ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 24 aprile 2015

Incoraggiamento alla fedeltà

Il primato della dottrina


Lettera ai Terziarii Francescani n° 266 - marzo-aprile 2015
pubblicata su La Porte Latine
dei Cappuccini di Morgon



Cari terziari,
All’inizio di questo tempo santo di Quaresima, la Chiesa, nell’Ufficio Divino, ci ricordava queste parole di San Paolo: «vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti: Al momento favorevole ti ho esaudito
 e nel giorno della salvezza ti ho soccorso (1). Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!» (2).

Sì, il tempo di Quaresima, che si conclude con quello della Passione, è un tempo di grazia, perché la grazia ci viene dalla Croce. Ora, la nostra grande croce, ai giorni nostri, è la crisi che viviamo, in cui tutte le istituzioni sono coalizzate contro la fede. Da qui la nostra scelta drammatica: bisogna seguire l’attuale gerarchia della Chiesa a rischio della nostra fede, o dobbiamo proteggerci per conservare questa stessa fede? Nessuna esitazione è possibile: bisogna innanzi tutto conservare la fede.
«Nessuna autorità – diceva Mons. Lefebvre – può costringerci ad abbandonare o a diminuire la nostra fede» (3). La fede, la dottrina, mantengono una priorità inviolabile. Lo sappiamo già, ma è importante ribadire le nostre convinzioni su questo punto. Già l’Apostolo San Paolo esortava il suo discepolo Timoteo a mantenere questa sana insistenza: «annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina» (4).

1 – la dottrina e la nostra salvezza
“Dottrina” significa insegnamento. Nella Rivelazione, Dio ci insegna, ci svela il suo piano. Il suo progetto di misericordia è di salvarci tramite Gesù Cristo (5). Il Verbo divino è venuto a stabilire il Regno di Dio tra noi. È un regno soprannaturale, che si oppone al messianismo terreno che Satana ha proposto nel deserto: godimento, orgoglio, volontà di potenza, avidità. Ai Farisei, Gesù dice: «voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo» (6). E davanti a Pilato dichiarò con decisione «Il mio regno non è di questo mondo; … Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità» (7). «Dio infatti ha tanto amato il mondo  - dirà a Nicodemo - da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna», dopo aver prima precisato: «come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (8).

Precisazione capitale: se vogliamo essere salvati, dobbiamo credere a questo amore divino, amore soprannaturale, che passa per la Croce. «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (9).

Questo piano dev’essere accettato da ciascuno di noi, ma anche dai príncipi e dunque dalle società: è il Regno sociale di Nostro Signore, che non è di questo mondo, ma che si esercita proprio in questo mondo.

Ma cos’è dunque che Gesù condanna? È la ricerca di una felicità esclusivamente terrena che si riassume nelle tre concupiscenze indicate da San Giovanni (10). Questo mondo non può non rigettare il messianismo soprannaturale di Nostro Signore. Esso non sopporta un amore di Dio che ci offre un Regno di Dio soprannaturale e crocifisso. Così, noi non possiamo patteggiare con tale mondo. «Chi dunque vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio», dice San Giacomo (11). La nostra fede in Gesù crocifisso, la nostra adesione ferma e amorevole alla sua Croce ci fa trionfare delle seduzioni del mondo: «questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede» (12). Così, dunque, la fede e la dottrina conservano il primato di fronte alle macchinazioni seduttrici del mondo.

E a noi, figli di San Francesco, basta imitare nostro padre, la cui via non è altro – dice San Bonaventura – che un “amore molto ardente per Gesù crocifisso” (13). Egli ci insegna a “disprezzare le cose della terra e ad amare quelle del Cielo” (14). Ecco qual è la dottrina che illumina il nostro percorso quaggiù.

