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venerdì 10 aprile 2015

La strage degli Agnelli di Dio

Il Mercoledì di Pasqua e la benedizione degli "Agnus Dei"

Sino al pontificato di papa Montini, il mercoledì di Pasqua era dedicato, nella Chiesa romana, alla benedizione dei c.d. Agnus Dei. Si tratta di un’usanza assai antica, risalente ad un’epoca anteriore al primo millennio (vqui e qui), che dovrebbe essere recuperata.




Pio XII benedice gli Agnus Dei

Giovanni XXIII benedice gli Agnus Dei

                                           

                                                       Pope Blessing Angus Dei (1959)



Purtroppo, oggi, dal mercoledì di Pasqua è scomparsa qualsiasi parvenza di sacralità, anche legata alla Pasqua, essendo ridotto – come è capitato durante l’udienza generale di ieri 8 aprile – ad un mero … carnevale …. .






Riproduciamo, dal testo di dom Gueranger, quella che era la benedizione che il Romano Pontefice effettuava in questo giorno.

La benedizione degli Agnus Dei

A Roma il mercoledì di Pasqua è celebre per la benedizione degli Agnus Dei. Questa cerimonia viene compiuta dal Papa nel primo anno del suo pontificato e, dopo, ogni sette.
Gli Agnus Dei sono dischi di cera sulla quale è impressa da una parte l’immagine dell’Agnello di Dio e dall’altra quella di qualche santo. L’uso di benedirli durante le feste di Pasqua è antichissimo; si crede averne trovate le tracce nei monumenti liturgici, fin dal V secolo; ma i primi documenti autentici rimontano solamente al IX secolo. Il cerimoniale che si usa adesso è del XVI secolo.
Si ha avuto dunque torto di dire che tale istituzione avvenne in memoria del battesimo dei neofiti, all’epoca in cui si cessò di amministrare questo Sacramento in occasione della Pasqua. Sembra anche dimostrato che i nuovi battezzati ricevevano ciascuno un Agnus Deidalle mani del Papa, nel Sabato di Pasqua; d’onde si deve concludere che l’amministrazione solenne del Battesimo e la benedizione degli Agnus Dei sono due riti che sono coesistiti durante un certo tempo.
La cera che si adopera nella confezione degli Agnus Dei è quella del cero pasquale dell’anno precedente, alla quale se ne aggiunge molta altra; anticamente vi si mischiava anche il Sacro Crisma. Nel Medio Evo l’incombenza di impastare la cera e di stamparvi le sacre impronte era affidata ai suddiaconi ed agli accoliti di palazzo; oggi appartiene ai religiosi dell’ ordine dei Cistercensi, che abitano a Roma nel monastero di San Bernardo.
La cerimonia ha luogo nel palazzo pontificio, in una sala, dove si è preparato un grande bacile riempito di acqua benedetta. Il Papa si appressa e, per prima cosa, recita questa preghiera:

“Signore Iddio, Padre Onnipotente, Creatore degli elementi, conservatore del genere umano, autore della grazia e della salute eterna, voi che avete ordinato alle acque che uscirono dal Paradiso di bagnare tutta la terra; voi il cui unico Figlio ha camminato a pie’ fermo sulle acque e ricevuto il battesimo nel loro seno; ha poi sparso acqua mista a sangue dal suo sacratissimo costato, ed ha comandato ai suoi discepoli di battezzare tutte le nazioni: Voi siateci propizio e spargete la vostra benedizione su noi che celebriamo tutte queste meraviglie, affinché siano benedetti c santificati, per mezzo vostro, questi oggetti che noi immergeremo in queste acque, e che l’onore e la venerazione che porteremo loro meritino a noi, vostri servi tori, la remissione dei peccati, il perdono e la grazia, finalmente la vita eterna con i vostri santi e i vostri eletti”.

Il Pontefice, dopo queste parole, versa il balsamo e il Sacro Crisma sull’acqua del bacino, domandando a Dio di consacrarla per l’uso al quale essa deve servire. Poi, girandosi verso i cesti nei quali sono accumulate le impronte di cera, pronuncia questa preghiera:

“O Dio, autore di ogni santificazione, la cui bontà ci accompagna sempre; Voi che quando Abramo, il padre della nostra fede, si disponeva ad immolare il suo figliuolo Isacco per ubbidire al vostro ordine, avete voluto che consumasse il sacrificio per mezzo dell’offerta di un montone che un cespuglio aveva trattenuto; Voi che avete comandato, per mezzo di Mosè vostro servitore, il sacrificio annuale degli agnelli senza macchia, degnatevi, per la nostra preghiera, benedire queste forme di cera che portano l’impronta dell’innocentissimo Agnello, e santificarle mediante invocazione del vostro santo nome; affinché, per mezzo del loro contatto e della loro vista, i fedeli siano invitati alla preghiera, i temporali e le tempeste allontanate, e gli spiriti maligni messi in fuga in virtù della Santa Croce che vi è impressa, davanti alla quale si piega ogni ginocchio, ed ogni lingua confessa che Gesù Cristo, avendo vinto la morte per mezzo del patibolo della croce, regna nella gloria di Dio Padre. È lui che essendo stato condotto alla morte come la pecora al macello, vi ha offerto, a Voi suo Padre, il sacrificio del suo corpo, affinché egli potesse ricondurre la pecora smarrita che era stata sedotta dalla frode del demonio, e riportarla sulle sue spalle per riunirla al gregge della patria celeste. Dio onnipotente ed eterno, istitutore delle cerimonie e dei sacrifici della Legge, che acconsentiste a placare la vostra collera, nella quale era incorso l’uomo prevaricatore quando vi offriva le ostie d’espiazione; Voi che avete gradito i sacrifici di Abele, di Melchisedech, di Abramo, di Mosè e di Aronne; sacrifici che non erano che delle figure, ma che, per vostra benedizione, erano resi santi e salutari per quelli che ve li offrivano umilmente; degnatevi di fare che, nella medesima guisa che l’innocente Agnello, Gesù Cristo vostro Figliuolo, immolato per volontà vostra sull’altare della Croce, ha liberato il nostro primo padre dal potere del demonio, così questi agnelli senza macchia che noi presentiamo alla benedizione della vostra maestà divina ricevano una virtù benefica. Degnatevi di benedirli, di santificarli, di consecrarli, di dar loro la virtù di proteggere quelli che li porteranno devotamente su di loro contro la malizia del demonio, contro le tempeste, la corruzione dell’aria, le malattie, i pericoli del fuoco, e le insidie dei nemici e fare che essi siano efficaci per proteggere la madre ed il suo frutto nei pericoli del parto. Per Gesù Cristo vostro Figliuolo, Signor nostro”.

