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sabato 20 giugno 2015

Sst sulla ST: meglio ciarlare al tempio valdese?

La Sindone di Torino e la scienza, oggi


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Crocifissione” (Matthias Grünewald, 1514)

Le ultime stime della datazione, l’ipotesi giudicata più probabile sulla produzione dell’immagine (che resta tuttora tecnicamente irriproducibile) e le analisi dei patologi forensi

Il 9 giugno scorso ho avuto il privilegio di partecipare come uditore ad un Workshop presso l’università di Padova sulla Sindone di Torino (ST). La giornata è stata occupata dalle relazioni di una quindicina di ricercatori (ingegneri, fisici, chimici, biologi, geologi, statistici e medici) di diversi atenei italiani ed esteri, che hanno descritto gli ultimi risultati multi- e inter-disciplinari degli studi sulla ST. A differenza degli studi avvenuti nel 1978 e nel 1988 (e di altri minori precedenti), eseguiti su diretto incarico della Curia di Torino che autorizzò i prelievi, questi studi sono stati fatti dagli scienziati in completa autonomia, con finanziamenti degli atenei ed usando una dozzina dei campioni prelevati dalla ST nel 1978. Questo è il riassunto di quanto ho raccolto, mentre per gli approfondimenti rinvio direttamente alle relazioni che saranno rese pubbliche entro settembre nel sito dell’SHS Web of Conferences.