2 – Il rifiuto del soprannaturale
Ogni peccato è un rifiuto dell’amore soprannaturale che Dio ci presenta; gli preferiamo un ideale terreno. Ma questo rifiuto eretto a sistema ha un nome: naturalismo, errore fondamentale della nostra epoca (15). In base ad esso, la natura basterebbe a se stessa, senza bisogno di un Dio che ci sovrasterebbe: l’uomo sarebbe padrone del suo destino.

L’organizzazione sociale del naturalismo è la Rivoluzione (16). La quale è innanzi tutto il rigetto del Regno sociale di Nostro Signore. Ma più precisamente – come dice Mons. Gaume – essa è “l’odio per ogni ordine religioso e sociale che non sia stabilito dall’uomo, nel quale egli non sia ad un tempo re e Dio” (17). Il motore della Rivoluzione è la massoneria, “Sinagoga di Satana”, secondo l’espressione di Pio IX. Essa acquisisce “diritto” di cittadinanza per mezzo della Rivoluzione del 1789: sulla base del triplice princípio: libertà e uguaglianza (per dissolvere i legami naturali e soprannaturali) e fraternità (o collaborazione forzata di tutti per stabilire un mondo affrancato da ogni legge divina o naturale).

La Rivoluzione si appoggia sulla dottrina del naturalismo e tuttavia non è solo una dottrina, ma è anche e soprattutto una prassi, un rigetto, un movimento. Di conseguenza il suo linguaggio è fluttuante, poiché non è l’espressione di ciò che è, ma lo strumento della prassi (18); il fine di  questo linguaggio non è più quello di esprimere il più chiaramente possibile il suo pensiero, ma di coinvolgere il maggior numero di uomini nel suo rigetto e nel perseguimento della sua chimera. Quindi la menzogna gli è connaturale; per la Rivoluzione, la menzogna non è un male, ma una necessità, poiché il fine “giustifica” i mezzi.

3 – La “mano tesa”: il cattolicesimo liberale.

Una volta passato l’uragano del Terrore e la tirannia napoleonica, la Chiesa in Francia sembrò rivivere. Ma ecco che la nuova generazione di preti e le elíte dei paesi, a causa della malvagità dei tempi, non ebbero la formazione dottrinale che li avrebbe preservati dalle trappole. Lamennais e i suoi discepoli erano immersi negli errori della Rivoluzione (19); indubbiamente generosi, ma privi dei princípi, finirono col sognare una supposta “riconciliazione” della Chiesa col mondo moderno.

Pio IX, nel 1864, condannerà questo tentativo nel Syllabus «A questa cosiffatta civiltà potrebbe mai il Romano Pontefice stendere la destra amica, e con essa stringere di cuore patti e alleanze?» Egli non potrebbe. Perché anche «volendosi definire con il nome di civiltà un sistema fabbricato apposta per indebolire e forse anche per distruggere la Chiesa di Cristo, certamente non potranno mai questa Santa Sede e il Romano Pontefice adattarsi a questa civiltà (…) Pertanto, essendo così le cose, prima di porre fine al Nostro discorso, dichiariamo innanzi a Dio ed agli uomini, in modo chiaro e solenne, non esservi affatto ragione alcuna, per cui Noi dobbiamo riconciliarci con chicchessia.» ma «ben sentiamo di dovere perdonare a quelli che Ci offesero, e pregare per loro, affinché con l’aiuto della grazia divina si convertano» ( 20).

4 – Vaticano II

Questo Concilio vedrà il trionfo dei cattolici liberali. “Per due secoli – dice Marcel Prélat –siamo stati combattuti dalla Chiesa, e ormai abbiamo trionfato” Il Cardinale Ratzinger affermò che il testo “Gaudium et Spes” (insieme con i testi sulla libertà religiosa e sulle religioni del mondo) “giuoca il ruolo di un contro-syllabus, nella misura in cui rappresenta un tentativo per una riconciliazione ufficiale della Chiesa col mondo, com’esso è divenuto dal 1789 (…) Per ‘mondo’ si intende in fondo lo spirito dei tempi moderni” (21).

