ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 30 luglio 2015

Pianeta B

Un altro mondo? Una probabilità su dieci milioni

C'è una Terra genella? Una probabilità su 10 milionibi
Sembra una scena di Contact, il film diretto nel 1997 da Robert Zemeckis e basato sull’omonimo romanzo di Carl Sagan (1934-1996), e invece è la pura verità. Il fantastiliardario 53enne russo Yuri Milner ha stanziato 100 milioni di dollari per finanziare in 10 anni il più grande progetto di ricerca degli alieni mai varato prima, il Breakthrough Listen. Solennizzato il 27 luglio negli augusti locali della Royal Society di Londra, dell’accordo beneficerà un pool blasonato: il noto fisico e cosmologo britannico Stephen Hawking, l’altrettanto britannico astronomo reale Martin Rees, il cacciatore statunitense di esopianeti Geoffrey W. Marcy (70 dei primi 100 scoperti portano la sua firma) e non ultimo l’americano Frank D. Drake, il fondatore di quel programma Seti che per statuto cerca gli extraterrestri dal 1974, ma che finora non ne ha visto nemmeno l’ombra. Il perché è ovvio: come dice, l’astronomo Seth Shostak (clicca qui), direttore del Centro di ricerche Seti, gli alieni sono lì, ma un complotto di politici ce li nasconde. Come trattenere allora qualche considerazione?

Primo. Seti è una organizzazione privata no-profit che ha sede a Mountain View, in California. Quel che fa è responsabilità sua, ma tra i suoi finanziatori (clicca qui) ci sono anzitutto la Nasa, poi la National Science Foundation e lo Us Geological Survey che sono agenzie governative, quindi il ministero dell’Energia degli Stati Uniti e la Jet Propulsion Survey, che per la Nasa costruisce le sonde spaziali senza equipaggio e che la Nasa ha preso in carico nel 1958, avendo essa cominciato (è una storia famosa, e un po’ mitica) studiando quelle V2 dei nazisti (impegnati anche loro a cercare alieni nell’Antartide?) nate da un’idea di Joseph Goebbels (1897-1945) e realizzate da Wernher von Braun (1912-1977). A ciò si aggiungono privati di tutto rispetto quali la Universities Space Research Association, un consorzio di 105 atenei del mondo intero; l’International Astronomical Union, che a Parigi riunisce luminari di 73 Paesi diversi; nonché fondazioni o aziende del calibro della Sun Microsystems, della Hewlett Packard Company «e molti altri». Impossibile insomma scambiare Seti per dei figli dei fiori che girano i deserti del Southwest a bordo di Volkswagen Westfalia irti di parabole per bombardare di “Peace and love” le orecchie dello spazio.
Secondo. L’aplomb dell’internazionale ecologista, pauperista e pacifista, sempre prontissima a stracciarsi le vesti per (presunti) sprechi di cibo, acqua ed energia, non si scompone un secondo davanti a 100 milioni di dollari spesi per cercare nell’enormità incalcolabile del cosmo qualcosa che ha meno probabilità di esistere della possibilità che ha un ago di essere trovato non in un pagliaio, ma nella riserva di fieno del mondo nel corso di tutta la sua storia.
Terzo. Il Drake che ha creato Seti che oggi prende i soldi di Milner è anche l’ideatore della cosiddetta “equazione di Drake”, la formula matematica utilizzata per… stimare il numero di civiltà extraterrestri… esistenti e in grado di comunicare nella nostra galassia… ma che sinora hanno taciuto. Il numero di Drake è dato dalla moltiplicazione tra loro di sette fattori: il tasso medio annuo con cui si formano nuove stelle nella Via Lattea, il numero di quelle stelle che possiedono pianeti, il numero medio di pianeti per sistema planetario in condizione di ospitare forme di vita, il numero di questi pianeti su cui si è effettivamente sviluppata la vita, di questi il numero di quelli su cui si sono evoluti esseri intelligenti, il numero di civiltà extraterrestri in grado di comunicare e la durata media stimata di dette civiltà evolute. 
Per Isaac Asimov (1920-1992) nella solo nostra galassia le civiltà extraterrestri sarebbero 600mila, secondo il “pessimismo moderato” scenderebbero a 50 e stando al “pessimismo radicale” ci sarebbe una probabilità su 10 milioni che nella nostra galassia esista una civiltà tecnologica, parola del principe dei divulgatori scientifici Piero Angela (clicca qui). Se poi a uno scappa da ridere, non è che si può biasimarlo. Il numero delle variabili dell’equazione di Drake cui è impossibile dare un valore definito è tanto grande da renderla una petizione di principio. Le dà retta solo chi ha deciso a priori di credere nel suo assunto iniziale: che gli alieni esistano “a prescindere”. Presentata nel 1961 al National Radio Astronomy Observatory di Green Banck, in West Virginia, fu l’averla sciorinata lì che la rese accettabile. Fosse stata giudicata per il suo contenuto, Drake sarebbe stato accompagnato alla porta.
Quarto. Mentre disprezzano come fiaba per mocciosi l’esistenza di Dio da millenni mostrata dall’abc dalla logica filosofica umana, i citati luminari accettano ogni superstizione sugli alieni. Il matematico e astronomo britannico Fred Hoyle (1915-2001), a cui sono stati intitolati asteroidi e medaglie, è uno dei padrini remoti del Seti da che il suo romanzo A come Andromeda (1962) introdusse l’argomento dei segnali extraterrestri dallo spazio siderale ed è famoso perché riteneva che l’universo pullulasse di vita nata dalla semina a pioggia di seme alieno (panspermia) e in continua evoluzione per effetto di virus trasportati da comete. Carl Sagan era un campione di scetticismo su tutto,  ma giurava sull’esistenza degli Et, e così continua a fare l’ateo impenitente Stephen Hawking.
Sesto e ultimo. Sempre il 27, mentre Yuri Milner rifinanziava il Seti a Londra, a Milano il Corriere della Sera  pubblicava qualche riga di Flavio Vanetti per riferire che l’astronomo amatoriale statunitense Robert H. Gray, un cacciatore di segnali alieni legato al Seti, ha strappato al Nobel 1938 per la Fisica Enrico Fermi (1901-1954) la paternità del famoso paradosso omonimo: «Dove sono tutti quanti? Se ci sono così tante civiltà evolute, perché non abbiamo ancora ricevuto prove di vita extraterrestre come trasmissioni di segnali radio, sonde o navi spaziali?». Dice infatti Gray (ma non in un inesistente libro intitolato Astrobiology uscito fantomaticamente a marzo come scrive Vanetti, bensì nelle quattro pagine dell’articolo The Fermi Paradox Is Neither Fermi’s Nor a Paradox pubblicato sul n. 3, di marzo, del mensileAstrobiology  clicca qui) che il noto azzardo è invece dell’astrofisico Michael H. Hart, nobilitato falsamente solo per fare guerra volgare al povero paradosso di Drake e tagliare i fondi al Seti. 
È dunque «giunto il momento», sentenzia Grey, «di dire che il paradosso non è valido» e «che non è mai esistito». E perché mai? Il paradosso resta cristallino anche se non fosse di Fermi, mille volte più sensato della panspermia di Hoyle, delle fantasie di Drake, delle elucubrazioni di Hawking e dello spreco di denaro di Milner. Oppure l’universo pullula davvero di piccoli alieni verdi che per starsene abbottonati prendono la stecca da quelli che prendono i soldi per cercarli?
di Marco Respinti29-07-2015
Lo straordinario annuncio Nasa: «Gli scienziati hanno scoperto un’altra Terra»

