ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 30 luglio 2015

La feccia del mondo qual'é?

Siria, continua il calvario dei cristiani di Aleppo

Suor Maria Nazareth racconta come si vive ad Aleppo mentre è in corso l'offensiva di Al Nusra e dell'opposizione armata
Da circa cinque mesi una nuova terribile ondata di violenza si è scagliata su Aleppo, la città del nord della Siria che più di tutti sta pagando lo scotto della guerra. Una guerra che va avanti dal 2011 e che sembra destinata a non finire più.


Gli attacchi delle fazioni ribelli si susseguono, così come gli scontri con le truppe lealiste. I bombardamenti e gli attentati nei diversi quartieri della città continuano a mietere migliaia di vittime tra i civili. “Ci sono morti praticamente ogni giorno: purtroppo è diventata una cosa normale e per questo non fa più notizia” racconta suor Maria Nazareth, missionaria argentina della Famiglia Religiosa del Verbo Incarnato, appena tornata in Italia per una breve pausa dalla sua missione nella città siriana.
Ad Aleppo gestisce assieme ad altre due suore una residenza per universitari all’interno del vicariato apostolico latino della città. Ed è proprio a qualche isolato di distanza da qui e dalla vicina cattedrale del Bambin Gesù che si sono verificati nelle scorse settimane gli scontri più violenti tra ribelli ed esercito regolare. Scontri che a volte “sono proseguiti per intere notti”, racconta la suora, che quei momenti li conserva bene impressi nella memoria. “Ad Aleppo dopo la Settimana Santa la situazione è diventata molto difficile”, spiega, “ci sono stati molti tentativi da parte della Jabhat Al Nusra e delle varie fazioni dei ribelli di irrompere nella città, annunciati tramite volantini diffusi tra la cittadinanza e attraverso i proclami sui loro social network”. “I missili venivano lanciati sui nostri quartieri a qualunque ora, abbiamo vissuto segregati in casa, uscendo solo per urgenti necessità e guardando continuamente in alto per paura di essere colpiti” riporta la suora.

I quartieri abitati dai cristiani, racconta la religiosa, sono quelli dove si sono concentrati maggiormente gli attacchi. Decine di chiese sono state danneggiate, sequestri e uccisioni sono all’ordine del giorno e i cristiani di Aleppo sono ormai il bersaglio privilegiato dei gruppi islamici radicali. “Far conoscere il dramma che sta vivendo la comunità cristiana di Aleppo è fondamentale per noi, perché loro sono la parte più colpita in questo conflitto, specialmente i giovani.
Tanti muoiono per strada, magari mentre stanno tornando a casa dall’università, colpiti dalle pallottole vaganti esplose dai cecchini. Franchi tiratori che sparano e uccidono soltanto per seminare il terrore”. “Solo la scorsa settimana sono morti così tre ragazzi”, racconta la religiosa. Le manifestazioni pubbliche della fede, preghiere o processioni, che prima potevano svolgersi liberamente, ormai sono interdette perché costituiscono un rischio per l’incolumità dei partecipanti. L’obiettivo, secondo molti, è quello di far sì che sempre più cristiani lascino il Paese, per preparare il terreno ad una radicalizzazione del conflitto interno all’Islam e facilitare l’affermazione dell’Islam radicale all’interno del futuro Stato siriano.
Intanto la tragedia umanitaria va avanti: molte persone hanno perso la casa, il lavoro o si sono ammalate per via della guerra. “Oltre al conforto spirituale cerchiamo di fornire assistenza materiale, per quanto il nostro aiuto è sempre limitato rispetto alle difficoltà sproporzionate che devono affrontare queste persone”, spiega suor Maria Nazareth. “Nella maggior parte delle case mancano acqua ed elettricità, anche per 20 giorni consecutivi, e lo scorso inverno, quando le temperature sono scese sotto lo zero, molte persone sono morte a causa della mancanza di combustibile per il riscaldamento”, prosegue. Gli aiuti umanitari sono scarsi e la realtà quotidiana è molto dura, spiega la religiosa: “anche se ci sforziamo di condurre un’esistenza normale, siamo costretti a programmare la vita in base a queste cose: se di notte arriva l’acqua, ad esempio, non si dorme e si approfitta per pulire la casa e per lavarsi”. I bambini non vengono risparmiati, anzi. Molti di loro sono presi di mira e hanno perso la vita negli attentati dei mesi scorsi nella città. Altri hanno subito gravi danni fisici per via delle esplosioni. “Vedere bambini mendicare per le strade, vittime dei racket, sfollati con i loro genitori, che soffrono la fame o che riempiono e trasportano grossi bidoni d'acqua fino alle loro case è diventato uno spettacolo normale ad Aleppo”, racconta la suora. “I bambini”, prosegue, “parlano fra loro solo di argomenti da adulti: a che ora danno l’acqua, quando verrà la luce. Sono indubbiamente quelli che soffrono di più questa situazione”. “I siriani si sentono abbandonati dalla comunità internazionale” continua suor Maria Nazareth, “quello che vorremmo è una maggiore imparzialità e un aiuto concreto: che consiste anche nel non fornire armi ai gruppi ribelli, come pure ha sottolineato Papa Francesco. Per questo chiediamo a tutti gli attori coinvolti un compromesso serio e sincero per una pace vera e autentica”.

