ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 7 aprile 2015

Beato sarà lui !?

Chi era davvero Dom Helder Câmara?


(su ATFP) Si è parlato molto in questi giorni di Dom Helder Câmara, il cui processo di beatificazione è stato recentemente approvato dal Vaticano. Per l’italiano medio la figura di mons. Helder Pessoa Câmara (1909-1999), vescovo ausiliare di Rio de Janeiro, e poi arcivescovo metropolita di Olinda-Recife, è pressoché sconosciuta.
Chi era Dom Helder?
Una propaganda ai limiti del ridicolo
Le uniche notizie su mons. Câmara che filtrano dalla stampa nostrana provengono da fucine propagandistiche tanto sbilanciate che non ho paura a definirle ai limiti del ridicolo.
Ricordo benissimo, per esempio, la reazione della stampa all’epoca della scomparsa di Dom Helder, nell’agosto 1999. I mass media italiani gareggiarono in panegirici, conferendogli titoli altisonanti come “Profeta dei poveri”, “Santo delle favelas”, “voce del Terzo Mondo”, “San Helder d’America” e via discorrendo. Fu una sorta di canonizzazione massmediatica (1).
Questa stessa macchina propagandistica sembra essersi riattivata a proposito dell’apertura del processo di beatificazione, firmato in Vaticano lo scorso 25 febbraio. Qualche informazione in merito non nuocerebbe affatto.

Militante filo-nazista
Forse pochi lo sanno, ma Helder Câmara iniziò la sua vita pubblica come militante nella destra filo-nazista.
Egli fu, infatti, gerarca della Ação Integralista Brasileira (AIB), il movimento filo-nazista fondato da Plinio Salgado. Nel 1934, l’allora padre Câmara entrò a far parte del Consiglio Supremo dell’AIB. Due anni dopo divenne segretario personale di Salgado, e quindi Segretario nazionale dell’AIB, prendendo parte da protagonista ai raduni e alle marce paramilitari che scimmiottavano quelle dei nazisti in Germania. Le sue convinzioni filo-naziste erano così profonde, che si era fatto ordinare sacerdote portando sotto la talare la divisa delle milizie integraliste, la famigerata “camicia verde”.
Nel 1946 l’arcivescovo di Rio di Janeiro volle farlo suo vescovo ausiliare ma la Santa Sede si rifiutò a causa della sua precedente militanza filo-nazista. La nomina arrivò solo sei anni dopo. Nel frattempo, Helder Câmara aveva maturato il suo passaggio dall’integralismo filo-nazista al progressismo filo-marxista.
Quando nel 1968 lo scrittore brasiliano Otto Engel scrisse una biografia di mons. Câmara, egli ricevette “ordini sommari” dalla Curia di Olinda-Recife che lo diffidava dal pubblicarla. L’arcivescovo non voleva far conoscere il suo passato filo-nazista…