Non si può essere più chiari di così.

I testi del Concilio furono dei testi di compromesso, come attestano le cronache e le storie del Concilio. Il Padre Schillebeeckx, partigiano delle posizioni ultra-liberali, che criticava un testo che giudicava troppo conservatore, si senti rispondere da un esperto: “Noi ci esprimiamo in maniera diplomatica, ma dopo il Concilio trarremo dal testo le conclusioni che in esso sono implicite” (22). Ciò che è detto per questo testo, si può applicare a tutti i documenti conciliari. In essi si trovano delle affermazioni vere, ma contraddette poi nel seguito del testo stesso. Per esempio, si afferma il sacerdozio ministeriale del prete, ma poi si insiste così tanto sul sacerdozio dei fedeli che si finisce per chiedersi qual è la differenza tra i due; l’orientamento di questi testi è eterodosso, nonostante siano state aggiunte delle frasi tradizionali, per tacitare i reclami dei Padri conservatori.

Con tutto ciò si vede che quello che primeggia è la prassi, il movimento di apertura al mondo. Poco importa che i testi del Concilio non esprimano il fondo del pensiero dei capifila progressisti, ciò che conta è che essi trovarono disponibili i conservatori, determinando un “orientamento” francamente rivoluzionario (23). Tale procedimento infatti ci dimostra che abbiamo a che fare con una Rivoluzione.

I successi della Rivoluzione conciliare si spiegano in gran parte con i suoi metodi, che il Padre Calmel (24) ha abilmente illustrato:
- innanzi tutto, la Rivoluzione non è una riforma, essa non cerca di restaurare una natura, ma si attacca alla natura stessa delle cose che intende cambiare.

- Ma per giungere a tanto, essa va a cogliere le tendenze nobili delle anime generose e rette per deviarle verso il suo scopo. Per esempio, esaltare la semplicità (così amata da San Francesco), ma opporla ai comportamenti esteriori del rispetto dovuto alle autorità, che ci sono così necessarie (25).

È a questo livello che i novatori fanno passare le idee sovversive sotto l’apparenza della verità e del bene. Quante volte, durante il Concilio, sono state pronunciate le parole “pastorale”, “carità”, “ritorno alle fonti e al Vangelo”, “riforma e rinnovamento”. Quale buon cattolico si opporrebbe a prima vista a tali idee? Ma queste parole sono state stravolte nel loro significato a profitto della Rivoluzione. La “pastorale” venne opposta al “dogma” (soprattutto per la mancanza di definizioni e di anatemi!); il “ritorno alle fonti” e la “riforma” vennero opposte a tutti i tesori della Tradizione; e la “carità” divenne l’anestetizzante a fronte degli assalti dell’eresia.

Tuttavia, visto che c’è il rischio di trovarsi di fronte a molte opposizioni, almeno dopo un certo, la Rivoluzione impone le sue vedute attraverso un’autorità occulta e delle gerarchie parallele, ed è così che il veleno si diffonde in tutto il corpo. Per esempio, con le conferenze episcopali, che interferiscono con l’autorità normale dei vescovi e fanno pressione per imporre gli orientamenti novatori coltivati con discrezione dai gruppi dirigenti. Infatti è con questo sistema da società di pensiero che funzionò il Concilio (26). Ed è così che si determina quella distinzione tra la Roma eterna e la Roma neo-modernista, di cui ha parlato Mons. Lefebvre nella sua dichiarazione del 21 novembre 1974.
Diceva il Padre Calmel: «al di sopra delle decisioni apparentemente legali di Roma, al di sopra delle sue dissimulazioni, combinazioni e metodi, in breve al di sopra di una Roma cieca, manovrata, dominata, vi è la Roma vera, la Roma della Tradizione cristiana (…), la Roma della Messa di San Pio V, di San Gregorio VII e di San Leone. (…) È alla Roma vera che dovete obbedire. (…) Voi siete sicuri di obbedire a questa Roma accettando e facendo unicamente ciò che favorisce le vostre scelte sulla Messa – di sempre – e sulla scuola – cattolica -, e sullo stato religioso domenicano, sotto la direzione del Generale che avete» (27).