Ucraina, il battaglione Azov fa un rogo di bibbie e icone

Alcuni volontari del battaglione hanno impilato bibbie e icone per poi bruciarle



Ora queste parole sono tornate alla mente a causa di alcune foto, diffuse da Lnr Today, che mostrano i volontari nazisti di Azov impilare icone ortodosse bibbie per darle alle fiamme. Non ci sorprende quindi un'azione simile. Azov, infatti, ha rispolverato tutta la follia del nazismo esoterico con le sue rune e i loro presunti poteri magici. Che differenza c'è tra i volontari di Azov e gli uomini dell'Isis? Perché l'Europa tratta con il governo di Kiev che, di fatto, fiancheggia i nazisti di Azov?
Questo battaglione, inoltre, sta anche vivendo un periodo di crisi. Due giorni fa Iaroslav Babich, uno dei comandanti del battaglione, è stato trovato impiccato, come riportaTicinoOnline, "nel suo appartamento a Bucha, non lontano da Kiev". Vorrebbe agire, Azov, ma non può (almeno ufficialmente). Ed è sempre più insofferente nei confronti di Kiev. Fino a quando durerà la debole alleanza tra Poroshenko e Azov?
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/ucraina-battaglione-azov-fa-rogo-bibbie-e-icone-1156849.html

Washington volta le spalle ai principali nemici dell'ISIS

Washington volta le spalle ai principali nemici dell'ISIS

Ankara sta utilizzando i raid contro l'ISIS come scusa per rinnovare la sua repressione contro i curdi



Alcuni dei combattenti di maggior successo contro lo Stato islamico vengono isolati e attaccati dal nuovo alleato preferito dell'America nella regione, la Turchia.


Le milizie curde stanno raggiungendo gli obiettivi dichiarati dell'amministrazione Obama - "degradare e distruggere" l'ISIS - altrettanto bene o meglio di qualsiasi altra forza di combattimento. Da Kobane alla recente liberazione di Tel Abyad , le milizie curde hanno vinto battaglie duramente combattute contro i miliziani dell'ISIS in Siria, evitando l'avanzata del gruppo nel nord dell'Iraq, spiega Lee Fang su The Intercept.
Cosa c'è di più, i curdi nel nord della Siria, hanno stabilito un ordine politico come pochi altri in questa regione del mondo. Conosciute come Rojava, le zone curde controllate della Siria sono disciplinate attraverso forum decisionali partecipativi che includono consigli composti da donne, cristiani, yazidi e musulmani.

Ma questi guadagni sono ora messi in pericolo dalla Turchia, che ha una lunga storia di ostilità verso l'etnia curda e temendo la possibilità di uno stato curdo a sud, nel nord della Siria o in Iraq, flette i suoi muscoli politici a Washington e fa uso della sua potenza militare in Medio Oriente.
Dietro le quinte, i lobbisti americani ingaggiati dalla Turchia hanno iniziato a lavorare per bloccare l'assistenza militare ai combattenti curdi già dallo scorso anno.

Il governo turco ha ora messo due importanti basi aeree a disposizione delle forze Usa e ha iniziato i propri attacchi aerei contro l'ISIS. Ma questa mossa è uno specchietto per le allodole dal momento che l'obiettivo principale della Turchia sembra essere una nuova offensiva contro i militanti curdi. 

In contemporanea con il suo annuncio circa l'accesso Usa alle sue basi aeree, il governo turco ha rotto la sua tregua con i militanti curdi. Durante la scorsa settimana, l'esercito turco ha cominciato ad attaccare le basi curde in Iraq e in Siria. Il governo turco sostiene che la sua campagna è semplicemente una risposta ad un attacco da parte del PKK, un gruppo separatista, e ha sottolineato che sta anche colpendo ISIS.
Venerdì scorso, la Turchia ha compiuto una serie di arresti di massa. Anche se alcuni sostenitori dell'ISIS sono stati arrestati, la "stragrande maggioranza" degli arrestati, secondo la stampa locale, erano simpatizzanti di movimenti comunisti e di sinistra turchi e curdi. E martedì, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, ha chiesto che venga tolta l'immunità ai deputati dell'HDP, un partito politico curdo di sinistra che ha ottenuto seggi in parlamento per la prima volta il mese scorso.
La Turchia ha intenzione di utilizzare maggiori attacchi aerei per creare una " zona di sicurezza" per le milizie arabe sunnite, che, come il New York Times ha notato, sarebbe a scapito di combattenti curdi.
Invece di condannare gli attacchi contro i curdi, l'amministrazione Obama ha elogiato il governo della Turchia per aver concesso la sua base aerea  
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=82&pg=12474



