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venerdì 24 aprile 2015

Contro i pavidi

Corano a catechismo

“Basta girare attorno ai problemi: Ci perseguitano perché siamo cristiani”, dice un vescovo keniota

Il 2 aprile, 180 studenti cristiani furono trucidati da miliziani somali di al Shabaab
Roma. “Basta girare attorno alla questione delle persecuzioni cristiane. Stiamo assistendo a un’allarmante crescita dell’islamismo. Noi siamo minacciati in quanto cristiani, e le istituzioni non ci difendono”. Il politicamente corretto non s’addice a mons. Anthony Muheria, vescovo di Kitui, diocesi di quel Kenya che ancora è sconvolto dalla mattanza del 2 aprile scorso, che se la prende con le coscienze addormentate incapaci di accorgersi di quel che avviene sotto i loro occhi, tra decapitazioni e roghi e persecuzioni, dal vicino e medio oriente all’Africa.
Quel  2 aprile che segnerà la storia della città di Garissa, miliziani somali di al Shabaab eliminarono 150 studenti, chi a colpi di pistola, chi decollato, dopo averli salomonicamente divisi: cristiani da una parte, musulmani dall’altra. I primi da macellare, i secondi da salvare.

Ecco perché oggi, i vescovi kenioti stanno meditando di spendere le ore del catechismo per inculcare nella testa dei fedeli alcuni elementi fondamentali del Corano, da saper ripetere a memoria nel caso un jihadista armato di coltellaccio chiedesse – in cambio della sopravvivenza – il nome della madre di Maometto. Ci vogliono chiarezza e coraggio, dice il monsignore secondo quanto riportato dal portale Crux nella ricostruzione di John Allen. Chiarezza e coraggio nell’ammettere che l’obiettivo di al Shabaab è quello di “fare dell’Africa un continente interamente musulmano”. Con il beneplacito – dice – anche di certi “islamici moderati che provano simpatia per quegli intenti”. E questo nonostante si ripetano gli appelli al dialogo, come dimostra la dichiarazione diffusa mercoledì dal Pontificio consiglio che si occupa di questioni interreligiose, guidato dal cardinale Jean-Louis Tauran.

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di Matteo Matzuzzi | 24 Aprile 2015 

http://www.ilfoglio.it/chiesa/2015/04/24/corano-islam-cristiani-chiesa-kenya___1-v-128115-rubriche_c426.htm
«Beatificazione di gruppo per 80 preti uccisi dai partigiani comunisti»