Mons. Lefebvre, a proposito della Roma modernista, o Roma conciliare, nel 1988 diceva: l’aver mantenuto la Tradizione “ci è valsa la persecuzione della Roma anticristica (…) che persegue la sua opera di distruzione del Regno di Nostro Signore” (…) (28).
Cinque giorni dopo il decreto di “scomunica” piombato addosso a Mons. Lefebvre, l’insieme dei Superiori della Fraternità espresse al suo fondatore il proprio sostegno assoluto con una lettera al cardinale Gantin, autore dello stesso decreto: «Non abbiamo mai voluto appartenere a questo sistema che si definisce da sé Chiesa conciliare e che è espresso dalNovus Ordo Missae, dall’ecumenismo indifferentista e dalla laicizzazione della società.(…) Noi non chiediamo di meglio che essere dichiarati ex communione (fuori dalla comunione) dello spirito adultero che soffia nella Chiesa da 25 anni, essere esclusi dalla comunione empia con gli infedeli» (29).

5 – Roma e Mons. Lefebvre

Di fronte a questa situazione, l’attitudine di Mons. Lefebvre, come egli stesso disse nella dichiarazione del 1974, fu di attenersi a quello che la Chiesa ha sempre creduto e fatto, senza tener conto delle novità distruttrici della fede, e questo senza amarezza o ribellione. Egli non ha mai cercato una rottura con Roma, ma quando le autorità ecclesiastiche gli ingiunsero di sottomettersi «al Concilio, alle riforme post-conciliari e agli orientamenti che impegnavano lo stesso Papa» (30), egli non vi ottemperò perché era in giuoco la fede. Da qui le sanzioni canoniche emesse contro di lui. In seguito le autorità romane cercarono un riavvicinamento e lo stesso Monsignore cercò di sistemare le cose. Durante tutto questo periodo, però, egli non fece mai un passo indietro di fronte alle pesanti dichiarazioni, soprattutto di fronte agli scandali sempre più gravi (per esempio Assisi); in altre parole, egli non sacrificò la verità per cercare di “aggiustare le cose”.

E Monsignore intraprese quei tentativi per mostrare chiaramente che non voleva fare alcuno scisma; egli cercò di cioè di mostrare che era possibile ottenere il riconoscimento e al tempo stessi conservare la fede. Ma nel 1988, dopo aver esperito dei leali tentativi egli fu obbligato a constatare: «In realtà Roma non vuole né sostenere né perseguire [cioè rimanere fedele] la Tradizione (…) Nel corso degli ultimi contatti che ho avuto con Roma, ho voluto sondare le loro intenzioni, valutare se vi fosse un vero cambiamento (…) La volontà di Roma di non aiutare la Tradizione e di non volere realmente affidarsi ad essa, era evidente» (31). Già nel 1987 egli aveva detto al cardinale Ratzinger che era impossibile collaborare, poiché noi cerchiamo la cristianizzazione, mentre loro vogliono la de-cristianizzazione.

In altre parole, Mons. Lefenbre constatò per esperienza ciò che San Tommaso diceva già: si chiedeva se i fedeli potessero rimanere senza rischio sotto il potere politico di un infedele, ed egli rispose no: «perché questo sarebbe un pericolo per la fede. È facile infatti che coloro che sono sottomessi alla giurisdizione di altri possano essere cambiati da quelli che stanno sopra di loro e di cui devono eseguire gli ordini, a meno che questi subordinati non abbiano una grande virtù» (32).

