ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 4 agosto 2015

Quei cattolici piccoli e rancorosi

PIO X E DON GIUSEPPE LOZER

    Quei cattolici piccoli e rancorosi che non sopportano la canonizzazione di Pio X. Se qualcuno dubita ancora di quale fosse la posta in gioco all’interno della Chiesa Cattolica ai primi del' 900 allorché Pio X prese posizione contro il modernismo

Quei cattolici piccoli e rancorosi che non sopportano la canonizzazione di 
Pio X



Se qualcuno dubita ancora di quale fosse veramente la posta in gioco, all’interno della Chiesa cattolica, ai primi del Novecento, allorché Pio X, con la famosa enciclica “Pascendi Dominici gregis”, prese apertamente e severamente posizione contro il modernismo, basta che si prenda la briga di sfogliare alcune delle biografie di quei parroci e preti che, in quegli anni, fecero parlare di sé quali simpatizzanti, magari assai defilati, di tale movimento.

Un tale esame farà emergere cose assai istruttive, non solo riguardo a quella parte del clero, forse non grande numericamente, ma certo influente per la propria azione sul terreno sociale e culturale, e non solo riguardo a quel, particolare momento storico. Apparirà, infatti, che quegli stessi sacerdoti, ritenendosi ingiustamente perseguitati dall’energica azione antimodernista di Pio X, ancora decenni dopo i fatti, magari mezzo secolo dopo e anche di più, serbavano un tale rancore alla memoria di Pio X, da non peritarsi di mettere in dubbio la decisione di canonizzarlo – dimenticando, a quanto sembra, che la Chiesa non prende simili decisioni a cuor leggero e, soprattutto, che non è solo la Chiesa visibile a prenderle, ma che, anzi, è lo Spirito a muovere gli uomini e a suggerire ad essi certe decisioni, cosa di cui, come sacerdoti, non dovrebbero dubitare. Invece ne dubitano, e spingono la loro acrimonia fino al punto di muovere pesantissimi rilievi a quel Pontefice, verso il quale, se non altro per il fato di essere stato tale, e dunque non per la persona, ma per ciò che la sua carica rappresenta, ci si aspetterebbe un maggiore rispetto; o, se non altro, ci si aspetterebbe quel minimo di carità cristiana che dissuade dal parlar male dei morti, chiunque essi siano, ma specialmente se si tratta di confratelli.
Non solo: si scoprirà che i biografi e gli studiosi di quel clero “progressista”, impegnato nelle varie correnti della democrazia cristiana di Romolo Murri e nel modernismo di Ernesto Buonaiuti ed altri,
condividono anch’essi, a circa un secolo di distanza, i giudizi pesantemente negativi di quei sacerdoti nei confronti di Pio X e si servono del proprio lavoro di ricerca per rivalutare tutto ciò che, in quella stagione, sapeva di “nuovo” e per condannare, con espressioni durissime e con spirito amaramente polemico, tutto ciò che Papa Sarto fece a difesa di quella verità che gli era stata affidata in custodia, dipingendo il suo Pontificato come una specie di ritorno ai tempi dell’Inquisizione spagnola e di Torquemada, o giù di lì. Dell’azione riformatrice di Pio X in tutti i campi della sfera religiosa, dalla musica sacra al catechismo, nemmeno una parola: egli viene assunto a simbolo della reazione, dell’oscurantismo, di tutto ciò che ha impedito alla Chiesa di aprirsi per tempo alle giuste e legittime esigenze della vita moderna, restando ancorata, per un altro mezzo secolo, a posizioni sorpassate e chiudendosi a riccio in un’autodifesa sterile e miope.