Dalla JUC al PC. L’Azione Cattolica brasiliana

Nel 1947 padre Câmara fu nominato Assistente generale dell’Azione Cattolica brasiliana che, sotto il suo influsso, iniziò a scivolare verso sinistra fino ad abbracciare, in alcuni casi, il marxismo-leninismo. La migrazione fu particolarmente evidente nella JUC (Juventude Universitária Católica), alla quale Câmara era particolarmente vicino. Scrive Luiz Alberto Gomes de Souza, già segretario della JUC: “L’azione dei militanti della JUC (…) sfociava in un impegno che, a poco a poco, si è rivelato socialista” (2).
La rivoluzione comunista a Cuba (correva l’anno 1959) fu accolta dalla JUC con entusiasmo. Secondo Haroldo Lima e Aldo Arantes, dirigenti della JUC, “la recrudescenza delle lotte popolari e il trionfo della rivoluzione cubana nel 1959 aprirono la JUC all’idea di una rivoluzione brasiliana”. La deriva a sinistra fu molto agevolata dal coinvolgimento della JUC con l’UNE (União Nacional de Estudantes), vicina al Partito comunista. “Come risultato della sua militanza nel movimento studentesco – proseguono Lima e Arantes –la JUC fu obbligata a definire un’agenda politica più ampia per i cristiani di oggi. Fu così che, nel congresso del 1960, approvò un documento (…) in cui annunciava l’adesione al socialismo democratico e all’idea di una rivoluzione brasiliana” (3).
Durante il governo di sinistra del presidente João Goulart (1961-1964), prese forma all’interno della JUC una fazione radicale inizialmente chiamata O Grupão, il Grande Gruppo, poi trasformatasi in Ação Popular(AP) che, nel 1962, si definì socialista. Nel congresso del 1963, l’AP approvò i propri Statuti nei quali “si abbracciava il socialismo e si proponeva la socializzazione dei mezzi di produzione”. Statuti che contenevano, tra l’altro, un elogio alla rivoluzione sovietica e un riconoscimento dell’“importanza decisiva del marxismo nella teoria e nella prassi rivoluzionaria” (4).
La deriva, tuttavia, non si fermò lì. Nel congresso nazionale del 1968 Ação Popular si proclamò marxista-leninista, cambiando il nome in Ação Popular Marxista-Leninista (APML). Visto che niente più la separava dal Partito comunista, nel 1972 decise di sciogliersi e di incorporarsi al Partido Comunista do Brasil. Attraverso questa migrazione, molti militanti dell’Azione Cattolica finirono per partecipare alla lotta armata durante gli anni di piombo brasiliani.
Contro il parere di non pochi vescovi, mons. Helder Câmara fu uno dei più entusiasti e convinti difensori della migrazione a sinistra nella JUC (5).
Contro Paolo VI e altre stramberie
Nel 1968, mentre Papa Paolo VI si accingeva a pubblicare l’enciclica Humanae Vitae, mons. Helder Câmara si schierò apertamente contro il Pontefice, qualificando la sua dottrina sugli anticoncezionali “un errore destinato a torturare le spose e a turbare la pace di tanti focolari” (6).
In una poesia che fa davvero scalpore, l’arcivescovo di Olinda-Recife ironizzava pure sulle donne “vittime” della dottrina della Chiesa, costrette, secondo lui, a generare dei “mostriciattoli”: “Figli, figli, figli! Se è il coito che vuoi, devi procreare! Anche se tuo figlio ti nasce senza viscere, le gambette a stecchino, la testona a pallone, brutto da morire!”.
Helder Câmara difendeva anche il divorzio, approvando la posizione delle chiese ortodosse che “non precludono la possibilità di un nuovo matrimonio religioso a chi è stato abbandonato [dal coniuge]”. Interrogato se questo non avrebbe dato ragione ai laicisti, egli rispose: “Cosa importa che qualcuno canti vittoria, se ha ragione?”.
L’irrequieto arcivescovo chiedeva a gran voce anche l’ordinazione sacerdotale delle donne. Rivolgendosi a un gruppo di vescovi durante il Concilio Vaticano II, domandava con insistenza: “Ditemi, per favore, se trovate che ci sia qualche argomento effettivamente decisivo che impedisca alle donne l’acceso al sacerdozio, oppure si tratta di un pregiudizio maschile?”.
E che importa se il Concilio Vaticano II ha poi precluso questa possibilità. Secondo Câmara, “dobbiamo andare oltre i testi conciliari [la cui] interpretazione compete a noi”.
Ma i vagheggiamenti non finivano lì. In una conferenza tenuta di fronte ai Padri Conciliari nel 1965, egli affermava: “Credo che l’uomo creerà artificialmente la vita, arriverà alla risurrezione dei morti e (…) otterrà miracolosi risultati di rinvigorimento di pazienti maschi tramite l’innesto di ghiandole genitali di scimmia”.

