ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 4 marzo 2015

Non sappiamo se ridere o piangere


Senso dello stupore e senso del ridicolo

Ogni anno, il giovedì dopo le Ceneri, si rinnova un appuntamento molto atteso, quello del clero dell’Urbe con il proprio Vescovo. Il tema proposto questa volta riguardava l’ars celebrandi, un argomento per il quale, in linea di principio, non sarebbe necessario scomodare la suprema autorità della Chiesa, dato che dovrebbe essere stato appreso in seminario sulla base delle norme liturgiche, che hanno vigore di legge. Tutti sanno però che in materia di sacra Liturgia, nell’attuale temperie ecclesiale, vige piuttosto la regola della creatività e dell’improvvisazione; in certi Paesi, anzi, è in realtà il Vescovo a dover obbedire ai diktat del consiglio pastorale della parrocchia che intende visitare, i cui membri gli spiegano al momento dell’arrivo che cosa dovrà fare per “celebrare con loro” in quell’occasione. Se poi eventualmente due di loro, entrambi maschi, convivono beatamente more uxorio (si fa per dire), toccherà a lui spiegare ai pochi parrocchiani ancora perplessi che bisogna comunque rispettarli…

Se è vero – come è vero – che la crisi della Chiesa dipende dallo scempio subìto dalla Liturgia, non sappiamo se ridere o piangere quando ci si riempie la bocca di locuzioni roboanti e solenni che vorrebbero nascondere o la solenne dabbenaggine di chi non vede i fatti o la sfacciata ipocrisia di chi finge di non vederli. Nel Popolo di Dio è quasi scomparsa la fede nella Presenza reale, le chiese son diventate dei mercati, i sacri ministri si comportano da showman per essere simpatici e, per non scontentare nessuno, danno la santissima Eucaristia a chiunque… e liturgisti, teologi e Pastori discutono di dettagli, inezie, pinzillacchere: praticano quello che, con licenza parlando, si chiama autoerotismo mentale (che, anche se mentale, è pur sempre un peccato impuro, quindi peccato grave). Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur.

Ma tutto questo è roba vecchia, così vecchia che, per meglio preparare i sacerdoti all’improvvisata lectio magistralis di cui si diceva in apertura, il loro Pastore non ha trovato niente di meglio, come lettura propedeutica, che il testo di una relazione da lui tenuta quando ancora era vescovo nel suo Paese, una decina di anni fa: se di nuovo c’è qualcosa, è il neonato magistero retroattivo. Ad ogni modo, il cardine su cui ruotava l’intervento alla plenaria della Congregazione competente è il senso dello stupore, senza il minimo accenno – cosa di cui l’autore fu, per sua stessa ammissione, pubblicamente rimproverato da due colleghi, tra cui l’allora cardinal Ratzinger – al fatto di trovarsi alla presenza di Dio. Un tempo, discorrendo di divina Liturgia, si sarebbe parlato appunto disenso del sacro. Adesso la sola eco di questa espressione, in chiesa, fa storcere il naso: sa di distanza, di elevatezza, di oppressione… Oggi tutto è assolutamente orizzontale, disperatamente piatto, obbligatoriamente democratico: guai a chi prova ad alzare un pochino lo sguardo! Siamo tutti uguali, compreso Dio.

È così che i fedeli della mia parrocchia hanno scoperto la scritta che campeggia a caratteri cubitali lungo l’architrave che sovrasta l’altare maggiore e sostiene un maestoso crocifisso solo perché il nuovo parroco, nella festa della Santa Croce, l’ha fatta notare: Redemisti nos in sanguine tuo. La traduzione e la spiegazione, però, non sembrano aver impressionato più di tanto i presenti: a che pro fare caso a qualcosa che è sempre stato lì come se non ci fosse? E poi, che significa essere redenti? Siamo tutti buoni, abbiamo tutti le idee giuste (ognuno la sua), va tutto magnificamente bene (salvo qualche piccolo incidente di quando in quando)… Si è risolto il problema del male negandolo o ammettendolo come cosa lecita o addirittura buona: che diamine, non si azzarderà mica, il prete, a sostenere ancora che un cattolico non può divorziare o che l’aborto non è un diritto!

Riguardo al senso dello stupore, che ci si raccomanda di suscitare nei fedeli, ciò di cui sentiamo crudelmente la mancanza è che si specifichi meglio per chi o per che cosa; non è poi così evidente e immediato, all’epoca della pornografia e del pansessismo. È ancora più difficile, in questa medesima epoca, suscitare lo stupore per ciò che non si può vedere né toccare in chi, fin dalla scuola media inferiore, si è abituato a vedere e toccare ben altre cose. Ma l’attuale magistero, sulla scia tracciata da un noto Cardinale passato pochi anni orsono davanti al giudizio di Dio e definito dal Pontefice regnante un novello “padre della Chiesa”, brilla proprio per le belle frasi ad effetto che solleticano la sensibilità, ma non danno peraltro alcuna indicazione concreta sul da farsi né tanto meno sul da credersi, mantenendosi volutamente nel vago. Non c’è da meravigliarsi che quello stesso Cardinale, già iniziato al grembiulino, dopo aver lasciato una diocesi allo sbando e aver sistematicamente contestato il Magistero papale, a voce e per iscritto, abbia posto fine alla propria esistenza chiedendo di essere soppresso con un’iniezione: è stato coerente fino in fondo con il suo “credo” (o meglio con la dottrina del suo gran maestro).

A forza di ambiguità e indeterminatezza nella predicazione e nell’insegnamento, oggi ci si può tranquillamente considerare cattolici e pensare che Dio sia un’energia benefica, che Cristo sia semplicemente un uomo, che la santissima Vergine l’abbia messo al mondo come qualsiasi altra donna, che la comunione eucaristica sia un semplice segno di appartenenza, che dopo la morte ci si reincarni e che alla fine tutti si salvino (da che cosa, non è dato saperlo)… Di fronte a questi risultati del nuovo clima pastoralista e inclusivo, gli ingenui potranno senz’altro provare un senso di stupore. Noi proviamo piuttosto un senso di sgomento, nonché di pietà per chi ha smarrito il buon senso in ciò che dice e il senso del ridicolo per ciò che fa.
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