Peraltro, codesti signori sono abbastanza furbi da tenersi un passo, ma solamente un passo, indietro rispetto ad una esplicita dichiarazione di modernismo: come i preti modernisti di allora (a cominciare da Buonaiuti, che non ebbe mai il coraggio di assumersi la paternità delle «Lettere di un prete modernista», nelle quali, fra le altre cose, diceva peste e corna del Pontefice, anche i loro ammiratori ed estimatori odierni fanno altrettanto, arrivando a sostenere la tesi paradossale, che sarebbe ridicola se non fosse ispirata da somma malizia, che il modernismo, in quanto tale, non è mai esistito, e che a conferirgli una esistenza apparente è stata proprio l’enciclica papale e la successiva opera di repressione. Viene da dubitare che tutti costoro, allora e oggi, abbiano mai letto sino in fondo la «Pascendi»: la quale, non che “inventare” qualche cosa che non c’era, colse invece benissimo la tendenza di fondo di quello che, se non era un movimento organizzato, era però qualche cosa di altrettanto temibile, e forse anche di più temibile, perché scaturiva da un clima generalizzato di smania progressista, nel quale si sarebbero voluti travolgere secoli di Tradizione e spalancare le porte a un tipo di teologia, se così la vogliamo chiamare, che, facendo proprie tutte le istanze fondamentali della storiografia antireligiosa e anticattolica, avrebbe finito per dissolvere in pochissimo tempo (come del resto era accaduto nel protestantesimo) ogni contenuto dogmatico e per mettere in forse, abbandonandoli alla mercé dell’inventiva di chiunque, gli elementi fondamentali del Vangelo e i fondamenti stessi della Speranza cristiana.
Appare sempre più evidente che la tendenza modernista, che non si è mai spenta e che oggi, anzi, sta celebrando la sua rivincita, rappresenta, come disse appunto Pio X, “la sintesi di tutte le eresie”, dallo gnosticismo al protestantesimo; che la scelta di tanti cattolici, sacerdoti e vescovi compresi, di scendere nell’agone dell’azione sociale e politica fu, ed è, una scelta in felicissima, che ha finito per snaturare il messaggio cristiano, sotto le apparenze di rinnovarlo, attualizzarlo, portarlo alla misura del mondo moderno; che la pretesa di far passare per “reazionari” quanti la pensavano e la pensano diversamente è strumentale e, oltre a difettare di carità cristiana, in quanto individua nei propri confratelli i peggiori nemici da disprezzare, combattere e abbattere, non può scaturire se non da una assoluta incomprensione di quale sia la vera posta in gioco, e cioè la sopravvivenza del cristianesimo, così come la Chiesa lo ha tramandato per quasi duemila anni, oppure, cosa ancor più grave, da una precisa volontà di svuotarlo dall’interno dei propri contenuti, dietro le apparenze di “aggiornarlo”, “attualizzarlo”, “rivitalizzarlo” e, magari (pretesa blasfema ed eretica, per chi sappia intendere rettamente) di “migliorarlo”.
Uno di questi preti simpatizzanti per il modernismo fu, fra i non pochissimi, il parroco di una frazione di Pordenone, Torre, don Giuseppe Lozer, che, sospettato dalle autorità superiori, dichiarò, assai di malavoglia, di non aver niente a che fare col modernismo e di detestarne gli errori, continuando però nella sua azione, che si esplicitava anche sul terreno sociale, nella organizzazione dei lavoratori e nell’azione a favore degli emigranti, quasi che tale sensibilità sociale fosse una esclusiva dei preti “progressisti” e fosse esplicata, con vigore non certo minore, ma con altri presupposti e altre modalità, da tanti bravi sacerdoti che essi consideravano “conservatori” o, addirittura, “reazionari”, come i tre fratelli Scotton, monsignori di Breganze, in provincia di Vicenza (vicino a Marostica), animatori della battagliera rivista «La riscossa» (e a loro volta perseguitati, dopo la morte di Pio X, da un vescovo “progressista: cosa che ben pochi storici del cattolicesimo moderno si sono presi il disturbo di ricordare, come se tutte le angustie e tutte le “ingiustizie”, in quel periodo agitato e confuso, fossero state subite dai “progressisti”).
Citiamo un passaggoi eloquente della biografia di Giuseppe Lozer, scritta dal saggista e pubblicista Flavio Mandruzzo (da: F. Mandruzzo, «Cattolicesimo democratico e Modernismo tra Livenza e Tagliamento. Mons. Giuseppe Lozer (1880-1974)», Pordenone, Ed. La Voce, 2000, pp. 106-9):