Schierato con l’URSS, Cina e Cuba

Le prese di posizione concrete di Dom Helder in favore del comunismo (anche se a volte ne criticava l’ateismo) furono numerose e coerenti.
Per esempio, è rimasto tristemente notorio il suo intervento del 27 gennaio 1969 a New York, nel corso della VI Conferenza annuale del Programma Cattolico di Cooperazione interamericana. Intervento in tal modo schierato col comunismo internazionale, che gli valse l’epiteto di “Arcivescovo rosso”, appellativo indissolubilmente poi legato al suo nome.
Dopo aver duramente rimproverato agli USA la loro politica anti-sovietica, Dom Helder propose un drastico taglio delle forze armate statunitensi, mentre invece chiedeva all’URSS di mantenere le proprie capacità belliche per poter far fronte all’“imperialismo”. Conscio delle conseguenze di tale strategia, egli si difese a priori: “Non ditemi che tale approccio metterebbe il mondo nelle mani del comunismo!”.
Dall’attacco agli Stati Uniti, Helder Câmara passò a tessere il panegirico della Cina di Mao Tse-Tung, allora in piena “rivoluzione culturale”, che provocò milioni di morti. L’Arcivescovo Rosso chiese formalmente l’ammissione della Cina comunista all’ONU, con la conseguente espulsione di Taiwan. E finì il suo intervento con un appello in favore del dittatore cubano Fidel Castro, all’epoca impegnato a favorire sanguinose guerriglie in America Latina. Chiese anche che Cuba fosse riammessa nell’OEA (Organizzazione degli Stati Americani), dalla quale era stata espulsa nel 1962.
Questo intervento, così sfacciatamente pro-comunista e anti-occidentale, fu denunciato dal prof. Plinio Corrêa de Oliveira nel manifesto «L’Arcivescovo rosso apre le porte dell’America e del mondo al comunismo»: “Le dichiarazioni contenute nel discorso di Dom Helder tratteggiano una politica di resa incondizionata del mondo al comunismo. Siamo di fronte a una realtà sconvolgente: un vescovo di Santa Romana Chiesa impegna il prestigio derivante dalla sua dignità di successore degli Apostoli per demolire i bastioni della difesa militare e strategica del mondo libero di fronte al comunismo. Il comunismo, cioè il più radicale, implacabile, crudele e insidioso nemico che mai si sia scagliato contro la Chiesa e la civiltà cristiana” (7).

Un progetto di rivoluzione comunista per l’America Latina

Ma forse l’episodio che destò più stupore è stato il cosiddetto “affaire Comblin”.
Nel giugno 1968 trapelò alla stampa brasiliana un documento-bomba preparato sotto l’egida di mons. Helder Câmara dal sacerdote belga Joseph Comblin, professore presso l’Istituto Teologico (Seminario) di Recife. Il documento proponeva, senza veli, un piano eversivo per smantellare lo Stato e stabilire una “dittatura popolare” di matrice comunista. Eccone alcuni punti:
Contro la proprietà. Nel documento, Comblin difende una triplice riforma – agraria, urbana e aziendale – partendo dal presupposto che la proprietà privata e, quindi, il capitale siano intrinsecamente ingiusti. Qualsiasi uso privato del capitale dovrebbe essere vietato dalla legge.
Uguaglianza totale. L’obiettivo, afferma Comblin, è stabilire l’uguaglianza totale. Ogni gerarchia, sia nel campo politico-sociale sia in quello ecclesiastico, va quindi abolita.
Rivoluzione politico-sociale. In campo politico-sociale, questa rivoluzione ugualitaria propugna la distruzione dello Stato per mano di “gruppi di pressione” radicali i quali, una volta preso il potere, dovranno stabilire una ferrea “dittatura popolare” per imbavagliare la maggioranza, ritenuta “indolente”.
Rivoluzione nella Chiesa. Per consentire a questa minoranza radicale di governare senza intralci, il documento propone il virtuale annullamento dell’autorità dei vescovi, che sarebbero soggetti al potere di un organo composto solo da estremisti, una sorta di “Politburo” ecclesiastico.
Abolizione delle Forze Armate. Le Forze Armate vanno sciolte e le loro armi distribuite al popolo.
Censura di stampa, radio e TV. Finché il popolo non avrà raggiunto un accettabile livello di “coscienza rivoluzionaria”, la stampa, radio e TV vanno strettamente controllati. Le élite che non siano d’accordo devono abbandonare il Paese.
Tribunali popolari. Accusando il Potere Giudiziario di essere “corrotto dalla borghesia”, Comblin propone l’istituzione di “tribunali popolari straordinari” per applicare il rito sommario contro chiunque si opponga a questo vento rivoluzionario.
Violenza. Nel caso in cui non fosse stato possibile attuare questo piano eversivo con mezzi normali, il professore del seminario di Recife considerava legittimo il ricorso alle armi per stabilire, manu militari, il regime da lui teorizzato (8).
L’appoggio di Helder Câmara
Il “Documento Comblin” ebbe in Brasile l’effetto d’una bomba atomica. In mezzo all’accesa polemica che ne seguì, il padre Comblin non negò l’autenticità del documento, ma disse trattarsi “soltanto di una bozza” (sic!). Da parte sua, la Curia di Olinda-Recife ammise che esso proveniva sì dal seminario diocesano, precisando però che “non è un documento ufficiale” (ancora sic!).
Interpretando la legittima indignazione del popolo brasiliano, il prof. Plinio Corrêa de Oliveira scrisse allora una lettera aperta a mons. Helder Câmara, pubblicata in 25 giornali. Leggiamo nella lettera: “Sono sicuro di interpretare il sentimento di milioni di brasiliani chiedendo a Sua Eccellenza che espella dall’Istituto Teologico di Recife e dall’Archidiocesi l’agitatore che approfitta del sacerdozio per pugnalare la Chiesa, e abusa dell’ospitalità brasiliana per predicare il comunismo, la dittatura e la violenza in Brasile”.
Helder Câmara rispose evasivamente: “Tutti hanno il diritto di dissentire. Io semplicemente sento tutte le opinioni”. Ma, allo stesso tempo, confermò padre Comblin nella carica di professore del Seminario, spalleggiandolo con la sua autorità episcopale. Alla fine, il governo brasiliano revocò il permesso di soggiorno del prete belga, che dovette quindi lasciare il Paese.

