ha destabilizzato varie e vaste aree del pianeta, partendo dai Balcani e passando per Afghanistan, Iraq, Siria e che ha sfiorato l’Iran con i falliti tentativi di rivoluzione colorata, senza tralasciare la guerra in Georgia, le varie rivoluzioni dei tulipani e delle rose e non ultimo leprimavere arabe, l’Ucraina e l’avvento dell’ISIS – sia stata senz’altro mirata a spostare il baricentro geopolitico nelle due aree più sensibili del globo: il Mediterraneo e l’Asia Centrale.
La finalità di tale strategia è stata appunto quella di ostacolare, in un primo tempo, la rinascita di una nuova potenza nello spazio euroasiatico, e successivamente, dopo che la Russia ha ripreso vigore, di impedirle lo sbocco al mare; ma sopratutto di impedire che una Russia potente e sovrana, qual è quella attuale, possa entrare in sintonia con l’Europa. A ben pensare, la frammentazione della cerniera mediterranea per mezzo di azioni militari, dirette o coperte, oltre a costituire innumerevoli focolai di tensione nell’area geostrategica della Russia, favorirebbe anche l’apertura di una via di accesso, sul tracciato della via della seta, verso lo spazio centro asiatico (non a caso già definito dagli euroatlantici “Balcani Euroasiatici”) per la realizzazione del Grande Medio Oriente che da anni alberga nei progetti del Pentagono.
I vari focolai di tensione, generati dalla suddetta strategia del caos per destabilizzare la cintura di influenza russa, mirano a rendere lo Stato vulnerabile nei suoi confini e quindi costretto a difendersi contrattaccando. La situazione al momento già incandescente, se dovesse esplodere, provocherebbe una drammatica guerra tra superpotenze, che si contenderebbero il dominio dell’Isola Mondo.
La Russia nella visione geopolitica di Vladimir Putin.
Contrariamente alle aspettative di quei teorici che al tramonto dell’Impero sovietico avevano decretato la “fine della storia” e la realizzazione dell’unipolarismo perfetto a guida statunitense, oggi si va delineando un quadro del tutto differente. Se è innegabile che sotto il profilo culturale e più marcatamente sociologico stiamo assistendo ad una tendenza unificante e ricompositiva del mondo, strutturato per mezzo dell’“industria culturale” made in U.S.A. utilizzata dagli strateghi come strumento di soft power, al tempo stesso sotto il profilo geopolitico si va affermando in modo inequivocabile un’architettura multipolare, o come è stato detto, un «uni-multipolarismo». Con questa espressione si vuole indicare quel momento intermedio tra la caduta dell’unipolarismo e il consolidarsi del multipolarismo. Quest’ultimo si genera dalla commistione di differenti elementi che, come dei fiumi carsici, hanno camminato sotto traccia per poi riemergere quasi improvvisamente. Tra questi vi è l’irrompere sulla scena di potenze quali Cina, Russia, India, Brasile, Sud Africa – meglio noti come BRICS – che divenendo dei poli regionali con un ruolo di primato nella loro area di influenza (si pensi, a titolo di esempio, alla Russia in Eurasia o al Brasile in Sud America), hanno avuto l’abilità di coniugare legami politici ed interessi economici; fattori che, interconnessi alla dimensione geografica, ne hanno consentito l’organizzazione all’interno di un nuovo quadro internazionale.
La Federazione Russa nata dalle ceneri dell’Unione Sovietica, dopo un decennio di instabilità, è riuscita efficacemente a riconfermare il proprio ruolo di gigante internazionale. In tale delicato e fugace contesto unipolare, contraddistinto dalla progressiva espansione statunitense nella massa euroasiatica (attuata, come sopra menzionato, con la prassi delle guerre “umanitarie” nei Balcani, in Iraq e in Afghanistan), Mosca ha recuperato pienamente il suo prestigio sia presso gli attori ex sovietici che presso gli attori globali emergenti, consentendo un sostanziale riequilibrio nello spazio ex sovietico che è stato definito “gran-regionale” e “pro-euroasiatico”. É di fondamentale importanza sottolineare che in tale nuovo assetto la Federazione Russa non ha assunto una posizione egemone ma, al contrario, ha privilegiato gli aspetti cooperativi volti allo sviluppo socio-economico e alla sicurezza collettiva dell’intera area. La prassi cooperativa adottata da Mosca ha caratterizzato anche le successive relazioni intessute con i paesi emergenti – Brasile, India, Cina e Sud Africa – con i quali costituisce il raggruppamento geoeconomico dei BRICS destinato ad incidere sempre più profondamente nei nuovi scenari globali. La peculiarità di detta organizzazione risiede principalmente nel fatto che i Paesi membri stiano formulando un nuovo modello di inserimento internazionale e di cooperazione al cui interno si affrontano tutte le questioni nodali dell’economia mondiale: dalla questione climatica a quella del paniere delle valute, da quella inerente i processi di modernizzazione e di sviluppo innovativo a quella relativa alla sicurezza di particolari settori industriali. A tal proposito, sono di notevole rilievo i progetti messi in campo per sviluppare delle valide alternative al regime finanziario nordamericano, dominato dal dollaro e per rendersi indipendenti dai dicktateconomico finanziari “imposti” dalla Banca Mondiale, dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca dei Regolamenti internazionali. Tra le iniziative in cantiere vi è la creazione della Banca dei BRICS il cui obiettivo principale sarà sostenere progetti comuni di sviluppo nei Paesi associati e fronteggiare le future ed eventuali crisi finanziarie internazionali adoperando un paniere di valute che possa fare da contraltare al dollaro. Annunciatane la creazione nel 2013 a Durban, durante il V vertice dei BRICS, l’accordo vero e proprio per la realizzazione è stato siglato durante l’incontro tenutosi lo scorso luglio 2014 nella città di Fortaleza dove si è deciso che l’Istituto, che avrà sede in Sud Africa, sarà operativo già dal 2015.