Dopo queste preghiere, il Papa, cingendosi di un telo, si siede presso il bacino. I suoi assistenti gli portano gli Agnus Dei; egli li immerge nell’acqua, raffigurando così il battesimo dei nostri neofiti. Alcuni prelati ve li ritirano poi e li depongono su tavoli coperti di teli bianchi. Allora il Pontefice si alza e pronuncia quest’altra preghiera:

“Spirito Divino, che fecondate le acque e le fate servire ai vostri più grandi misteri, voi che loro togliete l’amarezza e le rendete dolci e che, santificandole, col vostro soffio, vi servite di esse per cancellare tutti i peccati per mezzo dell’invocazione della Santa Trinità; degnatevi benedire, santificare e consacrare questi Agnelli che sono stati gettati nell’acqua santa, e imbevuti del balsamo e del Sacro Crisma; che essi ricevano da voi la virtù contro gli sforzi della malizia del diavolo; che tutti quelli che li porteranno su di loro restino al sicuro; che non abbiano a temere alcun pericolo; che la cattiveria degli uomini non sia a loro nociva; e degnate essere la loro forza e la loro consolazione.
Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio Vivente, che siete l’Agnello innocente, sacerdote e vittima; Voi che i Profeti hanno chiamato la Vigna e la Pietra angolare, voi che ci avete riscattati nel vostro Sangue e che di questo sangue avete marcato i nostri cuori e le nostre fronti, affinché il nemico, passando vicino alle nostre case, non ci colga col suo furore; Voi che siete l’Agnello senza macchia, la cui immolazione è continua; l’Agnello Pasquale divenuto, sotto le specie del Sacramento, il rimedio e la salvezza delle nostre anime; che ci conducete attraverso il male del secolo presente alla risurrezione e alla gloria dell’eternità; degnatevi benedire, santificare e consacrare questi agnelli senza macchia, che in vostro onore noi abbiamo formato di cera vergine e imbevuti dell’acqua santa, del balsamo e del sacro Crisma, onorando in essi la vostra divina concezione che fu l’effetto della Virtù divina. Difendete quelli che li porteranno su di loro dalle fiamme, dalla folgore, dalla tempesta, da ogni avversità; liberate, per mezzo loro le madri che sono nei dolori del parto, come voi avete assistito la vostra, quando vi dette alla luce; e nella stessa guisa che avete salvato Susanna dalla falsa accusa, la beata Vergine e Martire Tecla dal rogo e Pietro dai ceppi della prigionia, degnatevi di liberarci dai pericoli di questo mondo e fate che noi meritiamo di vivere con voi eternamente”.

Gli Agnus Dei sono poi raccolti con rispetto per la distribuzione solenne che dovrà farsene il sabato seguente. È facile scorgere il legame che c’è tra questa cerimonia e la Pasqua: l’Agnello Pasquale vi è continuamente ricordato; allo stesso tempo l’immersione degli agnelli di cera offre una allusione evidente con l’amministrazione del Battesimo, che formò, durante tanti secoli, l’interesse della Chiesa e dei fedeli in questa ottava solenne. Le preghiere che abbiamo dato più sopra, abbreviandole un poco, non sono molto antiche; ma i riti che le accompagnano mostrano sufficientemente l’allusione al Battesimo, anche se non vi si trova espressa direttamente.
Gli Agnus Dei, per il loro significato, per la benedizione del Sommo Pontefice e la natura dei riti impiegati nella loro consacrazione, sono uno degli oggetti più venerati dalla pietà cattolica. Da Roma vengono distribuiti in tutto il mondo; e, molto spesso, la fede di coloro che li conservano con rispetto, è stata ricompensata con dei prodigi.
Sotto il Pontificato di san Pio V, il Tevere straripò in una maniera spaventosa, minacciando di inondare parecchi quartieri della città un Agnus Dei fu gettato nelle acque che si ritirarono subito.
Tutta la città fu testimone di questo miracolo; esso, più tardi, venne discusso durante il processo di beatificazione di questo grande Papa.

da: P. GUÉRANGER, L’anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. ROBERTI, P. GRAZIANI e P. SUFFIA, Alba, Edizioni Paoline, 1959, pp. 65-74.

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