Teologia della liberazione

Mons. Helder Câmara è anche ricordato come uno dei paladini della cosiddetta “Teologia della liberazione”, condannata dal Vaticano nel 1984.
Due dichiarazioni sintetizzano questa teologia. La prima, del connazionale di Dom Helder, Leonardo Boff:“Ciò che proponiamo è marxismo, materialismo storico, nella teologia” (9). La seconda, del peruviano Gustavo Gutiérrez, padre fondatore della corrente: “Ciò che intendiamo qui per teologia della liberazione è il coinvolgimento nel processo politico rivoluzionario” (10). Gutiérrez ci spiega anche il senso di tale coinvolgimento: “Solo andando oltre una società divisa in classi. (…) Solo eliminando la proprietà privata della ricchezza creata dal lavoro umano, saremo in grado di porre le basi per una società più giusta. È per questo che gli sforzi per proiettare una nuova società in America Latina si stanno orientando sempre di più verso il socialismo” (11).
Proprio a questo tema è stato dedicato un libro recentemente pubblicato in Italia dalla Cantagalli «Teologia della liberazione: un salvagente di piombo per i poveri» (12).

Amico dei poveri e della libertà?

Ma forse la più grande frottola su Helder Câmara è quella di presentarlo come amico dei poveri e difensore della libertà.
Il titolo di difensore della libertà si addice molto male a uno che ha inneggiato ad alcune delle dittature più sanguinarie che hanno costellato il secolo XX, prima il nazismo, e poi il comunismo in tutte le sue varianti: sovietica, cubana, cinese…
Soprattutto, però, il titolo di amico dei poveri non si addice proprio a uno che sosteneva regimi che hanno causato una povertà così spaventosa da essere stati qualificati dall’allora cardinale Joseph Ratzinger “vergogna del nostro tempo” (13).
Un’analisi attenta dell’America Latina — paese per paese — mostra chiaramente che, laddove sono state applicate le politiche proposte da Dom Helder il risultato è stato un notevole aumento della povertà e del malcontento popolare. Laddove, invece, sono state applicate le politiche opposte, il risultato è stato un generale incremento del benessere.
Un esempio per tutti: la riforma agraria, della quale Dom Helder fu il principale promotore e che, invece, si è dimostrata “il peggiore fallimento della politica pubblica nel nostro Paese”, nelle parole non sospette di Francisco Graziano Neto, presidente dell’INCRA (Instituto Nacional de Colonização e Reforma Agrária), cioè il dicastero preposto per implementare la riforma agraria (14).
Il lettore interessato ad approfondire il tema, con tanto di dati statistici rilevanti, può fare riferimento al libro sopra menzionato (15).
Aveva ragione Indro Montanelli quando diceva: “La sinistra ama tanto i poveri che ogni volta va al potere ne aumenta il numero”.
 Note
1. Cfr. Julio LOREDO, L’altro volto di Dom Helder, “Tradizione Famiglia Proprietà”, novembre 1999, pp. 4-5.
2. Luiz Alberto GOMES DE SOUZA, A JUC. Os estudantes católicos e a política, Editora Vozes, Petrópolis 1984, p. 156.
3. Haroldo LIMA e Aldo ARANTES, História da Ação Popular. Da JUC ao PC do B, Editora Alfa-Omega, São Paulo 1984, p. 27-28.
4. Ibid., p. 37.
5. Si veda, per esempio, Scott MAINWARING, The Catholic Church and Politics in Brazil, 1916-1985, Stanford University Press, 1986, p. 71.