Perché i cristiani del Medio oriente non si fidano della guerra turca a Isis

30 - 07 - 2015Matteo Matzuzzi
Perché i cristiani del Medio oriente non si fidano della guerra turca a Isis

Nei giorni in cui il governo di Ankara ha dato il là all’escalation contro le milizie jihadiste dello Stato islamico, sempre più minacciose ai confini con la Turchia, c’è chi dubita sulle reali motivazioni e i concreti obiettivi dell’operazione. Lasciando da parte puri calcoli d’opportunità politico elettorale (si parla sempre più insistentemente di un ritorno alle urne, viste le difficoltà che riscontra il premier incaricato, Ahmet Davutoglu, a formare un governo di coalizione), sono le chiese cristiane attive nel Vicino oriente a esprimere più di una perplessità verso Erdogan e i suoi propositi.
UNA SCUSA PER REGOLARE I CONTI CON I CURDI?
A questo proposito, merita d’essere rilevata l’intervista rilasciata da mons. Georges Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo dei latini, al telegiornale di Tv2000, la televisione della Conferenza episcopale italiana. “La gente teme che i turchi vogliano combattere i curdi sotto la scusa dell’Isis”, ha osservato il presule, che di Ankara non si fida affatto: “Se c’è una lotta contro l’Isis, va bene. Ma se è una scusa della Turchia per creare una zona indipendente dalla Siria, allora diventa un po’ pericoloso”. Insomma, “se è una scusa per combattere i curdi e aumentare la confusione e la violenza, allora non è un segnale positivo. Sappiamo bene che la Turchia ha permesso all’Isis di entrare, di armarsi e avere il loro addestramento”.
IL RUOLO DI ERDOGAN NELLA CRISI SIRIANA
Questo è il punto chiave: il ruolo di Ankara (della sua intelligenze e delle sue potentissime Forze armate, in particolare) nell’aver favorito il dilagare delle milizie jihadiste a cavallo della Siria e dell’Iraq. Non è un mistero che Recep Tayyip Erdogan sia da sempre tra i più convinti assertori della necessità di abbattere Bashar el Assad, così come di contenere (eufemismo) l’Iran. E’ il vecchio – ma quanto mai attuale –  scontro tra sunniti e sciiti, l’eterna guerra intestina all’islam che sta raggiungendo il culmine in questi ultimi anni. ll sospetto, tra i cristiani che non ne vogliono sapere di finire sotto regimi sunniti e che continuano a vedere in Assad (giusto o sbagliato che sia) l’unica barriera al proliferare dei tagliagole, è che la Turchia stia dunque nascondendo le sue reali intenzioni.
I CAMPI DI ADDESTRAMENTO IN TURCHIA
Mons. Khazen sottolinea non a caso che “nei paesi limitrofi della Siria, tra cui anche la Turchia, ci sono dei veri e propri campi d’addestramento”. Concetti che il responsabile della chiesa armeno-cattolica di Qamishli, mons. Antraning Ayvazian, aveva reso ancora più palesi in una recente intervista al Foglio: “Ci separano 998 chilometri di confine. Quasi mille chilometri da cui entra di tutto, a cominciare dai jihadisti. Li vediamo ogni giorno, passano a gruppi di trecento, anche cinquecento. Un mio parrocchiano – racconta il sacerdote – è stato arrestato dalla polizia turca e gettato in carcere, in una cella di un metro per un metro. Vicino a lui, c’erano uomini con lunghe barbe pronti ad arruolarsi con lo Stato islamico. Per loro c’era ogni ben di dio, ogni richiesta veniva soddisfatta. Qualche agente li incitava a darsi da fare in Siria”.
“E’ UNA CHIESA MARTIRE”
La situazione sul terreno, quindi, rimane estremamente complessa. Solo qualche giorno fa, il patriarca caldeo di Baghdad, Louis Raphael I Sakoaveva nuovamente parlato dello sfacelo iracheno: “I cristiani pagano il prezzo di questa guerra settaria fra sunniti e sciiti, ma anche della guerra nel medio oriente. L’identità di questa Chiesa è quella di una Chiesa martire”. Riflessione accompagnata dai numeri: “Ci sono 120 mila sfollati”, e i “cristiani continuano a lasciare l’Iraq”. Ecco perché, “ci vuole un’azione effettiva, internazionale, perché questi paesi da soli non possono combattere l’Is, che è uno stato. Ha soldi, vende petrolio, ha armi e tanti jihadisti che aumentano”.
“NECESSARIO UN RINNOVAMENTO DELL’ISLAM”
Necessario, però, ha chiosato a Radio Vaticana il patriarca di Baghdad, anche “un rinnovamento della religione. I musulmani devono fare una lettura all’interno dell’islam per scoprire il messaggio positivo per la vita umana, il rispetto della dignità della persona”.

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