«[Nel 1914, avendo “La Riscossa” dei fratelli Scotton attaccato il conte Grosoli, don Lozer era sceso in campo a sua difesa, ma quelli gli avevano risposto che, fra lui e Pio X, ritenevano di dover ascoltare il Santo Padre.] All’epoca don Lozer dovette probabilmente abbassare il capo di fronte alla tracotanza degli Scotton. Maturò chiara la consapevolezza, però, delle gravi responsabilità di Pio X, che non solo non colpiva simili atteggiamenti, ma, anzi, favoriva il clima inquisitorio e offensivo delle coscienze tipico degli anni dal 1907 al 1912.
A distanza di cinquant’anni, quando attende a “Piccole memorie”, Lozer può finalmente dire ciò che pensa, avanzando delle notevoli riserve sulla presunta santità del Pontefice di allora. A testimonianza di ciò basti l’amareggiato commento alla missiva inviatagli da “La Riscossa”: “Se quanto si afferma in questa risposta sul pensiero di Pio X, risponde a verità, ci è lecito dire che i tempi erano ben tristi e l’aureola di santità che cattolici sentimentali, o interessati, o pietisti facevano rifulgere sul suo capo mentre ancora era vivente, resta ben offuscata”.
Lozer commenta le sue proposizioni azzardate dicendo che né erano stati resi noti miracoli di questo santo quando le sue spoglie vennero condotte nella Basilica di San Marco a Venezia per essere venerate, né certe sue idee e atteggiamenti potevano indurre a parlare di santità per questo Papa, che non era per niente un “uomo semplice”. Tale appellativo era stato coniato dall’allora sindaco di Firenze prof. Piero Bargellini il quale aveva pubblicato il libro “Santi come uomini”, dedicando qualche pagina a San Pio X. Il 18 luglio 1959 il pievano di Torre scrisse all’autore dell’opera queste parole: “Mi permetto… un rilievo sull’ultimo Santo, Pio Decimo, che definisce ‘uomo semplice’. Non mi pare, è un Santo complesso e discusso. Lo affermo perché l’ho conosciuto… approvava e incoraggiava il settimanale “La Riscossa” ed altra stampa conservatrice antidemocratica… Sono sacerdote dal febbraio 1903 e ho vissuto con passione il periodo del suo Pontificato”.
E non fu l’unico, ricordiamolo, in diocesi di Concordia. Sebbene il vescovo Isola cercasse di annacquare il sospetto sul Modernismo di alcuni suoi sacerdoti sappiamo che, oltre a Lozer e Concina, anche il futuro cardinale Celso Costantini, uno dei giovani più amanti della cultura, venne visitato dai delatori della polizia segreta. Il suo giudizio su Papa Sarto sarà identico a quello di Lozer, sebbene più diplomatico dato che quando lo scrisse nell’autobiografia era già vescovo.
Secondo Lozer i motivi per giudicare una santità dovrebbero essere ben altri rispetto a quelli addotti per dal Bargellini e s’inasprisce dicendo (con chiaro riferimento a se stesso e alla propria esperienza sacerdotale): “Lodi, ammirazioni e benedizioni avrebbe meritato se avesse incoraggiato l’Azione Cattolica a promuovere associazioni per il miglioramento delle misere condizioni dei lavoratori della terra e dell’industria, per elevare quella povera gente, che non avrebbe abbandonato Cristo, per seguire, nella diocesi di Mantova, il socialismo di Prampolini, Ferri e Dugoni, non avrebbe disertato le Chiese e accusato i preti di essere alleati dei latifondisti e dei capitalisti industriali”.  Insomma, in quegli scenari dove l’opposizione socialista costituì un problema talora insormontabile per i giovani preti agli inizi del secolo, scenari come quelli di Torre, Prata e Rorai Grande di Pordenone  (dove operarono rispettivamente Lozer, l’amico Concini e Costantrini), lì era mancato il sicuro appoggio del Papa,all’opera del clero ritenuto disobbediente.
L’autore del libro aveva, inoltre, giustificato l’atto di forza di Pio X nello sciogliere l’Opera dei Congressi “nella quale si erano insinuati – diceva – semi di ribellione o perlomeno di presunzione.” Ma quelli, ribatte caustico don Lozer, “erano invece semi di risveglio , di rinnovamento, per realizzare i principi della sociologia e della democrazia cristiana secondo le encicliche di papa Leone e gli insegnamenti del prof. Toniolo. L’Opera dei Congressi fu sciolta perché con Grosoli, Meda, Murri. Sturzo ed altri si andava aggiornando e svincolando dai reazionari, dalla servitù dei liberali moderati, dalla corrente conservatrice, dall’immobilismo e si sospettava di filomodernismo perché il presidente  co. Grosoli in una circolare programma non aveva accennato ai diritti, alle rivendicazioni della S. Sede.”
La sensazione che si ha leggendo le memorie è quella di un Lozer che non si limita a mettere in discussione la santità di Pio X, ma la rinnega, . In effetti Bargellini doveva aver evidenziato degli aspetti della persona del Pontefice che erano sì quelli tradizionalmente ricorati, ma che , di sicuro, non furono predominanti. Nel momento in cui l’autore fiorentino scrive il suo libro, la leggenda di Pio X aveva già preso corpo, idealizzando, per eliminazione, una figura in cui si volle far emergere esclusivamente una caratteristica tipica, quella della bontà d’animo e della semplicità, a danno delle altre e della verità storica. Era diventato, per i posteri, il papa buono per antonomasia,  tutto dolcezza, mitezza e amabilità.  Il papa parroco, vittima silenziosa e benedicente dei nemici.
Era impensabile, conoscendone i trascorsi, che Lozer non contestasse con la sua versione (quella vera, vissuta), simili quadretti idilliaci. Proprio lui che aveva sperimentato  più e più volte la forza e la durezza delle decisioni di Papa Sarto nel condizionare pesantemente l’orientamento culturale cattolico. Con Pio X  la politica vaticana divenne un “assoluto regime intellettuale”, con un sistema inquisitoriale e un metodo repressivo sul piano delle idee quale non si vedeva dal medioevo, senza trascurare che il suo pontificato coincise con il periodo giolittiano e l’istituzionalizzazione del clerico-moderatismo. La sua rigidità mentale unitamente ad un naturale conservatorismo erano probabilmente genetiche, proprio perché legate  alla regione d’origine di questo papa: il Veneto, che, per la particolarità della sua storia, fu soprannominato la Vandea d’Italia. Ciò aveva indotto Pio X, con la “Pascendi”, ad ‘inventare’ il Modernismo che, pur essendo stato una realtà certamente complessa e quasi inafferrabile, non fu mai un sistema ideologico. , bensì solamente un clima: “Il clima costituiti dalle aspirazioni, dai progetti, e dalle speranze di un aggiornamento globale e profondo della Chiesa, quale era richiesto dalle istanze degli uomini più sensibili ai tempi e ai progressi della società” (Falconi, “ I papi del ventesimo secolo”, p. 74).»