6. Cfr. Helder PESSOA CÂMARA, Obras Completas, Editora Universitária, Instituto Dom Helder Câmara, Recife, 2004. Cfr. Massimo INTROVIGNE, Una battaglia nella notte, Sugarco Edizioni, Milano 2008.
7. Plinio CORRÊA DE OLIVEIRA, O Arcebispo vermelho abre as portas da América e do mundo para o comunismo, “Catolicismo” Nº 218, febbraio 1969. È interessante confrontare – per rilevarne le numerose somiglianze – il discorso di Dom Helder con quello tenuto da Ernesto “Che” Guevara all’ONU il 12 dicembre 1964.
8. Si veda Plinio CORRÊA DE OLIVEIRA, TFP pede medidas contra padre subversivo, “Catolicismo”, Nº 211, luglio 1968.
9. Leonardo BOFF, Marxismo na Teologia, in “Jornal do Brasil”, 6 aprile 1980.
10. Gustavo GUTIÉRREZ, Praxis de libertação e fé cristã, Appendice a Id., Teologia da libertação, Editora Vozes, Petrópolis 1975, p. 267, p. 268.
11. Gustavo GUTIÉRREZ, Liberation Praxis and Christian Faith, in Lay Ministry Handbook, Diocese of Brownsville, Texas 1984, p. 22.
12. Julio LOREDO, Teologia della liberazione: un salvagente di piombo per i poveri, Cantagalli, Siena 2014.
13. SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione Libertatis Nuntius, XI, 10.
14. Francisco GRAZIANO NETO, Reforma Agraria de qualidade, in “O Estado de S. Paulo”, 17 aprile 2012.
15. Julio LOREDO, Teologia della liberazione: un salvagente di piombo per i poveri, pp. 315-338. Il libro può essere richiesto online a info@atfp.it
http://www.corrispondenzaromana.it/notizie-dalla-rete/chi-era-davvero-dom-helder-camara/

Ratzinger e la Teologia della liberazione: "Fu falsificazione della fede"

Le parole di Benedetto XVI apriranno il nuovo libro su Papa Wojtyla
di Matteo Matzuzzi | 07 Marzo 2014 ore 16:15

Saranno le parole di Benedetto XVI ad aprire il libro "Accanto a Giovanni Paolo II. Gli amici & i collaboratori raccontano" (Ares) curato dal vaticanista Wlodzimierz Redzioch di cui il Corriere della Sera offre ampi stralci. Ratzinger ha risposto per iscritto e ha personalmente voluto verificare la traduzione in italiano delle sue parole. Alla domanda su quali siano state "le sfide dottrinali" affrontate insieme a Karol Wojtyla durante il mandato alla guida della congregazione per la Dottrina della Fede, Benedetto XVI risponde così: "La prima grande sfida che affrontammo fu la Teologia della liberazione che si stava diffondendo in America latina. Sia in Europa che in America del Nord era opinione comune che si trattasse di un sostegno ai poveri e dunque di una causa che si doveva approvare senz'altro. Ma era un errore. La povertà e i poveri erano senza dubbio posti a tema dalla Teologia della liberazione e tuttavia in una prospettiva molto specifica. (…) Non era questione di aiuti e di riforme, si diceva, ma del grande rivolgimento dal quale doveva scaturire un mondo nuovo. La fede cristiana veniva usata come motore per questo movimento rivoluzionario, trasformandola così in una forza di tipo politico. (…) Naturalmente, queste idee si presentavano con diverse varianti e non sempre si affacciavano con assoluta nettezza, ma, nel complesso, questa era la direzione. A una simile falsificazione della fede cristiana bisognava opporsi anche proprio per  amore dei poveri e a pro del servizio che va reso loro". (…) Giovanni Paolo II "ci guidò da un lato a smascherare una falsa idea di liberazione, dall'altro a esporre l'autentica vocazione della chiesa alla liberazione dell'uomo".


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