Perché Kepler-452b non è 

il nostro pianeta B

Già oggi la nostra domanda di risorse ecologiche è pari a 1,5 terre
[24 luglio 2015]
nasa kepler
«Non c’è un piano B perché non abbiamo un pianeta B». Questo mese il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki moon, ha ribadito tale semplice quanto ineluttabile verità dalla cima di un ghiacciaio alle Svalbard. Era lì per monitorare di prima mano l’avanzare del cambiamento climatico: il ghiacciaio si stava sciogliendo. Ma è proprio vero che non esiste un pianeta B, dove sfuggire dal cambiamento climatico e dal progressivo esaurimento delle risorse naturali? Ieri la Nasa, annunciando la scoperta di Kepler-452b, ha finito per instillare nelle menti più propense alla fantascienza strane ipotesi: «Gli scienziati – ha dichiarato l’Agenzia spaziale – sono sul punto di scoprire qualcosa che le persone hanno sognato per migliaia di anni: un’altra Terra».
Kepler-452b, come dettagliato poi dalla Nasa durante la spiegazione di questo straordinario successo scientifico, è un pianeta dal diametro più grande del 60% di quello terrestre, probabilmente roccioso, e dove un anno dura 385 giorni terrestri. Dai dati raccolti tramite il telescopio spaziale Kepler si desume inoltre che il pianeta ruoti attorno a una stella simile al nostro sole, e che lo faccia a una distanza tale da permettere la vita.
Il pianeta scovato dal telescopio non è dunque l’unico individuato finora con caratteristiche simili alla terra, ma in ogni caso quello che ci va più vicino. «Possiamo pensare a Kepler-452b come a un cugino più vecchio e grande della Terra – ha precisato ha spiegato Jon Jenkins, che per la Nasa studia i dati del telescopio spaziale Kepler –, che potrebbe darci la possibilità di capire come si possa evolvere l’ambiente terrestre. Questo pianeta ha trascorso 6 miliardi di anni nella zona abitabile della propria stella, più a lungo di quanto abbia fatto la Terra. È un’opportunità per la nascita della vita, nel caso in cui tutti i necessari ingredienti e condizioni per il suo sviluppo siano presenti su Kepler-452b».
Anche accantonando tutti questi (rilevanti) punti interrogativi, il problema per quanti fantastichino di trasmigrare a breve su un nuovo pianeta – o peggio per coloro che si scoprono spaventati dalla certezza di un complottismo intergalattico – è che il cugino maggiore della Terra si trova nella costellazione del Cigno, ovvero a 1’400 anni luce da qui: per raggiungerlo, occorrerebbe dunque viaggiare alla velocità della luce e avere un sacco di tempo a disposizione, qualcosa come 14 secoli.
Pare dunque evidente che dietro alla scoperta di Kepler-452b non si nasconda nessuna ipotesi di colonizzazione. I vantaggi della ricerca spaziale sono altri, molteplici quanto rilevanti, ma si concretizzano all’interno dei nostri confini planetari.
La terra è e rimarrà – quantomeno ancora per molto, molto tempo – il nostro unico pianeta, e di questo dovremmo aver cura. Anche Kepler-452b, d’altronde, non offrirebbe grandi margini in più di fronte a un modello di sviluppo insostenibile come il nostro. L’ultima rilevazione del Global footprint network certifica che «oggi la nostra domanda di risorse ecologiche rinnovabili e dei servizi che questi forniscono è equivalente a quella di oltre 1,5 terre», e che continuando così arriverà a 2 entro il 2050. Sebbene sia grande 1,6 volte il nostro pianeta, Kepler-452b è già stato raggiunto.
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2 commenti:

  1. iniziate ad andare ....e mi raccomando una cartolina quando arrivate......

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  2. questi più che un pianeta b vogliono prenderci x il lato b......non è vero ma comunque molto pratico da raggiungere....esattamente dietro l'angolo............

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