Come dopo il Terrore si vide il mondo moderno proporre alla Chiesa la “riconciliazione”, così dopo l’opposizione frontale fra il Vaticano e la FSSPX, soprattutto dopo l’annuncio delle consacrazioni nel 1987, Roma propose la politica della “mano tesa”. E qui vi è una distinzione da fare: di per sé ci si può sempre riconciliare con chi vuole correggersi, ma è illusorio riconciliarsi con chi non riconosce i suoi torti. Noi non rifiutiamo Roma in quanto tale, ma la Roma che non vuole riconoscere il suo modernismo. Ora, nel giugno del 1988, Mons. Lefebvre constatava: essi non hanno cambiato intenzione [condurci al Concilio] perché non hanno cambiato i princípi.

Ma allora, perché Roma tende la mano?
Teniamo presente che la Rivoluzione è soprattutto una prassi; impossibilitata a fare accettare di primo acchito le sue idee, cerca almeno di indurre le sue vittime a collaborare con essa. Tollera volentieri che si possa discutere in maniera accademica su delle “divergenze” teologiche, ma non sopporta la denuncia dei suoi scandali (come Assisi, la canonizzazione di Giovanni Paolo II, la beatificazione di Paolo VI o il recente Sinodo sulla famiglia). Con la mano tesa, essa cerca di creare un clima di reciproca benevolenza. Così, nella sua lettera ai vescovi del 10 marzo 2009, Benedetto XVI constatava che dopo i gesti di benevolenza verso le comunità ricollegatesi con Roma, il clima interno di queste ultime era cambiato, si era addolcito. Per questo – diceva – diventava possibile la grande collaborazione che lui auspicava tra tutti i credenti, al fine di operare per la pace nel mondo. Notiamo che questo clima di benevolenza reciproca venne raggiunto con l’arrendevolezza delle comunità, che non osarono più criticare i loro “benefattori”; psicologicamente, è una facile da capire.

Nella “riconciliazione” con una Roma rimasta modernista, Mons. Lefebvre vedeva il pericolo del miscuglio fra i fedeli della Tradizione e gli altri fedeli. « – diceva – Malgrado l’esenzione molto estesale barriere canoniche spariscono e si avranno necessariamente dei rapporti di cortesia, e forse delle offerte di cooperazione. (…) Tutto questo mondo ha uno spirito conciliare, ecumenista, carismatico (…) Fino ad oggi noi siamo stati protetti naturalmente con la selezione che si determinava automaticamente in forza della necessità della rottura col mondo conciliare. Senza di essa occorreranno continui distinguo per premunirsi nei confronti degli ambienti romani e degli ambienti diocesani».

Oltre a questo miscuglio naturale, bisogna tenere conto della meccanica della Rivoluzione:
-    Essa si serve della natura delle cose, della loro definizione. Per esempio, il Motu Proprio “Ecclesia Dei”, mentre accorda dei “privilegi” alle comunità ricollegate, presenta una definizione falsa ed evolutiva della Tradizione.
-    Capta le tendenze nobili e generose. Per esempio, nel 1988 Dom Gérard confessava che il motivo principale che lo aveva spinto ad accettare le proposte romane fu di poter attirare più fedeli che erano impediti dalla “sospensione” [a divinis] (33). Al che Don Schmidberger rispondeva: “Se pensano che la cosiddetta “sospensione” possa nuocere alla loro diffusione, si sbagliano: la Croce è più feconda della facilità” (34).
-    O ancora, Roma giuoca sull’accusa di scisma: quale cattolico fervente sopporterebbe di rimanere nello scisma? Al che Mons. Lefebvre rispondeva: «Noi siamo contro la Chiesa conciliare, che è praticamente scismatica, anche se loro [Giovanni Paolo II e il cardinale Ratzinger] non l’accettano. In pratica, questa è una Chiesa virtualmente scomunicata, perché è una Chiesa modernista» (35).
-    O infine, la Rivoluzione giuoca sul nostro amore per la Chiesa. Al che Monsignore rispondeva di rimando: «Noi rappresentiamo veramente la Chiesa cattolica, come essa era una volta, poiché noi continuiamo a fare ciò che essa ha sempre fatto. Siamo noi che abbiamo le note della Chiesa visibile» (36).
- Infine, la Rivoluzione agisce tramite autorità occulte. Essa ha un linguaggio ufficiale equivoco che talvolta ci appare favorevole; ma poi agisce in senso inverso, destabilizzando i suoi interlocutori. Per esempio, nelle visite romane del 1974 e del 1987, i visitatori dissero ogni bene di Ecône, ma poi, di ritorno a Roma, ne hanno detto ogni male. – Altra tattica: “Mai prescrizioni formali – diceva Padre Calmel -, lasciare che le cose si impongano per pressione sociale, così che la brava gente ingenua si ritiene vincolata in coscienza” (37). Così, per esempio, Don Gérard aveva ottenuto che non gli si imponesse alcuna contropartita dottrinale; ma al tempo stesso il timore di perdere il riconoscimento canonico a causa di un linguaggio troppo libero,  lo condusse subito al silenzio e poi più tardi all’accettazione degli errori conciliari; il cedimento è cosa che si produce da sé: la meccanica è ben collaudata!