La ST è un lenzuolo di lino di 4,4 m di lunghezza e 1,1 m di larghezza, che avvolse il cadavere di un uomo flagellato (nell’immagine dorsale sono state contate 300 staffilate), coronato di spine, ferito al costato con un taglio profondo e crocifisso. Ciò si rileva dalla posizione e dai tipi delle macchie di sangue, nonché dall’immagine corporea ad alta definizione. Inoltre ci sono sul lenzuolo molti altri segni causati da fuoco, acqua, oltre che dalle pieghe del tessuto, che parzialmente oscurano la doppia immagine indelebile, frontale e dorsale. Le due fotografie sottostanti sono state prese da me su due riproduzioni esposte al Workshop: nelle riproduzioni era stato invertito il bianco/nero (perché la nostra mente è abituata ad associare il bianco alle superficie in rilievo, che invece risultano più intaccate dalla vicinanza col lino e appaiono più scure sulla ST) ed era stato accentuato il contrasto per agevolare l’interpretazione.
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Le due immagini (principali) presenti nella Sindone: frontale e dorsale. Sul lato opposto dell’immagine frontale (qui non riprodotto) si ripetono tratti del volto e forse delle mani
In base alla documentazione storica disponibile, la ST compare per la prima volta a Lirey in Francia negli anni 50 del XIV secolo e di qui passa ai duchi di Savoia a Chamberry. In seguito è portata a Torino nel 1578, nella cui cattedrale è custodita in un apposito scrigno dal 1694. Secondo la tradizione religiosa, confortata per alcuni aspetti da evidenze scientifiche presentate al Workshop, la peregrinazione della ST è rappresentabile come nella figura seguente.
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La peregrinazione della Sindone (in nero, le tappe storicamente documentate)
Tra gli altri, c’è un indizio della presenza della ST a Bisanzio già nei secoli VII-VIII: è dato da una moneta di Giustiniano II, che vi regnò in quell’epoca. In una faccia della moneta è ritratto un volto tumefatto di Cristo, niente affatto bello secondo l’iconografia ufficiale, con molte asimmetrie, con la barba strappata, ecc., esibente una forte somiglianza con le fattezze dell’uomo della ST. In un identikit presentato al Workshop, dal confronto di 12 parametri è stato calcolato che ci sono 7 probabilità su un miliardo di miliardi che le due immagini siano indipendenti, ovvero che l’incisore bizantino non avesse visto la ST di persona.
La ST è ritenuta da molti il lenzuolo funerario in cui Gesù fu avvolto dopo la morte, per essere infine depositato in un sepolcro vicino a Gerusalemme circa 2.000 anni fa. In quanto creduta tale, la ST è forse la più importante reliquia cristiana, certamente quella che più è stata in passato e tuttora è sottoposta ad esami scientifici di ogni genere. Il Workshop di Padova ha tralasciato gli aspetti religiosi e ha fatto il punto sullo stato delle evidenze scientifiche acclarate ad oggi. Volendo sintetizzare i risultati raggiunti in un numero, potremmo considerarli “risolutivi per il 5% dei problemi posti alla scienza” (G. Fanti, capo del CRIS, Comitato di Ricerca Ingegneristica sulla Sindone, costituito presso il dipartimento d’Ingegneria Industriale a Padova).
Sotto l’aspetto scientifico i problemi più importanti sono 2: la datazione del lino e la riproduzione dell’immagine. A quando risale il lino? Come si è prodotta (ed è possibile replicare) l’immagine?
Su incarico della Curia di Torino, la prima (ed unica ufficiale) datazione fu eseguita nel 1988 da 3 laboratori (siti rispettivamente a Tucson in Arizona, ad Oxford e a Zurigo), che usarono il metodo del radiocarbonio su campioni ricavati da una striscia di tessuto di 81 x 21 mm, ritagliata da un angolo della ST. Arizona si assunse di esaminare i campioni indicati nella figura sottostante con A1 e A2, Oxford il campione O e Zurigo il campione Z. Contemporaneamente, come controlli, i siti effettuarono anche la datazione al carbonio di referti d’altra origine e di età nota: il lino di una tomba nubiana, il lino di una mummia tebana e fili di un mantello medievale francese. La relazione finale congiunta fu pubblicata su Nature nel febbraio 1989 ed è consultabile online. Essa dichiarò che “con un livello di confidenza del 95% il lino della Sindone di Torino risale al periodo 1260-1390 […] I risultati forniscono un’evidenza conclusiva che il lino della Sindone di Torino è medievale”.
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Campioni e risultati delle analisi al carbonio 14: Arizona A1 + A2, Oxford O, Zurigo Z (1988)
Questo verdetto suscitò subito alcune perplessità in ambito scientifico, specificatamente statistico, ma anche in termini di trasparenza e di replicabilità, che sarebbero accresciute con gli anni. I dubbi sorsero dal fatto che mentre i 3 laboratori mostravano le stesse varianze (uguali margini probabili d’errore), davano invece medie di età sostanzialmente differenti. Questa discrepanza appariva tanto più strana in quanto riguardava solo la ST, non i reperti di controllo, dove i 3 siti davano varianze e medie simili. Qual era la sorgente dell’eterogeneità delle medie di età della ST dei 3 laboratori? Inoltre Arizona si rifiutava di spiegare su quali specifici campioni avesse eseguito le sue misure: aveva usato solo A1? o solo A2? o aveva misurato entrambi e, in tal caso, quali erano i risultati separati? Gli statistici ipotizzarono che una qualche causa ignota (un incendio, o una contaminazione batterica, o un’azione di consunzione lungo gli orli, ecc.) avesse provocato un effetto sistematico, fondamentale per la densità relativa del carbonio radioattivo rispetto agli altri isotopi lungo l’asse longitudinale (x), così falsando le conclusioni sperimentali. Per spiegare la diversità delle medie, s’ipotizzò insomma che Arizona avesse pubblicato solo le misure di A1 e che la differenza delle età misurate dai siti derivasse dalle diverse ascisse dei loro campioni, cioè da una crescente riduzione di carbonio 14 lungo l’asse longitudinale.
