ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 21 marzo 2015

Ride bene chi ride ultimo


Ridere per non piangere


Lo confesso: piango spesso sull’odierna situazione ecclesiale, in cui sono orfano di padre e di madre. Non ho più il sostegno, in una lotta che si fa sempre più aspra, dell’autorità benefica di un Pastore universale all’altezza della sua missione, né il conforto di sentirmi al sicuro in seno a quella santa Madre Chiesa la cui dirigenza, in nome della misericordia verso chi non vuol saperne, è diventata matrigna con chi le è fedele. Ma non si può sempre piangere; quand’anche fossero lacrime sante che lavano l’anima e la preparano a consolazioni celesti, la nostra fragile psiche, ferita dal peccato originale, ha bisogno di sollevarsi ogni tanto con quei mezzi umani che il buon Dio ha pur concesso alla nostra specie. Fra questi c’è senz’altro l’umorismo, che contiene un segreto per resistere alle peggiori prove dell’esistenza – segreto prezioso, soprattutto se la prova è del tutto inedita.

Non so se dobbiamo essergliene grati, ma ogni giorno il caro buontempone della pampa, per carpire il plauso dello Zeitgeist mondano, ci fornisce nuovi motivi per ridere o piangere, a seconda dello stato d’animo del momento. Una delle ultime sparate (ma già trita e ritrita nella sostanza) è che ci sono persone così buone che, per colpa degli altri, sono costrette a commettere reati perché non possono agire altrimenti; basterebbe regalare loro un sorriso o una carezza perché evitassero di farlo. Pensate per esempio a un drogato che vi punta addosso un coltello per derubarvi, o magari a un mafioso che spara nel mucchio per colpire uno come lui, o ancora a un adepto del novello califfo che stacca teste a ripetizione, e provate a dargli una carezza… Vi abbraccerà commosso e ritornerà un angioletto (ma non azzardatevi a provare a convertirlo, sarebbe gretto proselitismo; ancor meno a dirgli che il peccato grave non è lecito a nessuno e in nessuna circostanza, sarebbe bieco moralismo). Via, si parte tutti per la Siria!

Secondo la vulgata dei vaticanisti prezzolati, nel conclave del 2005 l’argentino sarebbe stato il favorito di un altro cardinale gesuita che si batteva da tempo per un “rinnovamento” radicale della Chiesa, ma era troppo anziano e malato per prenderne il timone. Nulla di più falso: risulta invece da testimonianze dirette che, interpellato sul confratello come nuovo candidato, il celebre biblista abbia respinto l’ipotesi con non celato disprezzo: «È troppo ignorante!». La superbia intellettuale, stigma dell’élite radical-chic gesuitica, preferì che diventasse papa il nemico giurato di sempre piuttosto che un personaggio di scarsa cultura, contando comunque su una futura strategia di boicottaggio sistematico… Una volta morto – a quanto pare suicida e, quindi, in odore di dannazione eterna – il paladino dei non credenti, al conclave successivo non ci fu più, evidentemente, l’opposizione del gruppo da lui capeggiato; il seguito lo conoscono tutti. La valutazione del livello di cultura dell’eletto è peraltro l’unico elemento su cui possiamo ritrovarci in sintonia con il defunto – oltre, naturalmente, la pur invisa scelta dell’ultimo autentico successore di Pietro.

L’ignoranza rappresenta di solito, sul piano morale, una scusante, eccetto quando si tratta di ignoranza crassa; la contestazione “colta” e pervicace della verità rivelata è invece un peccato ben più grave. Per ignoranza, ad ogni modo, si possono dire solenni sciocchezze senza nemmeno rendersi conto che esse ricadono sotto gli anatematismi (quelle limpide e liberanti proposizioni che iniziano con si quis dixerit e terminano conanathema sit) dei Concili di Trento e Vaticano I, che un pontefice dovrebbe almeno aver sentito nominare, se non altro nella sua giovinezza. Che le affermazioni incriminate non rientrino nel magistero ufficiale o esprimano eventualmente opinioni private non cambia nulla: si quis dixerit, è sufficiente averle pronunciate. Se poi non vengono nemmeno ritrattate, non c’è nulla da fare: la scomunica, in questi casi, è automatica. Qui non viene più da ridere, perché la situazione si fa tragica.

Un papa che cada in eresia cessa di esserlo ipso facto, ci assicura san Roberto Bellarmino. Se questo è chiaro a livello teologico, sul piano canonico la questione è ben più delicata: ci vorrebbe un concilio che dichiarasse formalmente l’eresia e chiedesse al papa di abiurare o di dimettersi – cosa impensabile, nella situazione attuale. Ma come si è potuto arrivare ad una simile degenerazione? La risposta è molto semplice: grazie a un concilio che è stato definito pastorale (senza peraltro che alcuno, in cinquant’anni, ci spiegasse che cosa ciò significhi esattamente), ma che in realtà ha provocato uno stravolgimento radicale delle convinzioni comuni concernenti i punti più importanti della fede, quelli per i quali vale o non vale la pena di credere e di appartenere alla Chiesa. È un innegabile dato di fatto: l’ermeneutica della rottura trova spesso consistente fondamento in testi costellati di affermazioni ambigue, imprecise o decisamente problematiche dal punto di vista dottrinale, per non parlare di quelli che, appena enunciato un principio in maniera cristallina, lo smentiscono subito dopo con ipotesi, riserve e considerazioni contrarie, o di quelle “eccezioni” vaghe e non ben delimitate che scardinano in pratica le norme poco prima ribadite… Non c’è che dire: le commissioni, controllate da vescovi e teologi progressisti, lavorarono con estrema finezza per ottenere il consenso dell’assise senza dare a vedere i loro veri obiettivi.

Tutti sanno che a un ladro, per forzare una porta o una finestra, basta trovare una fessura abbastanza larga per infilarvi il piede di porco; una volta penetrato nella casa, essa sarà alla sua mercé. Una piccola crepa può provocare il crollo di una diga possente, tanto è forte la pressione dell’acqua; poi si salvi chi può. Le cosiddette “aperture” del Vaticano II si sono ben presto trasformate da spiragli in voragini abissali, per la fede e la salvezza delle anime… Padre Pio soleva parlare delle riunioni che si tengono all’Inferno per architettare piani distruttivi a danno della Chiesa e chiedeva a Dio di poter morire prima di vederne lo sfacelo; fu accontentato giusto in tempo, ma lo sfascio era già iniziato. Egli profetizzò l’èra della falsa misericordia (quella che, anziché liberarne il peccatore, lo imprigiona nel suo peccato). Ora, nella “Chiesa rinnovata”, la sua figura è diventata un idolo, per molti che non vanno mai a Messa e a confessarsi non ci pensano neppure. Nonostante svariati tentativi, il diavolo non riuscì a neutralizzarlo in vita; che ci stia riuscendo adesso? La vendetta è in effetti un piatto che si mangia freddo, fosse pure mezzo secolo dopo. Ma il cornuto sa che gli rimane poco tempo; lo sapeva pure Padre Pio. Ride bene chi ride ultimo.

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