Conclusione: il primato della dottrina

Predicare Gesù Cristo crocifisso non è cosa facile; spesso è come chiedere dell’eroismo; ma è inammissibile che col pretesto della facilità, dell’apparente efficacia, di una maggiore “diffusione”, ci si esponga a sacrificare la fede, senza la quale non ci si può salvare.

«Se vivrò ancora un po’ – diceva Mons. Lefebvre – supponendo  che da qui ad un certo tempo Roma faccia un appello, che ci voglia ricevere, che ci voglia parlare, a quel punto sarò io a porre le condizioni. (…) Porrò la questione sul piano dottrinale: “Siete d’accordo con le grandi encicliche di tutti i papi che vi hanno preceduto? Siete d’accordo con la“Quanta Cura” di Pio IX, con l’“Immortale Dei” e la “Libertas” di Leone XIII, con la“Pascendi” di Pio X,  con la “Quas Primas” di Pio XI, con l’“Humani Generis” di Pio XII? Siete in piena comunione con questi papi e con le loro affermazioni? Accettate ancora il giuramento anti-modernista? Se voi non accettate la dottrina dei vostri predecessori, è inutile parlare» (38).

Ventisette anni più tardi, non solo la dottrina di sempre non è ritornata ad essere la norma per le autorità romane, ma è perfino l’insegnamento della morale che viene attaccato; poiché non si può attaccare indefinitamente il dogma senza finire con lo sconvolgere la morale. Così, la rivoluzione conciliare sfocia logicamente nelle conclusioni a cui giunge Papa Francesco. È dunque evidente con noi non possiamo minimamente considerare di collaborare con dei papi che, nella pratica, aprono alla distruzione della Chiesa.

Ma allora, quando sarà possibile la collaborazione?
«Mons. Lefebvre diceva: «Quando mi si chiede di sapere in che momento vi sarà un accordo con Roma, la mia  risposta è semplice: “quando Roma tornerà ad intronizzare Nostro Signore Gesù Cristo. Noi non possiamo essere d’accordo con coloro che hanno detronizzato Nostro Signore. Il giorno in cui essi incoroneranno nuovamente Nostro Signore Re dei popoli e delle nazioni, non sarà con noi che essi si ricongiungeranno, ma con la Chiesa cattolica nella quale noi siamo rimasti» (39).

Come ricordava Mons. Tissier de Mallerais il 27 ottobre scorso nel corso del pellegrinaggio a Lourdes «il legame formale, questo legame artificiale, un tale legame  con la nuova Roma, che sarebbe solo un simulacro, è niente al cospetto della preservazione e della professione della fede cattolica» (40).