Rinvio i lettori che si dilettano in statistica alla lettura dell’articolo “Regression analysis with partially labelled regressors: carbon dating of the Shroud of Turin” (2012) di M. Riani et al., reperibile online e che con alcuni update è stato presentato al Workshop di Padova, non senza aggiungere che il laboratorio dell’Arizona finì col riconoscere, sotto l’incalzare delle critiche, di aver datato solo A1, così corroborando l’ipotesi di errore sistematico provocato dall’effetto longitudinale.
Di fronte alla ritrosia della Curia torinese – che prima di tutto ha il dovere di conservare un reperto d’importanza religiosa, storica e scientifica uniche al mondo – a tagliuzzare altri pezzi di lino, stavolta necessariamente secondo una campionatura estratta in lungo e in largo per la Sindone e quindi suscettibile di danneggiarne l’immagine, nell’attesa che le tecnologie di datazione facciano progressi in termini di miniaturizzazione, divenne urgente trovare metodi alternativi di datazione sui campioni già prelevati e non alterati dalle precedenti osservazioni. Il primo a farlo fu il chimico americano Ray Rogers – uno degli scienziati dello STURP del ’78 e detentore di diversi referti – con un’analisi spettroscopica dalla quale la ST risultò più antica del Medioevo. Vengo ora ai risultati sulla datazione illustrati a Padova.
Sono stati presentati altri 3 metodi indipendenti che, applicati su fibre di materiale sindonico prelevato nel 1978 e ben conservato hanno dato risultati coerenti tra loro: tutti collocano, con un livello di confidenza del 95%, il lino della Sindone a molto tempo prima del Medioevo, addirittura avanti l’era cristiana.
Più specificatamente, questi risultati di datazione sono sintetizzati nella tabella seguente.
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Datazioni recenti del lino della Sindone
Non sto a descrivere le tecnologie impiegate nei 3 metodi. Accenno solo al metodo Meccanico Multi-Parametrico, presentato a Padova da P. Malfi del CRIS, perché mi ha impressionato, per l’altissima tecnologia sviluppata e gli usi applicativi che ne sono derivati. Occorre sapere che ogni filo di lino (che ha lo spessore di circa un capello, qualche decimo di mm) è composto di 1-2 centinaia di fibrille che aderiscono longitudinalmente come i fili di un cavo d’antenna Tv. Per gli ingegneri si è trattato di misurare 5 parametri meccanici (modulo di Young, carico di rottura, ecc.) su campioni di queste microfibre (dello spessore del centesimo di mm e lunghe da 1 a 3 mm), che erano state raccolte nella parte dorsale della ST. Allo scopo gli ingegneri hanno dovuto inventarsi una macchina capace di tendere queste fibrille (visibili solo al microscopio), di tirarle con microforze crescenti misurandone il corrispettivo allungamento (microscopico) fino alla forza di rottura, ecc., ecc. Costruita la macchina, per risalire dai parametri meccanici del lino sindonico alla sua età, hanno costruito una curva di taratura misurando i 5 parametri meccanici di altre fibre di lino antico aventi età nota. Questa macchina può avere ora usi molteplici ed è ricercata in tutto il mondo. Questo è tutto per quanto riguarda la datazione ad oggi della ST.
Per le altre relazioni del Workshop che hanno riguardato il DNA, o l’analisi colorimetrica o quella delle microparticelle, o la stupefacente doppia superficialità di alcuni tratti dell’immagine corporea, ecc., rinvio gli interessati all’SHS Web of Conferences. Voglio infatti concentrarmi su due ultimi degli studi presentati a Padova, ovvero
  • un’analisi comparata delle ipotesi sulla formazione dell’immagine e
  • un’analisi anatomo-patologica sulle cause di morte dell’uomo della Sindone.
Quanto alla riproduzione dell’immagine, la prima analisi scientifica approfondita della ST fu eseguita nel 1978 dallo STURP e si concluse negativamente perché il team di scienziati non fu in grado di fornire spiegazioni sui meccanismi d’impressione dell’immagine. In 40 anni la situazione non è granché migliorata, anche se si sono moltiplicate le ipotesi: infatti le caratteristiche dell’immagine sono uniche al mondo e, allo stato delle conoscenze, non possono essere riprodotte tutte insieme. A Padova è stata presentata una lista di 24 caratteristiche chimico-fisiche dell’immagine, tra cui:
  1. La stretta intimità del contatto corpo-telo non appare necessaria.
  2. L’immagine è estremamente superficiale, la profondità non superando gli 0,03 mm in un tessuto dello spessore di 0,34 mm. Essa risulta dalla colorazione solo delle primissime fibrille componenti i fili di lino.