È un brano che, ci sembra, si commenta da solo, specie nel finale, quando l’autore giunge a dire che il conservatorismo di Pio X era “genetico” perché egli era nativo del Veneto (affermazione che sarebbe persino inutile stigmatizzare, se non fosse illogica oltre che storicamente insostenibile: non è che il Friuli fosse meno “clericale” del veneto, tutt’altro; e allora, secondo quel modo di vedere, un don Lozer non avrebbe dovuto nemmeno nascere, in Friuli). Del resto, il paragone con la Vandea è eloquente: se il Veneto era una Vandea, allora come una Vandea si sarebbe dovuto considerarlo: laddove la Vandea non è ricordata, da questi signori cattolici “progressisti”, come la terra dei martiri che, per fedeltà al Vangelo, subirono il primo genocidio della storia moderna, ma come la terra retrograda e oscurantista, che frena ed impaccia, con la sua sola esistenza, il sano sviluppo della società e la giusta e naturale evoluzione della Chiesa stessa.
Gira e rigira, siamo sempre lì: per questi signori che leggono il Vangelo con gli occhiali dalle lenti rosse, i loro confratelli che restano legati alla Tradizione (e scriviamo Tradizione con la “t” maiuscola, come è teologicamente corretto e anche storicamente doveroso) sono i peggiori ostacoli sulla via della modernizzazione, dell’apertura, del dialogo con il mondo e tante altre bellissime cose, dunque vanno considerati alla stregua di nemici irriducibili, ai quali vengono riservati un astio, un’acredine, una ostilità quali mai vengono sfoderati nei confronti di coloro i quali odiano la Chiesa, l’attaccano frontalmente o subdolamente e fanno di tutto per veder distrutto il suo retaggio spirituale.
I fratelli Scotton, lo ripetiamo – e questo è solo un esempio, fra i mille che potremmo fare – erano tutt’altro che dei reazionari, se per “reazionario” si intende chi, allora e oggi, sta dalla parte dei più forti, delle classi privileghiate, dei sistemi economici basati sullo sfruttamento. Abnch’essi organizzavano i lavoratori della loro parrocchia e della loro provincia, anch’essi si davano da fare, anima e corpo, per aiutarli a migliorare le proprie condizioni economiche, fondando casse rurali e cooperative; chi si prende la briga di legger le loro omelie domenicali, fate dal pulpito, resterà colpito dalla fermezza dei toni usati contro il datore di lavoro che defrauda l’operaio del giusto salario e contro chiunque si approfitti ingiustamente, da una posizione di privilegio, dei frutti della fatica e del sudore altrui. Sono prediche forti, accese, vibranti, e, quel che più conta, perfettamente coerenti con la concreta azione sociale di quei sacerdoti. Esse, però, agli occhi dei cattolici “progressisti” (ammesso che qualcuno di loro si dia il disturbo di andarsele a leggere) di non usare i toni della lotta di classe, di non ribollire di rancore contro la classe borghese, insomma di puntare il dito contro il peccato dello sfruttamento, non contro le persone fisiche dei peccatori, nello spirito cristiano di non condannare mai la persona, ma solo gli atti contrari a Dio e agli uomini: e questo per rimanere fedeli allo spirito del Vangelo e per non sostituirlo con quel’altro Vangelo, il vangelo marxista, che allora e in seguito ha fatto tanto male all’umanità intera, ingannando milioni di lavoratori e imponendo loro i peggiori e più crudeli regimi politici che la storia moderna abbia conosciuto, oltre che i più radicalmente anticristiani.
Questo è il nocciolo del problema: questo e niente altro.
I cattolici “progressisti” vorrebbero dipingere se stessi come i “buoni”, i portatori di tutte le virtù evangeliche, i veri e soli e legittimi interpreti della Buona Novella; e, nello stesso tempo, vorrebbero vedere estinta, se possibile, o almeno ridotta alla totale impotenza, e completamente screditata,  la fastidiosa componente che essi giudicano conservatrice, o perfino reazionaria, esistente nella Chiesa e nel mondo cattolico. E se, per fare questo, è necessario oltraggiare la memoria di un Papa che è stato innalzato agli onori dell’altare, essi non esitano un solo istante e riversano su di lui tutto il fiele, tutto il veleno di cui sono capaci. Pio X era morto nel 1914: e ancora nel ‘59 don Lozer si sente in dovere di scrivere a Bargellini che quel papa non meritava la santità...
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Francesco Lamendola