Che la Madonna di Fatima ci conceda di amare Gesù crocifisso affinché noi si conservi il dogma della fede.

NOTE

1 - Is. 49, 8.
2 - Cr. 6, 1-2.
3 - Dichiarazione del 21 novembre 1974.
4 - 2 Tim. 4, 2.
5 - Ep. 1, 4-5.
6 Gv. 8, 23.
7 - Gv. 18, 36-37.
8 - Gv. 3, 16 e 14-15.
9 - Mt. 16, 24-25.
10 - 1 Jn. 2, 16.
11 - Gc. 4, 4.
12 1 Gv. 5, 4.
13 - Itinerario dell'anima a Dio, Prologo.
14 - Orazione liturgica del 4 ottobre.
15 - Cardinale Pie, Œuvres, tome 5, p. 40. L'illustre prelato ha dedicato alla confutazione di questo errore un'istruzione monumentale,da leggere. lbidem, pp. 29-209.
16 - Sui rapporti tra naturalismo e rivoluzione si veda: Jean OussetPour qu'Il règne, Club du livre civique, 1959, pp. 81-86.
17 - La Révolution, tome 1, p. 16.
18 - Si veda Roberto de MatteiIl Concilio Vaticano II . Una storia mai scritta, p. 15.
19 - Lamennais s'era abbeverato di Rousseau, cosa che ha marcato la sua opera. Si vedaD.T.C., tome R, col. 2473.
20 - Allocuzione Jandudum cernimus, 18 mars 1861, da dove è tratta la proposizione 80 delSyllabus.
21 - Cardinal Joseph Ratzinger, Les principes de la théologie catholique, Téqui, 2005, p. 427.
22 - Ralph WiltgenLe Rhin se jette dans le Tibre, éd. du Cèdre, 1973, p. 238 [Padre RALPH WILTGEN, SVD, The Rhine Flows into the Tiber (Il Reno si getta nel Tevere), originariamente pubblicato nel 1966 da Hawthorne Books, ristampato da Tan Books nel 1985, Pag. 242].
23 - Mgr Lefebvre impiegava spesso il termine “orientamento” a proposito del Concilio (Si veda: Accuso il ConcilioDichiarazione del 21 novembre 1974Lettera agli amici e benefattori n° 9, ottobre 1975). L'orientamento è una tendenza che cerca di nascobdersi. Questo termine è opportunamente completato da Suor lucia di Fatima nell'espressione “Orientamento diabolico”.
24 - Si veda: Itinéraires n° 92, p. 151 ss.
25 - II II q. 103, . 1.
26 - Vatican II, l'Église à la croisée des chemins, ed. MJCF, 2010, tome 1, p. 175-189.
27 - Lettera ad una Domenicana dell'8 giugno 1972. In quel momento il Generale era Madre Anne-Marie Simoulin.
28 - Le Sel de la Terre n° 25, p. 151.
29 - lbidem, p. 159.
30 - Lettera di Paolo VI a Mons. Lefebvre, 10 luglio 1975, in ltinéraires, supp. al n° 197, p. 57.
31 -  Fideliter n° 79, p. Il.
32 - II ll q. 10, a. 10.
33 - La sospensione è una pena canonica che interdice ad un chierico ogni esercizio del culto pubblico, per esempio la celebrazione della Messa. Sono sospesi i sacerdoti ordinati da un vescovo sospeso. Evidentemente, in questo caso la sospensione è assolutamente nulla, perché comminata ingiustamente.
34 - Fideliter n° 65, p. 21.
35 - Fideliter n° 70, p. 8.
36 - lbidem., p. 6.
37 - Lettera del 15 novembre 1969.
38 - Fideliter n° 66, p. 12-13.
39 - Fideliter n° 68, p. 16.
40 - 27 ottobre 2014: Sermone scritto di Mons. Tissier de Mallerais per il pellegrinaggio internazionale a Lourdes, in La Porte Latine.

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