  3. Anche se l’immagine corporea è superficiale, in alcune aree dell’immagine anteriore, come quelle del volto e forse anche delle mani, lo è su entrambi i lati. Ciò significa che il tessuto presenta un’immagine superficiale da un lato, nessuna immagine nel mezzo e (per alcune aree) un’immagine superficiale uguale sul lato opposto.
  4. La colorazione di queste fibrille è derivata da un processo d’invecchiamento accelerato, provocato da ossidazione e conseguente disidratazione della cellulosa.
  5. Al livello microscopico l’immagine si compone d’una distribuzione superficiale di marchi puntiformi monocromatici variamente addensati.
  6. L’immagine nei due lati di (quasi) contatto si presenta alla percezione macroscopica come indeformabile e tridimensionale.
Tutte le principali congetture sui meccanismi d’impressione sono state messe a confronto con la suddetta lista: ne è risultato che nessuna congettura, nemmeno tra le più ardite (come l’emissione di protoni o di neutroni, o l’uso di laser ad altissima potenza, ecc.) è capace di riprodurre la totalità delle caratteristiche. L’ipotesi di laser ad eccimeri, per es., di un gruppo di scienziati guidati da G. Baldacchini, incontra problemi nel riprodurre sui due lati opposti gli stessi tratti; i capelli non sono morbidi, ma impaccati; ecc., ecc. Tra tutte le ipotesi, F. Lattarulo del Politecnico di Bari ha presentato come più probabile che l’impressione sia stata il risultato di un’esplosione di energia sprigionatasi dall’interno del corpo avvolto e irradiatasi sul lino. Questa energia di tipo elettromagnetico avrebbe sviluppato un noto fenomeno, chiamato “effetto corona”, consistente in una miriade di scariche microlocalizzate legate ad emissione di elettroni ad altissimo potenziale. Qui si tratterebbe di tensioni dell’ordine di 80 milioni di volt (un fulmine sviluppa tensioni di 1 milione di volt) e a questi livelli gli elettroni avrebbero prodotto sul lino i marchi puntiformi monocromatici squisitamente superficiali e dalle apparenze macroscopiche 3D.
Vengo allo studio che mi ha più colpito, l’analisi anatomo-patologica intitolata “Novità mediche dall’analisi scientifica della Sindone”, a cura di M. Bevilacqua, R. De Caro, A. Porzionato e V. Macchi, medici presso l’Ospedale e patologi all’Istituto di Anatomia, dell’università di Padova. La loro relazione, resa possibile sia con l’elaborazione di immagini ad alta risoluzione della ST sia con sperimentazioni su cadaveri, mi ha ricordato quelle dei Collegi medici forensi utilizzate nei tribunali per conoscere le cause cliniche di morti delittuose.
L’Uomo della ST mostra sul lato destro lussazione dell’omero, abbassamento della spalla, mano piatta ed enoftalmo, significativi di violento trauma contusivo, da dietro, a collo, torace e spalla, con lesione dell’intero plesso brachiale e danno muscolare alla base del collo, con il capo sulla croce piegato in avanti e ruotato verso sinistra”. Queste evidenze provano secondo i relatori che l’uomo della ST aveva sopportato sulle spalle per lungo tempo e trasportato l’intero patibolo su cui fu infine crocifisso e che ne era caduto con violenza sotto il peso, con una trauma toracico che causò “contusione cardiaca e polmonare con emotorace”. La caduta sotto il peso della croce avrebbe causato la rapidità della morte dell’uomo crocifisso. “I polsi, con più probabilità, sono stati inchiodati nello spazio di Destot con taglio dell’arteria ulnare e lesione parziale del nervo ulnare”: queste ferite, provocando la retrazione del pollice, spiegano secondo i patologi l’assenza d’impronta sulla ST. “Il chiodo del piede destro è stato infisso fra le ossa tarsali. Il piede destro è stato probabilmente lussato alla caviglia. La lancia è penetrata nel VI spazio intercostale, non nel V”.
La relazione dei patologi di Padova si conclude: “Gli Autori ritengono che l’uomo della Sindone sia Gesù di Nazareth e che la contusione cardiaca, caratterizzata da aree di necrosi cerea muscolare, abbia accelerato il decorso della Passione concludendosi con l’infarto miocardico, la rottura di cuore, l’emopericardio con tamponamento cardiaco, che sono stati la causa della morte immediata in perfetta lucidità, come è riportato nei Vangeli, mentre torture e altre condizioni morbose, quali shock traumatico-emorragico-ipovolemico, insufficienza ventilatoria e causalgia, l’abbiano solo affrettata”.
Ecco, questa expertise medica mi ha impressionato più dello studio di ogni altra disciplina scientifica presentato al Workshop. I medici hanno ricavato dalla corrispondenza tra i racconti dei vangeli e le proprie diagnosi sulla ST una tale coincidenza da asserire nell’aula di tribunale della comunità scientifica internazionale che “l’uomo della Sindonesia Gesù di Nazareth”. I Romani hanno crocifisso decine di migliaia di persone, e dunque, a priori, potrebbe essere una qualsiasi di queste l’uomo della Sindone: invece no, perché questa crocifissione è stata molto particolare, ed è estremamente improbabile che altre abbiano avuto le stesse caratteristiche: c’è la corona di spine, la flagellazione, la caduta sotto il peso della croce, ecc., ecc., come descritto nei vangeli e tramandato dalla tradizione. Allo stato delle attuali tecnologie, le diverse datazioni e il mistero perdurante della produzione dell’immagine sono, almeno per me che sono di norma scettico sulla “conclusività” veritativa delle evidenze scientifiche, secondari rispetto alle analisi anatomo-patologiche.
BY  ON