I BRICS, inoltre, fanno percepire la loro presenza con grande determinazione anche nelle tematiche scottanti dello scenario internazionale concernenti le tensioni e i conflitti. Ne rappresenta un esempio sia la posizione assunta nel 2011 sulle questioni di Libia e Siria, quanto sull’attuale crisi ucraina in merito alla quale, durante il loro incontro a margine del vertice sulla sicurezza nucleare a L’Aja, hanno dichiarato la loro ferma opposizione contro le attuali sanzioni nei confronti della Russia.
La riaffermazione di Mosca su un così ampio piano internazionale è stata possibile grazie a due fattori principali riscontrabili nel ruolo svolto da Putin nel capitanare e compattare il Paese e la sua classe dirigente e nel ristabilimento di nuove ed adeguate relazioni con i vicini. Tali fattori hanno sancito il compimento del ritorno russo e quindi l’affermazione della Russia come grande potenza eurasiatica che, preoccupata di difendere i suoi “interessi nazionali” (e non più ideologici), amplia lo spazio dell’ex-URSS alla Comunità degli Stati Indipendenti (CSI). Sotto la guida di Vladimir Putin, la Russia sta realizzando la sua strategia sulla base del suo sviluppo economico e militare (soprattutto nucleare) e della sua rilevanza all’interno della CSI, il suo “estero vicino”, diventato la priorità della sua politica esterna. È chiaro, dunque, che Putin miri ad instaurare un’architettura mondiale multipolare che possa garantire un pacifico e collaborativo equilibrio tra le varie potenze del globo partendo da quelle (ri)emerse (quindi la Russia, il Brasile, la Cina e l’India e Sud Africa) e che contrasti la visione egemone statunitense. In tal senso è fondamentale citare l’Unione Economica Euroasiatica sviluppata dalle relazioni tra Bielorussia, Kazakistan, Russia e Armenia. Tale progetto è di straordinaria importanza perché potrebbe essere letto come un parziale riorientamento ad est delle economie dell’area euroasiatica, ma anche come l’avvio della creazione di un ponte tra le economie di Europa ed AsiaL’idea di Putin era di sviluppare, attraverso l’appoggio dei partner europei (molti dei quali erano d’accordo con tale visione) uno spazio comune di cooperazione economica e umanitaria da Lisbona a Vladivostok. Progetto che si sarebbe potuto gradualmente realizzare soltanto attraverso una costante cooperazione tra le due unioni. L’agenda di Putin è principalmente orientata all’integrazione positiva e pacifica, che esclude tentativi di limitazione della sovranità dei vicini. In questo quadro l’Europa sarebbe divenuta un partner naturale sia per la continuità geografica che per il comune bagaglio culturale e valoriale che intercorre tra le due aree. In ragione delle politiche sin qui condotte e degli obiettivi che si era prefissato, è evidente che Putin avrebbe gradito l’inizio di un dialogo concreto tra l’Unione Eurasiatica e l’Unione Europea, un dialogo che invece ha sempre trovato il veto, peraltro mai motivato in maniera plausibile, di Bruxelles e a cui la crisi ucraina ha fatto seguito incrinando manifestamente i rapporti.
In definitiva, alla luce della attuale situazione geopolitica appare ragionevolmente ipotizzabile che se la Russia fosse accolta in fraterna solidarietà potrebbe svolgere un ruolo decisivo per la Pace. L’unione di queste due importanti aree del pianeta andrebbe a suggellare senz’altro la stabilità e la pace mondiale.
Dott. Filippo Romeo
del Consiglio Direttivo della Fraternitas Aurigarum.

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