«Questi sono i nostri beati». È questa l'ambiziosa “proclamazione” che il mensile di apologetica cattolica Il Timone propone ai lettori in occasione del 70esimo anniversario della Liberazione. Un dossier accurato e coraggioso, quello del mese di Aprile, in cui si affronta partendo dalla storia del beato Rolando Rivi, ucciso dai partigiani comunisti in odio alla fede sul finire della seconda guerra mondiale, le storie degli altri preti uccisi dalla violenza rossa. E ci si chiede che fare della loro memoria adesso che la Chiesa, con la beatificazione del seminarista martire, ha sancito che nel biennio '44-'46 si moriva in odium fidei.
È nato così un dossier di 12 pagine nel quale raccontare le storie degli oltre 80 preti uccisi dai partigiani la cui morte può essere attribuita a odio politico religioso. L'ambizione, spiega già nel titolo il mensile è chiara: «Proporre la beatificazione collettiva: saranno i nostri martiri del Triangolo della morte».
L'operazione è trasparente: «Dei 150 preti uccisi dalla violenza rossa, nel clima di vendette e ritorsion, un buon numero trovò la morte perché apertamente simpatizzante del Regime fascista e dunque compromesso, anche se un prete ucciso, da una parte o dall'altra, porta sempre dietro di sé un aberrante sacrilegio. Pochi cadono vittime di errori e vendette personali per questioni banali: eredità, prestiti etc...». «Ma c'è un numero – fa notare la rivista – che una ricerca storica degna di tal nome deve incaricarsi di definire in maniera scientifica e che attualmente si aggira sulle 70-80 unità che trova la morte in un contesto ideologico-politico».
In sostanza, secondo quanto ricostruisce il Timone, furono uccisi perché tenacemente anticomunisti. Avevano capito che mentre si combatteva la guerra di Liberazione le formazioni marxiste stavano utilizzando quel vasto movimento insurrezionale in vista di un'imminente rivoluzione comunista. Si tratta per lo più di preti emiliani e friulani, uccisi perché dal pulpito condannavano non solo le aberrazioni della guerra, ma anche l'ideologia marxista che ispirava i princìpi di molte brigate partigiane.
Il dossier si avvale di testimonianze di preti scampati ad agguati che erano finiti nella lista nera, come quella di don Raimondo Zanelli, oggi 85enne. Ma anche di documenti, tra cui lettere e diari, in cui viene mostrata la pianificazione strategica della caccia al prete da parte dei partigiani comunisti che non accettavano un disimpegno nella causa della Resistenza da parte di quei preti che non condividevano le impostazioni ideologiche delle Brigate Garibaldi.
Ma la parte centrale del dossier racconta le storie di religiosi il cui ricordo oggi rischia di perdersi defintivamente con la morte degli ultimi testimoni. Da don Luigi Lenzini, la cui causa di beatificazione è già a Roma a don Umberto Pessina, ucciso per il suo zelo anticomunista e sulla cui morte la giustizia ha detto una parola definitiva solo 40 anni dopo aver vinto la cortina di fumo del Pci che conosceva i veri assassini e lasciò condannare un innocente. Ma c'è anche don Francesco Bonifacio, il santo degli infoibati. Senza dimenticare le storie di don Augusto Galli, ucciso perché nella lista nera e infamato successivamente con l'attribuzione di un'amante, e don Giuseppe Iemmi, che dal pulpito condannò l'uccisione di un fascista e venne freddato dai partigiani.
Le accuse per coprire quelle uccisioni venivano sempre giustificate attraverso un canovaccio che molto spesso ha retto alla prova degli anni anche per l'assenza di rigorosi processi giudiziari. Per alcuni lo spionaggio ai nazifascisti, per altri l'infamia di un'amante, per altri ancora l'attività anti-resistenziale o anche solo aver ospitato in canonica un fascista in fuga. Accuse politiche dunque. Ma come fa notare don Nicola Bux nel suo contributo, «per diminuire la portata del sacrificio dei cristiani fin dai tempi di Gesù, si è cercato di giustificare le uccisioni per motivi politici e non per odium fidei. In realtà le due cause si fondono perché l'amore per la Patria è una virtù cristiana e perché nel sangue dei sacerdoti uccisi anche di quelli di cui non si conosce neppure il nome è presente una teologia della persecuzione che ha sempre accompagnato la vita della Chiesa».
Ma c'è anche un aspetto che a 70 anni merita di essere ricordato: è la straordinaria avventura dei partigiani bianchi, cattolici, che morirono gridando “Viva Cristo Re” e che a differenza dei partigiani comunisti – come spiega lo storico Alberto Leoni – «agivano nel rispetto della popolazione civile». Si fanno largo le storie di Giuseppe Cederle o Aldo Gastaldi “Bisagno”, ma anche di Franco Balbis. E non possono mancare le vicende epiche dei partigiani uccisi da altri partigiani, come il caso del comandante cattolico della Sap di Reggio Emilia Mario Simonazzi “Azor” i cui assassini, certamente partigiani, non vennero mai trovati. A indagare sulla sua morte una figura straordinaria di cattolico, partigiano e giornalista: Giorgio Morelli, che diede vita ad un'avventura editoriale con la Nuova Penna, nella quale per primo denunciò le uccisioni ad opera dei partigiani comunisti nel Triangolo della morte. Per questo suo impegno venne fatto oggetto di un agguato e morì per le conseguenze dello sparo poco tempo dopo. Anche lui un martire del Triangolo rosso. 
Per richiedere una copia del Timone di aprile clicca qui oppure scrivi a info@iltimone.org
di Andrea Zambrano

Celebriamo sempre la Messa per tutti gli uomini, passati, presenti e futuri, ma oggi abbiamo unmemento speciale per i caduti italiani degli ultimi giorni di guerra, che furono tutti fascisti della R.S.I.
Ricordiamo, anzitutto, le donne che militavano nella R.S.I., come ausiliarie, uccise del tutto inermi per il solo motivo di aver aderito alla R.S.I. Fra queste cito solo la terziaria francescana Angela Maria Tam, che aveva dedicato tutta la sua vita alla scuola: sottoposta a ogni genere di sevizie, rispose intonando un canto liturgico in onore della Vergine Maria.
Poi i ragazzi volontari. detti “fiamme bianche”, uccisi inermi dopo esserrsi consegnati al nemico.
Inoltre gli intellettuali, una lista che comincia con Giovanni Gentile e finisce , forse, con l’insegnante di disegno Tullio Santi.
Infine i sacerdoti. I sacerdoti uccisi a tradimento dai partigiani furono circa 200. Ricordiamo affettuosamente soprattutto quelli uccisi nel cosiddetto “triangolo rosso”.
Voglia Dio unirli tutti nella sua luce.
Don Ennio Innocenti


Armeni sì armeni no


IL GENOCIDIO. Il 24 aprile 1915 cominciò la campagna dei Giovani turchi, che sterminarono il popolo cristiano armeno, che abitava quella terra da prima dell’arrivo dei musulmani, uccidendo almeno un milione e mezzo di persone. L’obiettivo era quello di ridurre in ogni regione di almeno il 90 per cento la popolazione armena, colpevole agli occhi dei nazionalisti di non essere turca. Così, in poco tempo, gli armeni furono decimati passando da due milioni ai 60 mila circa odierni. QUI

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