Il tributo all’ecumenismo, il primo Papa in un tempio valdese

La chiesa valdese di Torino pronta ad accogliere Bergoglio
(©LaPresse)
(©LAPRESSE) LA CHIESA VALDESE DI TORINO PRONTA AD ACCOGLIERE BERGOGLIO

Prima di Torino da Francesco un’attenzione costante al protestantesimo. La nonna e l’Esercito della Salvezza, la visita all’amico pastore pentecostale a Caserta

IACOPO SCARAMUZZICITTÀ DEL VATICANO

«Saremo noi stessi. Speriamo che questo possa essere compreso perché il gioco della comunicazione mediatica attraverso la televisione può raccontare in modo molto veritiero la realtà, ma dall’altra conosciamo i rischi di semplificazione e fraintendimento che ci possono essere». A Riforma,settimanale delle Chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi, il pastore Eugenio Bernardini, moderatore della Tavola valdese, organo di governo di questa Chiesa protestante, ha confidato così le proprie aspettative, e i propri timori, per la visita di papa Francesco, lunedì a Torino, al locale tempio valdese. Di certo non sono mancate, negli anni e nei secoli, incomprensioni e conflitti, tra Santa Romana Chiesa e i protestanti, e di certo quella di Francesco – la prima volta nella storia dei papi che un Pontefice entra in una chiesa valdese – è un evento epocale. Che si inserisce, però, in una attenzione costante che Jorge Mario Bergoglio, già quando era arcivescovo di Buenos Aires, ha tributato alla galassia riformata, nonché alle altre confessioni della famiglia cristiana, a partire dall’ortodossia.

«Lunedì – ha detto ancora Bernardini – noi non avremo timore di riconoscere tutto ciò che ci lega in quanto cristiani, discepoli di Gesù Cristo e discepoli del medesimo Dio, ma non avremo timore di richiamare quegli aspetti teologici e religiosi che ancora segnano le nostre distanze sulle quali noi vorremmo lavorare per fare maggiori progressi: questo è l'ecumenismo. Schiettezza e sincerità ma in un clima di ascolto reciproco e fraternità, non di contrapposizione e polemica. Questa è la grande differenza rispetto a un passato che non vorremmo riprendere in questi tempi».

La Chiesa evangelica valdese, prende il nome da Pietro Valdo, mercante di Lione del XII secolo che, a un certo punto della sua vita, abbandonò i suoi beni e si diede a predicare il Vangelo fra i poveri. Invitato dall'arcivescovo di Lione, Guichard, ad astenersi da ogni forma di predicazione e di spiegazione delle Scritture, Valdo rifiutò e, con tutti i suoi seguaci, fu espulso dalla diocesi di Lione. Nel 1532 i valdesi aderirono alla «Riforma protestante» nata da personalità come Lutero e, soprattutto, Calvino. In seguito a sanguinose persecuzioni, dal XVI secolo i valdesi sopravvissero nelle valli del Piemonte finché, ottenuti i diritti civili il 17 febbraio 1848, per volontà di re Carlo Alberto (che lo stesso anno concesse i diritti civili e politici anche agli ebrei) si diffusero in tutta Italia. Ancora oggi festeggiano la data del 17 febbraio. Attualmente nel nostro Paese i valdesi, che aderiscono alla comunione mondiale delle chiese riformate e, in Italia, assieme prevalentemente ad altre denominazioni «storiche» del protestantesimo italiane, alla Federazione delle Chiese evangeliche italiane (Fcei), sono circa 30mila. Sono circa 65mila tutti i protestanti «storici», ossia nati ai tempi della Riforma cinquecentesca o prima, pari a circa il 20% della popolazione evangelica italiana, maggioritariamente costituita invece dai pentecostali e carismatici che traggono ispirazione da sviluppi del protestantesimo dei secoli successivi. I valdesi, principalmente italiani, sono però presenti anche in America latina e, specificamente, in Argentina. Nel tempio torinese ci sarà anche il moderatore delle chiese valdesi del Rio della Plata. Il mondo valdese ha espresso nel corso del tempo grandi personalità, quali, per fare solo pochi esempi, il pastore Tullio Vinay, il regista Luigi Comencini, lo storico Giorgio Spini. Spesso impegnati nel mondo del sociale e della cultura, radicati nella lettura biblica, eredi di una tradizione di sobrietà liturgica e responsabilità personale, nel corso del tempo hanno espresso non di rado posizioni distanti dalla Conferenza episcopale italiana e del Vaticano su tematiche di attualità come la bioetica o questioni teologiche più fondamentali. Non sono mancati negli anni sintonie, per esempio con il mondo del cattolicesimo del dissenso, o incontri, come la presenza, alla presentazione del libro di Benedetto XVI «Gesù di Nazareth», di un teologo valdese, Daniele Garrone, in Vaticano.

