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martedì 24 febbraio 2015

Paradossi e strabismi ecumenici



Lo scorso 9 febbraio la basilica di San Giovanni in Laterano, la cattedrale del papa, ha ospitato il pellegrinaggio di ringraziamento della congregazione domenicana del “Santissimo Nome di Gesù” di Fanjeaux in Francia, per i 40 anni dalla fondazione. Al pellegrinaggio hanno partecipato, oltre a duecento religiose, 950 delle loro studentesse e un centinaio di insegnanti e genitori. Alle domenicane però non è stato possibile celebrare messa in nessuna chiesa di Roma. Il fatto è che le suore in questione appartengono al ramo femminile della comunità lefebvriana e che la messa che volevano celebrare era quella di rito preconciliare. A nulla è servito – informano le suore – che a perorare la loro causa sia intervenuta con “reiterate richieste” la pontificia commissione “Ecclesia Dei”.

La cosa è piuttosto singolare in una diocesi come quella di Roma in cui chiese importanti, come San Teodoro al Palatino o i Santi Vincenzo e Anastasio a Fontana di Trevi, sono state affidate a comunità ortodosse, e dove anche nelle parrocchie sono ospitati riti delle comunità non cattoliche copte o rumene. Ma questo strabismo ecumenico non deve sorprendere, se si pensa che in campo cattolico c’è chi – come il priore di Bose Enzo Bianchi o il teologo Gianni Gennari – applica, spregiativamente, la qualifica di “scismatici” solo ai lefebvriani (che non sono più scomunicati ma non hanno ancora uno “status” canonico nella Chiesa cattolica) mentre i cristiani di altre confessioni che formalmente non sono meno “scismatiche” dei lefebvriani sono tutti amichevolmente chiamati “fratelli”.
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