Francesco Lamendola

Francesco Lamendola è nato a Udine nel 1956. Laureato in Materie Letterarie e in Filosofia, è abilitato in Lettere, in Filosofia e Storia, Filosofia e Pedagogia, Storia dell’Arte, Psicologia Sociale. Insegna nell’Istituto Superiore “Marco Casagrande” di Pieve di Soligo e ha pubblicato una decina di volumi tra saggi storici, musicali, filosofici, di poesia e di narrativa, di cui ricordiamo “Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C.”, “Il genocidio dimenticato. La soluzione finale del problema herero nel sud-ovest africano”, “Metafisica del Terzo Mondo”, “L’unità dell’Essere”, “La bambina dei sogni e altri racconti”, “Voci di libertà dei popoli oppressi.” Fogli Sparsi (E-Book). Collabora con numerose riviste scientifiche (tra cui “Il Polo” dell’Istituto Geografico Polare e “L’Universo” dell’Ist. Geogr. Militare) e letterarie, su cui ha pubblicato diverse centinaia di articoli e a siti internet “Arianna Editrice”, “Edicola Web” ,”Libera Opinione” e “il Corriere delle Regioni” Quaderni culturali: Giornale Web animato aggiornato sui suoi ultimi scitti. Tiene conferenze per la Società “Dante Alighieri” di Treviso, per l’”Alliance Française”, per l’Associazione Italiana di Cultura Classica, per l’Associazione Eco-Filosofica, per l’Istituto per la Storia del Risorgimento, “Alfa e Omega”, “Il pensiero mazziniano” e per varie Amministrazioni Comunali, oltre alla presentazione di mostre di pittura e scultura.

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