Anche con papa Francesco dal mondo valdese sono giunti elogi, sin dalla sua elezione, e qualche appunto. Il teologo valdese Paolo Ricca ha parlato per esempio di «sorpresa e delusione» per una conferenza del 1985 su Giovanni Calvino, recentemente ripubblicata, nella quale Bergoglio, che rievocava la contrapposizione tra Gesuiti e calvinisti all’epoca della Riforma, criticava il «calvinismo scismatico». In un colloquio con il fondatore della Repubblica Eugenio Scalfari, peraltro, il Papa, all’interlocutore che notava il suo impegno per integrare la cattolicità con gli ortodossi, con gli anglicani, aggiungeva: «Con i valdesi che trovo religiosi di prim'ordine, con i pentecostali e naturalmente con i nostri fratelli ebrei». «Stupisce», commentò riconoscente il pastore Bernardini, «che Papa Bergoglio abbia voluto citare i valdesi insieme agli ortodossi, agli anglicani, ai pentecostali e agli ebrei, ovvero a comunità di fede infinitamente più grandi della nostra piccola Chiesa»: «Con Francesco i tempi della Chiesa di Roma sembrano correre più rapidi e veloci. Le analisi invecchiano in fretta. Nuove domande arrivano sul tappeto. E ci interrogano non solo come cristiani appartenenti alla famiglia riformata ma anche come piccola Chiesa che si fa interprete di una tradizione teologica e spirituale molto specifica. È un’opportunità nuova che ci affida grandi responsabilità ecumeniche». Un dialogo che continuerà lunedì nel tempio di corso Vittorio Emanuele II a Torino.

Il rapporto di papa Francesco con la galassia protestante, peraltro, è ricco e variegato. Numerose le udienze e le occasioni di incontro. Il suo atteggiamento nei confronti dei riformati, ereditato da un ambiente familiare piuttosto tradizionale, mutò, lo ha raccontato lui stesso, grazie a sua nonna. «Quando io avevo 4 anni – era nell’anno 1940, nessuno di voi era nato, eh? – andavo per strada con la mia nonna», raccontò a una delegazione dell’Esercito della Salvezza ricevuta in Vaticano a fine 2014. «In quel tempo, l’idea era che tutti i protestanti andavano all’Inferno. Ma, dall’altra parte del marciapiedi venivano due donne dell’Esercito della Salvezza, con quel cappello che avevate voi… E io ricordo come se fosse oggi, io ho detto a mia nonna: “Quelle, chi sono? Monache, suore?”. E mia nonna ha detto: “No. Sono protestanti. Ma sono buone”. E così, la mia nonna per la testimonianza vostra, mi ha aperto la porta all’ecumenismo: la prima predica ecumenica che ho avuto è stata davanti a voi. Thank you very much».

Tra gli incontri con rappresentanti protestanti vanno ricordate l’udienza alla «cara sorella» Antje Jackelen, primate luterana svedese, a maggio scorso, l’incontro con Tony Palmer, amico personale del Papa e vescovo pentecostale poi morto in un incidente in moto, che registrò un videomessaggio di Francesco sul suo smartphone, e, nel quadro di un’udienza a un convegno ecumenico organizzato dal movimento dei Focolari, il presidente emerito della Federazione luterana mondiale, Christian Krause, che ha espresso il desiderio di celebrare insieme al Pontefice romano il cinquecentenario della Riforma del 1517. Significativa anche l’udienza che il Papa ha voluto concedere ai promotori della traduzione in lingua corrente della Bibbia, cattolici e protestanti (tra i primi ideatori ci furono pastori valdesi e il cardinale Carlo Maria Martini): «È un’idea buona perché la gente semplice può capirla», ha detto in quell’occasione Francesco.

Jorge Mario Bergoglio, poi, viene da un continente, l’America Latina, dove i pentecostali, da alcuni definiti «sette», macinano conversioni e diffondono il Vangelo. Un fenomeno guardato con sospetto, ma anche interesse, dal mondo cattolico. Il teologo brasiliano della liberazione Clodovis Boff, non certo un simpatizzante, ha avuto a rilevare, per esempio, che «l'emozione rischia di diventare emozionalismo ai limiti dell’isteria, a volte non si crea comunità, ma una sorta di supermercato religioso, il forte senso di identità può trasformarsi in arroganza e settarismo, la lettura biblica è fondamentalista e vi è una carenza di cultura teologica, il rigore etico può scadere in perbenismo, vi è il rischio di manipolazione delle masse, posizioni politiche spesso alienate e alienanti, un atteggiamento anti-ecumenico e anti-dialogico. Ma se mettiamo sulla bilancia luci e ombre il bilancio è fondamentalmente positivo. I poveri ci guadagnano perché le Chiesa pentecostali li consolano, li inquadrano, danno loro dignità. E Cristo è annunciato». Anche Jorge Mario Bergoglio conosce limiti e dinamismo di questo mondo. Non di rado ha voluto incontrare gli esponenti della galassia carismatica, cattolici e protestanti. Come quando, il primo giugno del 2014, si recò allo stadio Olimpico di Roma per incontrare i partecipanti a un evento organizzato dal Rinnovamento nello Spirito Santo insieme alla International Charismatic Catholic Renewal Services (Iccrs) e alla Catholic Fraternity of Charismatic Covenant Communities and Fellowship (Cfccf), inchinandosi per farsi benedire. Gesto che poi ha rievocato chinando il capo, questa volta in Vaticano, di fronte a un gruppo di un centinaio di pastori evangelici di orientamento pentecostale di diverse parti del mondo, lo scorso 7 maggio, guidato da Giovanni Traettino.

Proprio nei confronti di questo Pastore, suo amico dai tempi di Buenos Aires, il Papa ha voluto tributare uno specifico gesto di amicizia, tornando espressamente a Caserta, a luglio del 2014, due giorni dopo un incontro con i cattolici della città campana, per far visita alla sua comunità, la chiesa pentecostale della riconciliazione.

Nel 1947 la maggioranza dei pentecostali italiani si riunì nelle Assemblee di Dio in Italia. Nel 2000 nacque la Federazione delle Chiese pentecostali (Fcp). Non pochi pentecostali italiani, nel nome di un congregazionalismo diffuso, non aderiscono però a queste due sigle, come la comunità del Pastore Trattino. Una realtà che ha ereditato una storia difficile. Il pentecostalismo giunse in Italia a inizio Novecento, dagli Stati Uniti (tra i primi adepti, alcuni protestanti provenienti proprio dal valdismo). Il fascismo, intollerante nei confronti di tutte le confessioni non cattoliche, fu particolarmente duro con i pentecostali, che, in ragione della loro struttura molecolarizzata non beneficiarono neppure della legge sui culti ammessi del 1929. La persecuzione mussoliniana culminò nella circolare Buffarini-Guidi del 1935, che vieta il culto pentecostale in tutto il Regno in quanto «esso si estrinseca e concreta in pratiche religiose contrarie all'ordine sociale e nocive all'integrità fisica e psichica della razza». Non di rado denunciati dai parroci cattolici, molti pentecostali furono arrestati e alcuni muoiono in carcere o in campo di concentramento. «Tra quelli che hanno perseguitato e denunciato i pentecostali, quasi come fossero dei pazzi che rovinavano la razza, c’erano anche dei cattolici: io sono il pastore dei cattolici e vi chiedo perdono per quei fratelli e sorelle cattolici che non hanno capito e sono stati tentati dal diavolo», ha detto il Papa durante la visita a Caserta. Bocciando l’uso del termine «setta». E spiegando: «Qualcuno si stupisce che il Papa sia venuto a trovare gli evangelici. Sono venuto a trovare i fratelli». Come tornerà a fare entrando, per la prima volta nella storia dei papi, nel tempio valdese di Torino.

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